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Ambiente

Nucleare. Storia di un declino

Un anno dopo Fukushima la prossima Era nucleare sembra oramai al crepuscolo. Nonostante gli investimenti cospicui, in valore assoluto, di Paesi – continente come la Cina o l’India, l’opzione atomica perde colpi ridimensionandosi, nei prossimi decenni, ad un ruolo ancillare nella produzione energetica. Sottostima dei rischi, problema delle scorie ma, soprattutto, alti costi di costruzione e di gestione, tempi biblici per la messa in operatività. Nonostante la lobby nuclearista cerchi disperatamente una via d’uscita, il colpo definitivo è arrivato, in modo imprevedibile, dall’Economist.

Sembra passata un’eternità da Fukushima e dal suo disastro. E’ il potere della comunicazione e dell’eccesso di informazione: l’intenzione di rimuovere l’incubo giapponese da parte delle lobbies nucleariste e di buona parte dei Governi della terra fa il paio con un flusso di informazioni continuo, inarrestabile, che comprime i tempi in modo spasmodico al punto da far percepire un evento accaduto solo che una settimana prima come lontano ere geologiche.
Ma in quella primavera di solo che un anno fa assistemmo a molto più che ad un’immane tragedia che spazzò via vite e comunità. Con Fukushima ci fu un cambio di paradigma: la chiusura definitiva dell’opzione nucleare come tecnologia viabile per rifornire di energia il mondo intero.
Prima ancora della società civile se ne accorsero gli addetti ai lavori, per questo interessati agli sviluppi della tragedia. Poche settimane dopo lo tsunami, mentre la Tepco ed il Governo giapponese si arrampicavano ancora sugli specchi di un’informazione carente e colpevolmente parziale, Bloomberg ospitava un intervento di Fatih Birol, chief economist all’International Energy Agency. "Tagliare della metà i nuovi impianti nucleari progettati per i prossimi 25 anni potrebbe aggiungere ulteriori 500 milioni di tonnellate di CO2 al totale delle emissioni del 2035, l’equivalente di ulteriori cinque anni di emissioni extra", raccontava in un’intervista telefonica. La fine del nucleare, insomma, sarebbe stata una pessima scelta.
Un anno dopo le pagine dell’Economist, uno dei più autorevoli periodici economici al mondo, ribalta la prospettiva. "Nuclear Energy: the dream that failed" è il titolo del report di 14 pagine che il settimanale ha pubblicato nel suo ultimo numero, decretando la parola "fine" ad ogni velleità di nuclear reinassance presente e futura.
E la questione non riguarda soltanto le preoccupazioni del cittadino medio (da molti nuclearisti definite "irrazionali"), ma l’inconsistenza della presupposta convenienza economica del nucleare, e il contributo assolutamente relativo che, comunque, darebbe alla sostituzione dei combustibili fossili.
"In un mercato liberalizzato dell’energia" riporta il periodico "costruire impianti nucleari non è più un’opzione commercialmente viabile: semplicemente perchè sono troppo costosi".
"Nessuno ora ne costruirebbe uno senza una qualche forma di sussidio al suo finanziamento o senza la promessa di un accordo favorevole per la vendita dell’elettricità". E questo perchè i costi sono assolutamente proibitivi. Quando le aziende private hanno cominciato a mettere sul mercato i reattori di terza generazione, il moro marketing li presentava come più sicuri e molto meno costosi. Ma studi inglesi del 2004, nel 2006 e nel 2008 hanno mostrato una crescita continua dei cosiddetti costi  "overnight" (i costi di costruzione di un impianto, che comprendono mano d’opera e materiali) "da 2233 dollari per kW installato a 2644 per arrivare a 3000. Stime del Massachusetts Institute of Tecnology (MIT) sono aumentate da 2208 dollari per kW installato ad oltre 4000. Le stime per un reattore EPR in Belgio, ora cancellato, sono arrivate a 5400 dollari per kW installato". Numeri che rischiano di far esplodere i costi per la costruzione degli impianti, se si pensa che "la costruzione di due reattori AP1000S (NdA: reattore di 3+ generazione prodotto dalla Westinghouse, che l’Ansaldo Nucleare avrebbe considerato tra quelli papabili da installare nel nostro Paese) che la Progress Energy ha pianificato in Florida hanno raggiunto il costo di 20 miliardi di dollari, cioè circa 9000 dollari per kW installato", cosa che fa dar per certo la cancellazione del programma.
Questo significa che la tecnologia nucleare sarà messa definitivamente in un cassetto? Non  necessariamente, diversi Paesi emergenti hanno pianificato la costruzione di megaWatt nucleari nei prossimi anni, tra cui la Cina. Ma di certo la situazione attuale legata ai costi ed all’effetto Fukushima ne condizionerà gli sviluppi, concedendo all’atomo un ruolo ancillare rispetto ad altre fonti energetiche, tra cui quelle rinnovabili il cui costo sta diminuendo in modo esponenziale anno dopo anno.
Un problema di cui non si dovrà occupare solo il Giappone, i cui 54 reattori sono in gran parte chiusi (ad oggi ne sono rimasti in attività solo due), ma anche il resto della comunità internazionale. Per dirla con Oliver Morton, autore del report "l’energia nucleare non sparirà, ma il suo ruolo non potrà essere più che marginale". Insomma, non è ancora la fine, ma sicuramente l’inizio del declino.
 

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