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Non c’è fumo senza i Paesi poveri – Ae 61

Numero 61, maggio 2005 In Italia vincono i divieti, eppure nel mondo si coltiva e si consuma sempre più tabacco. Come in Brasile, secondo produttore del mondo: moltiplica la superficie, ma a guadagnarci non sono i contadini Fumiamo di meno, in Italia…

Tratto da Altreconomia 61 — Maggio 2005

Numero 61, maggio 2005
 
In Italia vincono i divieti, eppure nel mondo si coltiva e si consuma sempre più tabacco. Come in Brasile, secondo produttore del mondo: moltiplica la superficie, ma a guadagnarci non sono i contadini
 
Fumiamo di meno, in Italia ed in tutto il Nord del mondo. Gli irrudicibili del fumo sono confinati fuori da ristoranti, uffici e locali pubblici grazie o a causa di  leggi sempre più restrittive. La produzione di tabacco, però, continua a crescere ogni anno, e si concentra soprattutto nei Paesi del Sud del mondo, dove una legislazione più permissiva attira gli interessi delle grandi compagnie del settore.
Impegnate in difesa dei propri profitti, queste guardano con interesse maggiore ad aree fino a pochi anni fa marginali: il Sud del mondo, grazie al continuo aumento della popolazione e ad una maggiore ricchezza pro-capite, è oggi terra di conquista per chi ha bisogno di promuovere l’espansione dei consumi a livello mondiale.
L’81% della coltivazione mondiale di tabacco -5,6 milioni di tonnellate- è concentrata nel Sud del pianeta. Nei Paesi sviluppati, negli ultimi trent’anni, c’è stata invece una drastica riduzione della produzione (-36%), che è passata da 1,9 a 1,2 milioni di tonnellate all’anno.
La delocalizzazione della produzione è incoraggiata dai costi di produzione più bassi nel Sud del mondo, dove un chilo di tabacco viene pagato di meno. Nel 2003, quando il prezzo mondiale del tabacco era fissato a 2,28 dollari al chilo i coltivatori brasiliani -il Brasile è il secondo produttore mondiale di tabacco, dopo la Cina, ed il primo esportatore- ricevevano in media un dollaro per chilo, mentre negli Stati Uniti d’America il coltivatore otteneva 4 dollari per ogni chilo di tabacco venduto alle imprese di trasformazione.
L’espansione della produzione ha portato con sé, nonostante il contemporaneo aumento della domanda, una caduta del prezzo mondiale del tabacco ( -43% tra il 1998 ed il 2003, da 3,97 a 2,28 dollari al chilo). A farne le spese non sono state le grandi multinazionali del settore (nel 2002 Altria/Philip Morris, British American Tabacco e Japan Tobacco, le tre maggiori, hanno dichiarato complessivamente un profitto di 121 miliardi di dollari), quanto piuttosto i principali Paesi esportatori e gli agricoltori direttamente impegnati nella produzione di tabacco.
In Brasile l’aumento nella produzione è stato stimolato nel corso degli ultimi anni dai bassi costi della manodopera e dagli investimenti stranieri volti a promuovere la coltivazione di tabacco Virginia (una varietà pregiata), per rispondere alle richieste del mercato mondiale in espansione. 
Nel 2004 sono state esportate 466 mila tonnellate di tabacco (su una produzione totale di 928 mila) e nel 2005 si prevede un aumento delle esportazioni del 31%, fino a 590 mila tonnellate.
I destinatari principali del tabacco brasiliano sono i Paesi dell’Unione Europea, in particolare Francia ed Inghilterra, dove è diretta quasi la metà del prodotto esportato; seguono Estremo Oriente (Cina e Giappone, 20%) e Stati Uniti (15%). Secondo le proiezioni, nel 2005 le esportazioni di tabacco garantiranno un fatturato di 1,5 miliardi di dollari.
In Brasile, la coltivazione del tabacco dà lavoro a 220 mila famiglie, appena l’1,9% della forza lavoro impegnata in agricoltura, e lo 0,44% della forza lavoro del Paese. Metà della produzione è localizzata nello stato del Rio Grande do Sul, da cui proviene il 90% del tabacco esportato. Qui la superficie coltivata a tabacco è complessivamente di 220 mila ettari, ed è aumentata del 45% negli ultimi dieci anni.
Sono 133 mila le famiglie di coltivatori di tabacco nello Stato, e la maggior parte produce per conto della Souza Cruz, filiale brasiliana della British American Tabacco.
All’inizio della stagione i contadini sono invitati a firmare un contratto con il quale si impegnano a vendere il totale della propria produzione a Souza Cruz e ad acquistare esclusivamente dalla compagnia le sementi, i fertilizzanti ed i pesticidi necessari. Non possono utilizzare sulle piante di tabacco prodotti non raccomandati da Souza Cruz.
Il coltivatore cura anche il processo di essiccazione delle foglie di tabacco, utilizzando stufe costruite con soldi presi a prestito dalla Souza Cruz. Prestito che deve essere restituito con gli interessi.
Per essiccare un chilo di tabacco sono necessari 5,5 chili di legna. In tutto il mondo, ogni anno, si abbattono circa 200 mila ettari di foreste e piante per attività correlate all’industria del fumo. Per mitigare le possibili critiche e gli effetti ambientali devastanti della tabaccocoltura, Souza Cruz promuove progetti di riforestazione nell’ambito delle proprie iniziative di responsabilità sociale d’impresa, obbligando i contadini a piantare eucalipti accanto al tabacco.
Scelta senz’altro conveniente per la compagnia visto che l’eucalipto cresce velocemente, saccheggiando il sottosuolo e impoverendo il terreno, ed in pochi anni è legna da ardere, che i contadini utilizzano per essiccare il tabacco.
È una sorta di “schiavitù del tabacco”, che vede i contadini indebitati con le imprese, perché non esiste alcuna forma di contrattazione collettiva che -come invece avviene  in Italia- tuteli almeno in parte i coltivatori rispetto alle compagnie di trasformazione. A fronte di questa situazione il governo brasiliano non agisce per ridurre produzione e consumo nel Paese.
Il Senato, chiamato a pronunciarsi entro il primo semestre del 2005, non ha ancora approvato l’accordo quadro sul tabacco promosso dalla Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la Framework Convention on Tobacco Control, adottata nel maggio del 2003 dai 192 membri dell’Oms.
Facendo leva su strategie di riduzione della domanda, la Convenzione impegna i governi a implementare strategie per accompagnare i coltivatori di tabacco verso colture diverse. Dopo il passaggio alla Camera, che ha approvato l’accordo nel 2004, il dibattito riguarda in particolare l’articolo 17 della Convenzione: la riduzione della produzione di tabacco provocherebbe gravi danni per le casse dell’erario, dove “il fumo” porta ogni anno circa 2 miliardi e mezzo di dollari, pari al 55% sul totale dei ricavi dell’industria del tabacco (il 31% tocca alle industrie e solo il 7% ai produttori).
In linea con il governo, Afubra -l’Associaçao dos fumicoltores de Brasil- e Sindifumo -il Sindicato da indústria do fumo- sono intenzionati ad impedire l’approvazione della Framework Convention, convinti che l’espansione del settore rappresenti un leva su cui spingere per promuovere lo sviluppo economico del Paese e decisi perciò a difendere e rafforzare la leadership del Brasile nel mercato mondiale del tabacco. !!pagebreak!!
 
