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Oltre la “responsabilità sociale” c’è l’impresa davvero trasformativa

“Trasformare significa passare dalla logica dell’accumulazione competitiva alla sapienza del prendersi cura in modo da rispondere ai bisogni umani e tutelare gli equilibri della natura”. La società non è più un mercato ma una comunità aperta e corale. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 246 — Marzo 2022
© Riccardi Annandale - Unsplash

Quando un’impresa è trasformativa? La parola “trasformazione” significa mutamento di forma: è il principio fondante di una certa realtà. Dobbiamo passare dall’economia vigente all’economia della giustizia e di quella sintonia con la vita che chiamiamo “ecologia”. La trasformazione è un processo graduale ma radicale di rigenerazione sistematica che risponde alle sfide presenti con una sapienza che viene dal futuro. Alludo alla qualità del tempo che si apre quando la vita è liberata dal male. Perciò Paulo Freire parla di futurità: il futuro accade ogni volta che si dà un’esperienza del bene condiviso.

La conferma della validità della trasformazione sta nel fatto che persone, comunità e altre creature viventi sono liberate da ciò che le opprimeva. La forma è pure la logica seguita dagli attori economici e l’immagine che riassume il senso dell’economia. Trasformare significa passare dalla logica dell’accumulazione competitiva alla sapienza del prendersi cura in modo da rispondere ai bisogni umani e tutelare gli equilibri della natura. In tale ottica la società non è più immaginata come un mercato, ma è vista come una comunità aperta e corale. Il senso dell’economia trasformativa è passivo e attivo: da un lato si tratta di un’economia trasformata, dall’altro essa stessa diviene un’economia trasformante che induce mutamenti nelle relazioni sociali, nel diritto, nella politica. Così l’impresa (agricola, artigiana, industriale o di servizi) si qualifica non più solo per la cosiddetta “responsabilità sociale”, bensì per la sua trasformatività, data da una serie di caratteristiche. Riassumo quelle principali e più trasversali rispetto alle molteplici tipologie d’impresa.

a) Il senso etico: il fine di questa impresa è dare il proprio contributo al bene comune, generando giusta retribuzione per chi ci lavora, assumendo il profitto come mezzo e reddito, canalizzandolo per finalità di giustizia verso l’interno e l’esterno.

b) La forma organizzativa nonviolenta: la qualità delle relazioni (tra le persone e con la natura) è essenziale in ogni segmento della vita dell’impresa: dalla proprietà (condivisa e cooperativa nelle diverse tipologie possibili) e dall’assetto decisionale democratico all’uso oculato delle risorse, dalla qualità umana del modo di lavorare alla sicurezza di chi lavora, dall’adeguatezza dei luoghi e dei tempi di produzione alla qualità dei beni o dei servizi che si producono, dall’impatto ambientale rispettoso al rifiuto di delocalizzare, dalla riduzione dell’orario all’impegno di mantenere il lavoro per quanto possibile.

c) La generatività: l’impresa affronta le difficoltà (legate all’esigenza di resistere sul mercato assicurando le condizioni legate ai punti “a” e “b”) seguendo criteri di giustizia e di sintonia con la vita anziché la logica del potere e del capitale. Questo tipo di impresa genera metodi e soluzioni inedite senza riprodurre la logica del capitalismo. Così alla competitività subentra la generatività: l’impresa si toglie dalla coazione alla guerra di tutti contro tutti e si sostiene invece per la forza di generare beni, servizi e reddito grazie alla qualità cooperativa delle relazioni che instaura.

Preciso che non ho prefigurato un compito irrealizzabile. Anzitutto perché le imprese trasformative potranno emergere e affermarsi solo di pari passo con i correlativi mutamenti delle regole del mercato, della politica economica dei governi, della cultura diffusa e dei processi formativi. Poi perché i criteri citati non sono caratteristiche da pretendere qui e ora nello spirito di un fondamentalismo ideologico, piuttosto sono direzioni che indicano alle imprese convenzionali un cammino di miglioramento, passo dopo passo, con tutta la gradualità necessaria e le temporanee contraddizioni che vanno sopportate. Chi ha il coraggio e l’intelligenza di mettersi su questa strada resterà stupito per la scoperta delle molte possibilità d’azione che si aprono, prima oscurate dalla falsa credenza nelle mancanza di alternative.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Gandhi. Al di là del principio di potere” (Feltrinelli, 2021)

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