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Ambiente

Non solo petrolio

Anche le riserve di molti minerali si stanno esaurendo. Gestire in maniera sostenibile quel che resta è possibile, spiega il professor Marco Pagani*

Tratto da Altreconomia 100 — Dicembre 2008

Oltre al petrolio, di cos’altro dovremo fare a meno nei prossimi anni?
Quindici minerali di grande importanza tecnologica sono stati sfruttati per oltre la metà. Tra essi ci sono il mercurio (estratto al 95%), il piombo, l’argento e l’oro (estratti per oltre l’80%), l’arsenico, il cadmio e lo zinco (circa il 70%); l’estrazione di stagno, litio e selenio si attesta intorno al 60%, mentre manganese, rame, berillio e tungsteno sono intorno al 50%. Queste percentuali sono state calcolate tenendo conto delle riserve economicamente sfruttabili, secondo l’Usgs, il servizio geologico del governo degli Stati Uniti. Esistono riserve marginali un po’ più ampie, il cui sfruttamento è pero assai più costoso, soprattutto in termini energetici.
Di alcuni abbiamo già iniziato a fare a meno: il mercurio ad esempio è scomparso da quasi tutte le applicazioni tecnologiche, mentre si stanno riducendo considerevolmente gli impieghi per il piombo e il cadmio.
Ci sono materiali insostituibili. Uno è il rame, considerato fondamentale per una civiltà tecnologica. Le riserve sono oggi stimate in cinquecento milioni di tonnellate, ovvero circa 70 chilogrammi per ogni abitante del pianeta. Un altro è il litio, che per la sua bassa densità sarà di impiego fondamentale per le batterie dei veicoli elettrici. Le riserve ammontano a circa 4 milioni di tonnellate, appena sufficienti ad equipaggiare l’attuale parco auto mondiale con batterie al litio. Anche ipotizzando di “sequestrare” tutta la produzione annuale di litio per le auto elettriche, non se ne potrebbero comunque produrre più di 60 milioni all’anno. D’ora in poi occorre fare bene i conti sulle riserve minerali prima di lanciarsi nella produzione insostenibile di qualche novità tecnologica per il consumo di massa.
La scoperta di nuovi giacimenti potrà modificare queste previsioni?
Sui giornali si leggono previsioni sulla durata futura di certe risorse minerarie, basate su una valutazione scorretta dell’attività estrattiva. Consideriamo ad esempio il cadmio: secondo l’Usgs le riserve sfruttabili ammontano a circa 500mila tonnellate, mentre la produzione annua si attesta a 20mila tonnellate. Viene spontaneo dividere questi due numeri e affermare che le riserve dureranno per altri 25 anni ai ritmi attuali di estrazione. Ma le miniere non sono serbatoi o magazzini da cui prelevare a piacimento ciò che ci serve nelle quantità volute. Il cadmio si trova all’interno di una matrice rocciosa che contiene moltissimi altri elementi non desiderati; per ottenerlo occorre identificare i giacimenti, scavare e smuovere il materiale, separarlo dalle scorie e raffinarlo. Queste operazioni hanno un costo economico (e soprattutto energetico) crescente a mano a mano che si passa dai filoni più grandi e più ricchi ai giacimenti più piccoli e marginali in cui la concentrazione di cadmio è più bassa. Detto con una metafora, si inizia a mangiare la polpa più tenera e succosa, si passa a quella più dura e meno appetibile e poi ci si deve ridurre a staccare i frammenti di carne dalle ossa.
Per questo la produzione non può continuare a lungo ai ritmi attuali.
Anche i consumi energetici potrebbero rappresentare un fattore limitante. Ma non dovremmo assistere a un’evoluzione delle tecniche estrattive in termini di rese e di efficienza energetica?
Il miglioramento della tecnologia estrattiva ha già permesso di utilizzare giacimenti di minerali a più bassa concentrazione. Questo si scontra, però, con due limiti fisici ben precisi. Il primo è dato dalla grande quantità di roccia che occorre scavare, frantumare e trasportare. Una miniera a più bassa concentrazione ha un impatto ambientale assai più elevato.
Il secondo riguarda l’energia necessaria per ricavare il metallo dalla matrice rocciosa. Un esempio interessante è dato dall’estrazione del rame: se si dovesse estrarre dalla crosta terrestre (concentrazione media di 65 parti per milione), per ottenere l’attuale produzione annua (15 milioni di tonnellate) occorrerebbe usare l’intera produzione annua del pianeta di carbone, petrolio e gas naturale.
Tra i minerali analizzati c’è il fosforo. Attualmente, per cosa viene utilizzato?
Per nutrire quasi 7 miliardi di esseri umani occorre fornire ai terreni i nutrienti di cui hanno bisogno, in particolare azoto, fosforo e potassio. Non esiste un’alternativa naturale al fosforo e al potassio: anche nell’agricoltura biologica vengono usati fosfati e potassa di origine minerale. Per il fosforo si parla di “ciclo aperto”, perché il processo agricolo industriale ha l’effetto netto di trasferire il fosforo dalle miniere agli oceani, al ritmo di circa 21 milioni di tonnellate all’anno. Una volta che il fosforo finisce sul fondo dell’oceano diventa infatti un po’ difficile recuperarlo. Per questo è importante “chiudere il cerchio” del fosforo, riutilizzando sistematicamente nei campi il letame, sia animale che umano. L’uso di fertilizzante organico riduce in modo significativo la perdita di fosforo dal suolo verso le acque, rispetto all’impiego di fosfati inorganici. Non possiamo fare a meno del fosforo, ma possiamo evitare di usarlo per nutrire raccolti destinati a ingrassare il bestiame nelle stalle: ridurre i consumi di carne è un modo più efficace di utilizzare il fosforo.
In una transizione verso un’economia solare l’industria fotovoltaica assumerà un ruolo fondamentale. Quali materiali utilizza? Sono prevedibili problemi di approvvigionamento?
Le celle fotovoltaiche sono oggi costruite per la maggior parte in silicio mentre le strutture di supporto sono in genere di alluminio. Non esistono particolari problemi di approvvigionamento dal punto di vista dei materiali, dal momento che questi due metalli sono i più diffusi nella crosta terrestre. La filiera fotovoltaica potrebbe auto sostentarsi: nella sua vita utile (che è almeno di 25 anni) un pannello fotovoltaico produce almeno 10 volte l’energia che è servita per costruirlo.

* Questa intervista a Marco Pagani -docente di Matematica e Fisica a Novara, curatore del blog ecoalfabeta.blogosfere.it e socio dell’Associazione per lo studio del picco del petrolio- è un estratto da quella contenuta nel libro La vita dopo il petrolio (Altreconomia, 160 pp., 11 euro) .

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