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Non sprecare: un dovere e non solo una virtù

Lungo la filiera alimentare si perde un terzo della produzione mondiale di cibo destinata al consumo umano. Anche in Italia l’impatto è rilevante. L’analisi del professor Paolo Graziano

Tratto da Altreconomia 210 — Dicembre 2018
© Photo by Dan Gold on Unsplash

La produzione di cibo ha un notevole impatto sull’ambiente: basti pensare al consumo di acqua e all’energia impiegate, e alle emissioni prodotte per il trasporto dei prodotti alimentari. Questi impatti possono essere ridotti se scegliamo di consumare cibi che richiedono poche trasformazioni industriali, prossimi al luogo dove vengono prodotti e coltivati nel rispetto della biodiversità. Tuttavia, oltre agli impatti derivanti dal cibo prodotto, l’ambiente risente anche dell’enorme quantità di cibo che viene buttato: lo spreco alimentare.

A tal riguardo, secondo la FAO, ogni anno un terzo della produzione mondiale di cibo destinata al consumo umano (3,9 miliardi di tonnellate) si perde o si spreca lungo la filiera alimentare, per un ammontare complessivo di circa 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti. In Europa la quantità di cibo sprecata ogni anno ammonta a 89 milioni di tonnellate. Lo spreco riguarda tutta la filiera alimentare, molto complessa da tracciare. La suddivisione percentuale dello spreco alimentare mostra come il 42% si verifica nelle abitazioni domestiche, il 39% durante la fase di trasformazione/produzione, il 14% nel settore della ristorazione, il 5% nella vendita al dettaglio e all’ingrosso.

Il Rapporto 2018 dell’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market/Swg e il progetto Reduce, promosso dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna, dall’Università della Tuscia e il ministero dell’Ambiente, ci forniscono ulteriori indicazioni sulle dimensioni del fenomeno nel contesto italiano. Il progetto Reduce, infatti, ha messo in luce come “sul piano della distribuzione lo spreco del cibo grav[i] per 9,5 kg/anno ad ogni mq di superficie di vendita negli ipermercati e per ben 18,8 kg/anno ad ogni mq nei supermercati.

Tradotto per ogni consumatore italiano significa una produzione di spreco di 2,89 kg/anno pro capite, vale a dire 55,6 gr a settimana e 7,9 gr al giorno solo sul piano distributivo. Il 35% di questo spreco potrebbe essere recuperabile a scopo alimentazione umana”. Inoltre, la rilevazione mette in luce attraverso i “Diari di Famiglia” i dati dello spreco domestico del cibo in Italia: 36 chilogrammi annui di alimenti pro capite che finiscono nella spazzatura pur essendo pienamente commestibili. Ciò rappresenta un evidente danno economico per il 93% degli italiani e un elemento di forte impatto diseducativo sui giovani, secondo il sondaggio condotto nell’ambito del Rapporto 2018 dell’Osservatorio.

89 milioni di tonnellate: l’ammontare dello spreco alimentare in Europa in un anno

Non sprecare non è una virtù: è un dovere morale e civile. Ed è anche un segno tangibile di coesione sociale in quanto forma di rispetto nei confronti dei meno abbienti e dell’ambiente. Che fare? Tra i progetti di recupero attivi, si segnalano quelli connessi all’iniziativa “Last Minute Market” che hanno consentito di recuperare prodotti per un valore complessivo di 22 milioni di euro e con il coinvolgimento di numerosi donatori e Comuni, per un recupero complessivo di oltre 314mila pasti, a cui si sono aggiunti oltre 850mila farmaci e quasi 14mila libri. Sono progetti importanti, frutto di collaborazioni virtuose tra cittadini e istituzioni, che dovrebbero essere ancora più diffusi per poter arrivare in tempi rapidi all’obiettivo più importante: zero spreco, zero rifiuti.

Paolo Graziano insegna Scienza Politica all’Università degli Studi di Padova ed è co-coordinatore di OCIS

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