Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Altre Economie / Approfondimento

La nuova vita dei tessuti. Quando gli artigiani rigenerano la manifattura

I prodotti del progetto “Rilana” al mercato circolare della Cascina Cuccagna a Milano © Marianna Parmeggiani

A Prato, l’azienda “Lo fo io” recupera filati di scarto o lane dismesse destinate a diventare rifiuto e li trasforma in materia prima di qualità per accessori invernali. E il design sociale di “Altreborse” coinvolge nel suo nuovo corso i richiedenti asilo

Tratto da Altreconomia 200 — Gennaio 2018

“La verginità non è più una virtù”: lo sanno bene le sorelle Bertola, che da quarant’anni portano avanti un piccolo maglificio a Prato utilizzando filati pratesi composti da lane “rigenerate”. Dare una nuova vita alle lane già utilizzate e diventate rifiuto è una tradizione storica pratese dove, dalla fine dell’Ottocento, i “cenciaioli” del distretto tessile che include 12 Comuni e una popolazione di oltre 300mila abitanti hanno sempre cernito gli stracci in base ai colori e ai materiali, per trasformarli in filati di lana da ritessere.

“A lungo la rigenerazione è stata considerata un processo di ‘serie B’ rispetto all’uso della pura lana vergine. Al contrario, questi filati di qualità sono storicamente selezionati da cenciaioli e abili artigiani pratesi e hanno un valore aggiunto perché provengono dal recupero di lane dismesse, che da rifiuto diventano nuova materia prima”, spiega Guido Bertola, professionista della rete di comunicatori indipendenti “Smarketing”. Per rinnovare e tenere in vita la manifattura delle sorelle Bertola, sue zie pratesi, Guido e i cugini artigiani Beppe e Sara Allocca hanno rinnovato l’immagine della ditta -rinominata “Lo fo io” – e lanciato il nuovo progetto “Rilana”: una linea di scaldacolli, sciarpe, cappelli e guanti con una parte di lana rigenerata e non ritinta, realizzata interamente a Prato da piccole realtà artigiane.

La linea di prodotti è il risultato di un meticoloso lavoro di collaborazione tra diverse professionalità: i cenciaioli selezionano in base alla fibra e al colore gli indumenti usati e scarti di lavorazione, da cui ricavano la materia prima rigenerata (detta anche “lana meccanica”); i filatori si occupano del passaggio successivo per produrre il filato tramite la cardatura; quindi gli artigiani di “Lo fo io” trasformano i filati in accessori invernali rigenerati.

Le zie, specializzate nella maglia fine, producono guanti fatti per il 98% di cashmere rigenerato, il cappello “fine” e il “ganzo”, uno scaldacollo che diventa cappello, di lana merino (50%) e cashmere rigenerato (50%) oppure di lana rigenerata (40%), poliammide (22%), seta (20%) e altre fibre. “Non è sempre facile trovare filati di questo genere, quindi di volta in volta lavoriamo con diverse composizioni di fibre, cercando le combinazioni migliori”, spiega Guido, aggiungendo che la comunità del distretto tessile pratese “permette una collaborazione con altre manifatture, specializzate in lavorazioni diverse della maglia”. Questo ha consentito a “Rilana” di ampliare il catalogo con altri prodotti come lo “scalda” tubolare o il cappello “balza” e il “marinaio”, realizzati con filati di medio spessore, per l’80% di cashmere rigenerato e per il 20% di cascami di lana (i residui della lavorazione) e più recentemente anche con filato composto da 98% di cashmere.

In questo modo, la filiera di “Lo fo io” si sta accorciando, passando dalla lavorazione conto terzi alla vendita diretta ai consumatori, “dalla rocca alla gente”, come dice lo slogan della manifattura. I prodotti -che hanno prezzi accessibili, tra i 18 (il “ganzo”) e i 45 euro (per l’“elaborata”, la sciarpa di filatura media, intrecciata)-, sono oggi venduti direttamente in un piccolo negozio nel centro della città di Prato: un negozio “rigenerato” nell’ambito del progetto “Pop Up Lab Prato”, a pochi chilometri dal laboratorio-bottega, recentemente trasferito in città in via Gigli.

Lana meccanica, che dà vita al cashmere rigenerato
Lana meccanica, che dà vita al cashmere rigenerato © Martina Melchionno

Grazie a un cofinanziamento dell’assessorato alla Presidenza, partecipazione e sicurezza urbana della Regione Toscana, tra i fondi destinati alla sicurezza urbana, con “Pop Up Lab” il Comune di Prato ha infatti messo a disposizione gratuitamente per tre mesi 19 fondi commerciali sfitti, con l’obiettivo di valorizzare due vie abbandonate, via del Serraglio e via Muzzi. “Dopo aver stretto un accordo con i proprietari dei fondi, abbiamo attivato una selezione finalizzata a selezionare attività commerciali, artigianali, imprese e start-up interessate a insediarsi negli spazi riaperti, dovendo sostenere solamente le spese per l’allestimento”, racconta Cristian Pardossi, della cooperativa “Sociolab” e presidente dell’associazione promotrice del progetto. La prima fase del “Pop Up Lab Prato” si conclude a metà gennaio, con la speranza che “le attività ospitate in questi tre mesi possano insediarsi stabilmente negli spazi riaperti”.

