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Cultura e scienza / Opinioni

Oggi siamo in carestia di parole ecologiche alte come quelle di Alex Langer

Alex Langer durante un'assemblea universitaria alla Statale di Milano © FOTOGRAMMA/DEBELLIS / IPA

Abbiamo praticato fin troppo lo sport del compromesso e del calcolo dicendo che solo vincendo si sarebbero cambiate le cose. Ma le cose non si cambiano senza argomenti, senza immersione culturale e avendo in tasca la fedeltà al compromesso preventivo, pronti al riduzionismo dei principi ecologici. I fatti di oggi, purtroppo, danno ragione al pensatore libero e lento morto il 3 luglio 1995. Diffondiamo il più possibile le sue idee. L’intervento di Paolo Pileri

Il mio sogno per il giorno del 3 luglio è che siano tante le voci che ricordano il pensiero, la vita, la fertile disperazione di Alex Langer. Un ecologista, un pacifista, un pensiero libero e lento che ci ha lasciato troppo presto ma non senza regalarci fiumi di parole su quella che noi oggi impropriamente chiamiamo transizione ecologica ma che lui chiamava conversione ecologica. E la differenza è tanta, anzi è tutto qua.

Infatti, come è possibile transitare in un altro sistema di riferimento senza conversione? Non è possibile, a meno di giocare a un passaggio senza convinzione o solo a patto di compromessi. Alex era altro da ogni mascheramento e compromesso preventivo: era radice, rigore, ambizione, speranza, ostinatamente avverso a ogni falsità, instancabilmente contrario alla logica della competizione come misura di ogni azione e di ogni politica e figlio putativo della comunità di Barbiana di don Milani, realmente capace di vedere come stanno le cose “dalla parte di chi rimane schiacciato” (prospettiva necessaria per chi vuole fare l’ecologista).

Oggi siamo in carestia di parole ecologiche alte come le sue e di un pensiero politico così autenticamente ecologico, che prendeva la forma della natura e non viceversa. Siamo inzuppati di compromesso che non solo ha rimpicciolito i sogni e le ambizioni ecologiche ma ha letteralmente azzerato la qualità dei discorsi ecologici di chi ha responsabilità politiche e relativi poteri o anche solo capacità di influenzarli. E di questa povertà intellettuale paghiamo già un prezzo alto perché è venuto meno il coraggio, lo slancio, l’autenticità di occuparsi di ecologia semplicemente perché ha senso farlo e non perché sia praticabile, perché esiste una possibilità di successo o solo quando si è in maggioranza o perché non è difficile occuparsene.

I giovani cercano radicalità ma la politica di oggi gli propone tiepidità. Ecco che allora le parole di Alex Langer diventano energia pura per formare i pensieri dei più giovani. I suoi discorsi sono ancora leggibili, emozionanti, citabili e raccontabili. Ma quali politici lo citano? Chi si è preso la sua eredità sulle spalle? Tutti quelli che hanno conosciuto o solo letto, come nel mio caso, passaggi di Alex Langer è bene che provino a recitarli, trascriverli, diffonderli, leggerli. Perché è solo dando corpo alle cose che queste possono avere speranza di accadere e riaccadere. Tocca a tutti noi dare tanta voce alle parole di Alex.

Il miglior modo di ricordarlo è proporre ai lettori i suoi testi, la sua voce, il suo modo di costruire le frasi. Ho scelto di riportare qui uno stralcio del suo celebre discorso, datato 1990, dove citò le tre famose parole “citius, altius, fortius” scelte per rappresentare la pervicace stortura di quegli anni e ancora dei nostri. Parole che nel testo integrale compaiono accanto al discorso su quella che oggi chiamiamo transizione ecologica e che qui lui chiama più propriamente traversata. Attraversare il fiume di un tempo culturalmente e politicamente corrotto per poter impostare un’altra storia. Attraversare lasciandosi alle spalle per sempre quel che non va, che non si può e non si deve portare sull’altra riva. Leggiamolo.

“Più veloci, più alti, più forti si deve produrre, consumare, spostarsi, istruirsi… competere insomma. La corsa al ‘più’ trionfa senza pudore, il modello della gara è diventato la matrice riconosciuta ed enfatizzata di uno stile di vita che sembra irreversibile ed incontenibile. Superare i limiti, allargare i confini, spingere in avanti la crescita ha caratterizzato in misura massiccia il tempo del progresso dominato da una legge dell’utilità definita ‘economia’ e da una legge della scienza definita ‘tecnologia’ – poco importa che tante volte di necro-economia e di necro-tecnologia si sia trattato. Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del ‘di più’ ad una del ‘può bastare’ o del ‘forse è già troppo’. Dopo secoli di progresso, in cui l’andare avanti e la crescita erano la quintessenza stessa del senso della storia e delle speranze terrene, può sembrare effettivamente impari pensare di ‘regredire’, cioè di invertire o almeno fermare la corsa del ‘citius, altius, fortius’. La quale è diventata autodistruttiva, come ormai molti intuiscono e devono ammettere (e sono lì a documentarlo l’effetto serra, l’inquinamento, la deforestazione, l’invasione di composti chimici non più domabili… ed un ulteriore lunghissimo elenco di ferite della biosfera dell’umanità). Bisogna dunque riscoprire e praticare dei limiti: rallentare (i ritmi di crescita e di sfruttamento), abbassare (i tassi di Inquinamento, di produzione, di consumo), attenuare (la nostra pressione verso la biosfera, ogni forma di violenza). Un vero ‘regresso’, rispetto al ‘più veloce, più alto, più forte’. Difficile da accettare, difficile da fare, difficile persino a dirsi. Tant’è che si continuano a recitare formule che tentano una contorta quadratura del cerchio parlando di ‘sviluppo sostenibile’ o di ‘crescita qualitativa, ma non quantitativa’, salvo poi rifugiarsi nella vaghezza quando si tratta di attraversare di concreto il fiume dell’inversione di tendenza. Ed è invece sarà proprio quello ciò che ci è richiesto sia per ragioni di salute del pianeta sia per ragioni di giustizia”.

Parole incredibili, scritte trent’anni fa ma che potrebbero essere state scritte oggi. Parole che fanno rabbia perché onestamente dobbiamo dire che non le abbiamo seguite neppure un po’ e non ci abbiamo neanche provato. Continuano a dominare la scena termini come “attrattività”, “eccellenza”, “competitività”, “accelerazione” che non sono altro che maschere dietro le quali c’è sempre e ancora lei, la parola delle parole: crescita.

Langer proponeva il metodo della sufficienza, dell’equità, dei limiti, dell’eliminazione di alcune pratiche dannose. Non era un ingenuo o un funambolo senza i piedi a terra, sapeva perfettamente che non era facile. Ma sapeva altrettanto che era ed è ancora necessario, doloroso per alcuni e vantaggioso per molti. Si trattava di provarci, di iniziare a mettersi su quella lunghezza d’onda, di provare a immaginare e disegnare un’altra economia e un’altra politica.

In un saggio del 1984, parlando con autocritica dei Verdi, non nascondeva la sua immensa preoccupazione per un modo profittevole e miope di fare politica anche in quel movimento dove serpeggiava la rinuncia all’ambizione della grande e fondamentale conversione culturale in favore di un piccolo cabotaggio politico in cerca di qualche seggio. Malanni presenti anche oggi? Di nuovo, si tratta di scegliere se la necessità e il coraggio devono lasciare il posto alla convenienza del posto sicuro in consiglio comunale o regionale. Se la frenesia di conquistare qualche seggio deve tacitare i grandi principi ecologici piegandoli al compromesso prima del tempo. Abbandonare un’idea solo perché è difficile o non ti fa vincere un posto in consiglio significa scegliere di rinunciare prima ancora di provarci, significa vincere un posto per poi mettersi un nastro adesivo sulla bocca. Abbiamo praticato fin troppo lo sport del compromesso e del calcolo dicendo che solo vincendo si sarebbero cambiate le cose. Ma le cose non si cambiano senza argomenti, senza immersione culturale e avendo in tasca la fedeltà al compromesso preventivo, pronti al riduzionismo dei principi ecologici.

I fatti di oggi purtroppo danno ragione ad Alex Langer. Non ci resta che dare voce alle parole della conversione ecologica di Alex Langer. Non facciamolo morire di nuovo. Più numerosi siamo a scriverne, più alta sarà la voce e forte il suo ricordo. Presentiamolo ai giovani. Andiamo a comprare i suoi libri e la raccolta dei suoi scritti. Se abbiamo un ruolo politico, corriamo a studiare i testi di Langer. Ricordo la raccolta “Il viaggiator leggero” edita da Sellerio, “Non per il potere” edito da ChiareLettere e la biografia leggera scritta da Pippo Civati, edita da People, ma anche i suoi testi pacifisti raccolti nell’antologia di Altreconomia dal titolo “L’aiuola che ci fa tanto feroci”. Già perché Alex Langer era un convintissimo pacifista. D’altronde come è possibile pensare alla tutela della natura se non insieme alla pace?

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