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Nel Mediterraneo centrale non si ferma la catastrofe umanitaria

© Eleana Elefante

Da gennaio 2021 a oggi sono state 31mila le persone migranti intercettate in mare e respinte in Libia. In 1.313 hanno perso la vita ufficialmente. A Tripoli richiedenti asilo e rifugiati protestano davanti alla sede dell’Unhcr per chiedere di poter lasciare il Paese. Una cronaca dettagliata

Nel 2021 l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 non ha interrotto la crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale. Dall’inizio dell’anno a fine novembre 62.941 persone hanno raggiunto l’Europa attraversando il Mediterraneo centrale: sono state 9.504 solo nel mese di novembre. Erano 32.563 nel 2020. È in crescita anche il numero dei minori non accompagnati: sono già 8.764 nel 2021 contro i 4.687 registrati in tutto il 2020. Il numero dei respingimenti operati dalla cosiddetta Guardia costiera libica non accenna a diminuire: da gennaio a fine novembre sono state almeno 30.990 le persone intercettate in mare e respinte in Libia, contro le 11.891 del 2020. In questa rotta nel 2021 ben 1.313 persone sono decedute o scomparse tra le acque. Dal 2014 oltre 22.838 persone sono morte in circostanze simili.

Nel mese di novembre si sono susseguiti episodi tragici nel Mediterraneo centrale. È una rassegna impressionante. Il 17 novembre si è verificato un naufragio dove oltre 75 persone sono annegate dopo essere partite dalla Libia. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha diffuso la testimonianza dei 15 sopravvissuti, salvati da pescatori e riportati a Zuara, in Libia.

Il 16 novembre la nave Geo Barents di Medici senza frontiere ha soccorso, nel tratto di mare fra Zuara e Sabratha, un’imbarcazione con 109 persone a bordo partite dalla Libia. È riuscita a metterne in salvo 99. Per 10 giovani ragazzi subsahariani, di età compresa fra i 18 e i 24 anni, non c’è stato nulla da fare: sono stati uccisi dalle esalazioni di carburante respirate nella stiva dell’imbarcazione. Un superstite, immobile e sotto shock, non voleva lasciare il relitto semi-galleggiante: guardava in basso verso la stiva dove giaceva il fratello senza più vita. Durante il complicato intervento, gli operatori di Msf hanno riposto quei corpi all’interno di 10 sacchi neri. Pochi giorni dopo, il 19 novembre, alla nave umanitaria con 186 sopravvissuti a bordo e le dieci vittime è stato assegnato il porto di Messina per lo sbarco.

A una settimana di distanza, Alarm Phone ha diramato un’allerta per altre 487 persone in difficoltà in acque Sar maltesi. Dalle disperate testimonianze dei naufraghi si saprà che tre persone nella stiva sono morte per soffocamento in attesa del soccorso. Nessuna delle autorità competenti ha risposto alle molteplici richieste di Sos. La Guardia costiera nazionale tunisina è intervenuta solo il 25 novembre, riportando tutte quelle persone a Elkfef e a Ben Gardane, al confine tra Tunisia e Libia.

Il 20 novembre una motovedetta della Guardia costiera italiana ha soccorso e condotto a Lampedusa 70 persone a rischio naufragio. Nelle stesse ore la nave Dattilo, sempre della Guardia costiera, ha soccorso altre 350 persone, tra cui oltre 40 minori, a bordo di un peschereccio a 70 miglia delle coste siciliane conducendole a Porto Empedocle. Il 24 novembre, a 14 miglia da Lampedusa, tre motovedette della Guardia costiera italiana hanno tratto in salvo 296 persone, tra cui 14 donne e otto minori, stipati su un barcone in difficoltà a causa delle pessime condizioni del meteo e del mare. Nel frattempo la cosiddetta Guardia costiera libica ha effettuato l’ennesimo respingimento illegale, a colpi di armi da fuoco, di un’altra imbarcazione in zona Sar maltese con 85 persone a bordo. Nel corso della notte a cavallo del 26 novembre, la Sea Watch4 con a bordo 463 persone (143 minori e un neonato partorito poche ore prima del soccorso da una donna di 31 anni), salvate in distinte operazioni, ha proclamato lo “stato di emergenza” reso necessario dal maltempo. Per 21 naufraghi (tra cui otto donne incinte e un uomo con gravi ustioni da carburante) è stata disposta una evacuazione urgente per motivi medici. Molte delle persone a bordo, alcune in mare da otto giorni, iniziavano a presentare complicazioni da ipotermia. Dopo 11 richieste per ottenere l’autorizzazione a sbarcare in un porto sicuro, è stato assegnato il porto di Augusta.

Non si fermano gli arrivi sulle coste meridionali. Il 28 novembre una bimba è nata su un barcone in preda alla tempesta davanti alle coste calabresi di Roccella Jonica. La motovedetta CP 326 della Guardia costiera, date le proibitive condizioni del mare, ha impiegato oltre 16 ore per mettere in salvo le 244 persone stipate a bordo.

Dalla Libia si alzano sempre più forti le voci e le testimonianze dei rifugiati e richiedenti asilo in protesta da quasi 60 giorni dinanzi alla sede dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) a Tripoli. Dal 2 ottobre, migliaia di persone migranti sono accampate davanti alla sede dell’Unhcr Libia per chiedere di potere lasciare il Paese. L’11 novembre 57 persone (prevalentemente nuclei familiari con donne e bambini) sono state in effetti liberate, hanno ricevuto contanti e carte prepagate in supporto ai primi bisogni di base ma non hanno ancora un luogo sicuro dove stare né sono state evacuate dal Paese. Le donne e i bambini rilasciati si sono uniti ai gruppi dei manifestanti presso la sede dell’Unhcr.

In tema di reinsediamenti, invece, il 5 novembre un gruppo di richiedenti asilo composto da 172 persone è stato trasferito in Niger. L’ultimo volo di evacuazione risaliva a oltre un anno fa. Il 25 novembre un gruppo composto da 90 rifugiati è invece stato trasferito a Roma su un volo “umanitario”: una procedura tra il nostro Paese e la Libia che non si verificava da settembre 2019. Si stima che ci siano almeno 6.123 persone trattenute illegalmente nei centri detentivi in tutta la Libia, tra cui 2.833 persone ritenute “vulnerabili” dall’Unhcr. Significa che migliaia di rifugiati o persone fragili, una volta rilasciati, resteranno per strada in attesa di essere evacuati o reinsediati. Altri cadranno nei circoli di violenza, detenzioni arbitrarie, estorsioni e violazione dei diritti umani.

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