Il primo sostenitore e collaboratore di “Rilana” è stato Gianbattista Belotti, appassionato di prodotti ecologici e artigianali, che ha conosciuto Guido grazie a “Smarketing”. Nelle fiere dedicate all’ecologia e al consumo critico, li potete facilmente trovare fianco a fianco: se spostate di poco lo sguardo dai “ganzi” di “Rilana”, nel banco accanto vedete le “Altreborse” di Gianbattista e Annarita. “Non avendo le abilità necessarie per produrre una mia linea di prodotti”, infatti, Gianbattista ha deciso di vendere quelle altrui tramite la piccola ditta “Tempobiologico” di Ospitaletto (Bs) e nel 2010 ha avviato con Annarita Quaranta -titolare della bottega solidale “Roba dell’altro mondo” di Camogli (Ge)- un progetto di importazione diretta di borse artigianali. Le prime “Altreborse” erano cucite a Madrid da Rosario e Alvaro, una coppia di sudamericani trasferita dal 1989 in Spagna.

La linea di prodotti di “Rilana” è il risultato di un meticoloso lavoro di collaborazione tra diverse professionalità: cenciaioli, filatori e artigiani rigenerano i filati

Gianbattista è andato a conoscerli di persona dopo aver visto le loro creazioni in una fiera a Madrid ed è rimasto subito colpito “dall’atmosfera vivace dei colori dei tessuti e dalle poche e semplici attrezzature con cui lavoravano”, racconta. “In Argentina lavoravano il cuoio, ma in Spagna non hanno trovato una materia prima di qualità e hanno convertito la produzione sul cotone, allestendo un laboratorio al piano terra della loro casa”. Qui con Rosario e Alvaro lavoravano altre tre dipendenti, producendo borse colorate, dal taglio semplice, pratiche per l’uso quotidiano. La qualità che Gianbattista ha trovato nelle loro borse è prima di tutto l’essenzialità: “Con queste forme dal taglio pratico possiamo ignorare le mode per tornare alla funzione originaria di spostamento di oggetti nei nostri viaggi quotidiani”, spiega. Inoltre, erano borse fatte con tele recuperate dall’industria tessile, fallate o dai campionari: “Tutti tessuti di scarto, ma molto durevoli, che così hanno ritrovato una nuova vita e un rinnovato valore estetico”.

L'interno del laboratorio Nuele © archivio Nuele
L’interno del laboratorio Nuele (“treccia” in lingua Swahili), nato per dare lavoro ai richiedenti asilo © archivio Nuele

 

Nel 2013 però Rosario e Alvaro, ormai vicini alla pensione, decidono di ridurre la produzione entro tre anni alle sole borse che possono vendere direttamente in un mercato domenicale. Così, dal febbraio 2017, dopo aver rinunciato a far cambiare idea agli amici di Madrid, per tenere in vita il progetto “Altreborse”, Gianbattista e Annarita si sono messi alla ricerca di un altro partner e l’hanno trovato nell’atelier “Nuele” (“treccia” in lingua swahili) dell’associazione “Il mondo nella città” di Schio (Vi), nata nel 2000 per dare accoglienza e lavoro ai richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale (una storia che avevamo raccontato nel numero 152 di Altreconomia).

Il laboratorio di “Nuele”, aperto nel 2007, confeziona abiti, borse e accessori con tessuti recuperati da campionari, fabbriche e aziende agricole e ha oggi quattro dipendenti che vengono dall’Iraq, il Kurdistan siriano, il Togo e l’Italia, cinque rifugiati che sono tirocinanti part time. “A seguire questa nuova avventura di ‘Altreborse’ sono in particolare il sarto Arshad, curdo iracheno di 37 anni approdato a Catanzaro nel 2008, e Andrea, una volontaria che ci sta dando un aiuto importante nella costruzione del progetto”, spiega la responsabile Renata Dal Maistro. “Grazie a questa nuova collaborazione con Nuele ci sembra finalmente di chiudere il cerchio”, dice Annarita Quaranta, che diffonde il progetto “Altreborse” dalla sua bottega e nelle fiere. “Così il progetto guadagna una nuova valenza sociale, sostenendo il lavoro dei rifugiati -spiega-, anche se comporta un impegno maggiore per noi, perché stiamo cercando di apportare delle piccole migliorie ai modelli delle borse”. In questi mesi, sono stati numerosi gli incontri fatti con l’atelier per lavorare insieme sul nuovo design delle borse, usando delle tele di arredamento colorate e resistenti e il cotone rigenerato per le tracolle, “che prima erano in polietilene”, aggiunge Annarita. “Pensiamo che ci siano tutte le premesse perché questa nuova collaborazione possa essere a lungo termine, per incidere davvero sostenendo il lavoro dell’associazione ‘Il mondo nella città’ e continuando insieme a diffondere il progetto ‘Altreborse’”. Fino a oggi i sarti di “Nuele” sono arrivati a confezionare sette diversi modelli di borse (prima erano 22), ciascuna con il nome di un albero: un primo passo per un progetto che metterà radici nei prossimi mesi.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati