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Ambiente / Opinioni

Gli obiettivi climatici e quell’enfasi sull’idrogeno

Il vettore energetico è sempre più proposto come l’unica soluzione al riscaldamento globale. Non è così, ma la ricerca va sostenuta. La rubrica di Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 238 — Giugno 2021
© Unsplash

Si fa un gran parlare di idrogeno. Leggendo i titoli dei giornali che si sono occupati della parte “tecnologie green” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sembra che la soluzione per il problema del cambiamento climatico dipenda dall’idrogeno. Forse anche perché nel Pnrr il termine “idrogeno” compare 98 volte, contro 78 volte del termine “rinnovabili” e 13 volte del termine “solare” o “fotovoltaico” e cinque volte di “eolico”.

Per capire perché questa enfasi è eccessiva si può partire dal ricordare che l’idrogeno non è una fonte energetica, bensì un vettore energetico. Fonti energetiche sono il sole, il vento, o i combustibili fossili (gas naturale, petrolio e carbone). L’idrogeno invece non è disponibile in natura, è un vettore energetico come l’elettricità: serve per traportare energia, o per accumularla, ma deve essere prodotto.

Ci sono diversi metodi per produrre idrogeno. Quello considerato più importante è l’elettrolisi dell’acqua: un processo che richiede solo acqua ed elettricità (oltre che una cella elettrolitica); se l’elettricità è prodotta da fonti rinnovabili si dice che si produce idrogeno “verde”. L’idrogeno può essere prodotto anche a partire dal gas naturale, con un processo chiamato di “reforming”. Ma da questo processo si ottiene anche CO2, proprio l’inquinante maggiormente responsabile del riscaldamento globale; quindi, per rendere ambientalmente conveniente questa produzione di idrogeno, la CO2 deve essere controllata: non emettendola in atmosfera ma sequestrandola in qualche modo (e si stanno studiando diversi modi). In questo caso si dice che si produce idrogeno “blu”. Se non si sequestra la CO2, si dice invece che l’idrogeno prodotto è “grigio”. In realtà l’idrogeno prodotto è sempre incolore, sono solo nomi che cercano di evidenziare i vantaggi ambientali dei diversi metodi.

L’idrogeno ha tanti possibili impieghi, per la produzione di elettricità (con celle a combustibile), per lo “stoccaggio” di energia prodotta da fonti rinnovabili, utilizzabile nel settore dei trasporti (bus, camion, navi, treni, aerei), nel settore industriale (raffinerie, acciaio, chimica); con l’idrogeno si possono produrre altri combustibili “sintetici”. Nel Pnrr si parla soprattutto di idrogeno verde, ma il problema è che siamo molto lontani dall’avere tutta l’energia rinnovabile che ci serve per il nostro sistema energetico, quindi se si usa per produrre idrogeno la si toglie ad altri usi.

98 Il numero di volte in cui la parola idrogeno compare nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Anche se potrà essere uno dei componenti dei sistemi energetici “fossil free” del futuro, l’attuale interesse è forse eccessivo

Per questo la ricerca scientifica si sta occupando anche dell’idrogeno blu: della possibilità di produrlo stoccando CO2 in depositi geologici, della convenienza economica e della valutazione dei costi e benefici ambientali. Non è facile capire dalle decine di articoli scientifici pubblicati quale sia la strategia più conveniente. Se non avessimo la maledetta fretta di ridurre le emissioni che -giustamente- ci mettono l’Accordo di Parigi e l’European Green Deal, potremmo tranquillamente aspettare di avere tanto idrogeno verde da energia rinnovabile.

Ma vista l’incombenza dei cambiamenti climatici e avendo assunto in Europa impegni significativi già per i prossimi dieci anni (30% circa in meno rispetto ai livelli del 2020), e per i successivi 20 (emissioni nette zero di tutti gas serra nel 2050) secondo molti esperti conviene perseguire tutte le strade, scartandole solo quando si è sicuri che non hanno un futuro e sicuramente non danno benefici. E non è facile dire quali è giusto scartare perché in passato l’ingegno umano e la volontà politica hanno reso possibili cose inaspettate, hanno permesso “salti” e accelerazioni inattese. In fondo, è anche su questo che possiamo fondare una moderata fiducia di riuscire a limitare i danni del surriscaldamento globale.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)

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