Poveri e adolescenti nel mirino dei big delle sigarette

I fumatori sono oggi 1 miliardo e 200 milioni (il 20% della popolazione mondiale). Il consumo di tabacco è destinato ad aumentare del 5% tra il 2000 ed il 2010, fino a superare i 7 milioni di tonnellate.
Il consumo di sigarette (l’85% del tabacco prodotto e lavorato è trasformato in sigarette) è quasi raddoppiato negli ultimi trent’anni, passando da 3 milioni di tonnellate nel 1970 ai 5,3 nel 1999.
Il 60% dei 5.700 miliardi di sigarette prodotte ogni anno vengono fumate nei Paesi in via di sviluppo: in alcuni, come la Cambogia o il Vietnam, il tabagismo è un problema che affligge più dei 2/3 della popolazione (rispettivamente 80% e 73%).
Comparando i dati relativi all’ultimo trentennio, la crescita registrata nei Paesi in via di sviluppo è stata del 300%, da 1 milione a 3 milioni di tonnellate.
Nei Paesi sviluppati, invece, tra il 1970 ed il 1999, la crescita nei consumi si è attestata sul 10% (da 2 a 2,2 milioni di tonnellate).
In Brasile, uno dei mercati mondiali più importanti per la coltivazione di tabacco, il consumo è destinato a crescere del 27% tra il 2000 ed il 2010, passando da 202 mila tonnellate a 257 mila tonnellate.
Il mercato brasiliano è strettamente controllato da una filiale della British American Tobacco, la Souza Cruz, che distribuisce -attraverso 20 marche, e 7 diversi livelli di prezzo- l’81% delle sigarette consumate ogni anno (mentre un altro 14% è in mano alla Philip Morris of Brazil, filiale di Altria/Philip Morris).
Souza Cruz realizza un imponente lavoro di promozione, utilizzando le nuove tecnologie (vendita e pubblicità via internet) rivolto a conquistare al fumo in particolare giovani ed adolescenti, una fascia di mercato potenzialmente in grande espansione (nel 1998, su un totale di 30,6 milioni di tabagisti, erano 2,7 milioni i bambini e gli adolescenti fumatori in Brasile, pari al 23,9% di coloro che hanno più di cinque anni).
 
L’unico produttore italiano è inglese
Con una produzione annua di 102mila 765 tonnellate di tabacco, concentrata soprattutto in quattro regioni
-Campania, Puglia, Veneto ed Umbria- l’Italia è al primo posto in Europa.
Il 22% di tutto il tabacco coltivato nel Vecchio Continente, che rappresenta oggi appena il 7,5% del totale prodotto a livello mondiale, è italiano. Il 60% viene esportato.  Negli ultimi sei anni, in Italia, si è registrato un calo del 23% nella produzione. L’industria di trasformazione è controllata da British American Tobacco Italia (che ha acquisito nel 2003 l’Ente tabacchi italiano, Eti).
Bat è oggi l’unico produttore di sigarette, con 7 siti dislocati su tutto il territorio nazionale e 1.850 dipendenti (Ae, n. 60, aprile 2004).
Nel corso dell’ultimo anno sono scomparse dal nostro territorio due imprese -la Dimon e la Transcatab- che assorbivano una fetta consistente di mercato.

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