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Economia / Intervista

Multinazionali, diritti umani e impunità. Le Nazioni Unite riaprono il dibattito

A fine ottobre a Ginevra si è tenuta la terza sessione del gruppo di lavoro intergovernativo che ha il compito di negoziare una regolamentazione vincolante per le imprese transnazionali. A coordinare i lavori è l’Ecuador, segnato dalla devastazione di Chevron-Texaco. Tra i partecipanti anche Nicoletta Dentico, vicepresidente della Fondazione Finanza Etica. L’abbiamo intervistata

© AFP PHOTO / RODRIGO BUENDIA

“Finalmente si è messo in moto un meccanismo diplomatico di reazione alla bolla di immunità delle imprese. Sono serviti anni di ricerca in seno al mondo accademico, e di mobilitazione della società civile. Ci sono voluti incidenti ambientali e disastri finanziari, insomma una fitta sequenza di pessime notizie di abusi pubblicate dalla stampa internazionale per far capire che l’autoregolamentazione da parte delle imprese non funziona, e non ha mai funzionato”. Nicoletta Dentico, componente del consiglio di amministrazione di Banca Popolare Etica e vicepresidente della Fondazione Finanza Etica, è rientrata da poco da Ginevra. Dal 23 al 27 ottobre ha preso parte presso le Nazioni Unite alla terza sessione dell’Open Ended Inter-Governmental Working Group (OEIGWG), gruppo di lavoro tra Governi, coordinato dall’Ecuador, che ha il compito di “negoziare una regolamentazione vincolante per le imprese transnazionali e le altre imprese private -incluso il comparto finanziario- collegata alle norme esistenti in materia di diritti umani”.

Dentico -che dal 2011 al 2013 ha coordinato la coalizione internazionale per la riforma dell’Organizzazione mondiale della Sanità- parla di una autentica “rivoluzione”. Perché?
ND Per poter rispondere è necessaria una premessa. Il percorso diplomatico internazionale che ha messo al centro i diritti umani e la responsabilità delle imprese multinazionali è iniziato decenni fa. Penso ad esempio alle prime sentenze del Tribunale permanente dei popoli che avevano analizzato il nesso tra le dittature dell’America latina e gli interessi delle grandi aziende occidentali. Dal 1999, attraverso l’iniziativa United Nations Global Compact, la questione è esplosa. I ruoli sono stati riconfigurati e all’interno delle stesse Nazioni Unite si è in qualche modo istituzionalizzato il valore degli attori privati dentro il cosiddetto policy making, la costruzione delle politiche pubbliche.

Il modello adottato fin qui è stato quello di un regime volontario della responsabilità sociale di impresa.
ND Esattamente. Uno stravolgimento degli scenari, dei ruoli, dell’intendimento della cultura politica e delle soluzioni che si vogliono adottare. Ci siamo trovati dinanzi a soluzioni politiche distanti dalla cornice dei diritti umani esistenti e più concentrate su aspetti tecnici, tecnologici, economici. Dove le leve nelle mani di imprese private transnazionali si sono rivelate più forti di quelle dei singoli Stati o addirittura di gruppi di Stati.

Il dibattito presso l’Onu si è riacceso. Da quanto e con quali prospettive?
ND È un movimento che è tornato alle Nazioni Unite intorno al 2005, 2006 e ha portato nel 2011 all’adozione dei principi guida sul business e sui diritti umani (UN Guiding Principles on Business and Human Rights), che nei fatti è un regime volontaristico su cui poggia la responsabilità sociale d’impresa. Si tratta di linee guida per certi versi interessanti ma che hanno affidato la propria declinazione sostanzialmente alle sole imprese.

Un modello insufficiente?
ND Sì. Ed è stato allora che da parte di un gruppo ristretto di Paesi, Ecuador e SudAfrica in testa, hanno promosso presso lo Human rights council un percorso diplomatico innovativo. Con la risoluzione 26/9 del luglio 2014 è stato in qualche modo “incaricato” un gruppo intergovernativo affinché prendesse in esame e lavorasse su una bozza di trattato vincolante per regolamentare imprese transnazionali. Un processo spinoso, osteggiato dai Paesi del “Nord”, Unione europea, Stati Uniti e Canada su tutti.

Che cosa è successo dal 2014?
ND Si sono tenute due sessioni, nel 2015 e nel 2016. L’Ecuador ha guidato il processo anche in forza della sua drammatica esperienza, segnata dalla vicenda di Chevron-Texaco che hanno distrutto la foresta amazzonica. Una questione che si protrae da 24 anni e che non ha avuto ancora una chiusura, dove le vittime delle devastazioni non hanno avuto ancora giustizia e riparazione.

L'assemblea plenaria a Ginevra durante la terza sessione dell'Open Ended Inter-Governmental Working Group (OEIGWG) presso le Nazioni Unite - © Nicoletta Dentico
Ottobre 2017. L’assemblea plenaria a Ginevra durante la terza sessione dell’Open Ended Inter-Governmental Working Group (OEIGWG) presso le Nazioni Unite – © Nicoletta Dentico

Nel documento presentato dal Chair-Rapporteur Guillaume Long, rappresentante dell’Ecuador presso le Nazioni Unite, c’è un paragrafo dedicato ai “doveri” delle imprese multinazionali. Queste, “indipendentemente dalle loro dimensioni, settore, contesto operativo, proprietà”, devono “rispettare tutte le leggi applicabili” e i diritti umani “ovunque esse operino, e lungo tutta la loro catena di approvvigionamento”. Un approccio segnato anche dagli oltre 200 omicidi a danno dei difensori dell’ambiente nel mondo certificati dalla Ong Global Witness.
ND Esatto. La prospettiva è quella. Il prodotto della “substantive negotiation”, ovvero l’inizio cioè del negoziato vero e proprio, è stato un draft di 29 pagine che ha dato conto dell’apertura a contributi e osservazioni sino alla fine del febbraio 2018. Dopodiché si dovrà cominciare a lavorare sul trattato vero e proprio. Provando anche a risolvere alcune problematiche emerse a Ginevra: l’assenza di diversi Paesi africani, l’atteggiamento a difesa degli interessi particolari di Russia, Stati Uniti e in parte dell’Europa.

Ha preso parte alla sessione come rappresentante di un pezzo del mondo della finanza. In questo caso della finanza etica. Perché?
ND Il tema finanziario è centrale. Durante il dibattito è stata data molta rilevanza ad esempio all’equità fiscale, ai paradisi fiscali, ai flussi illeciti di fondi, al fatto che le imprese multinazionali talvolta eludono le tasse in quei Paesi da dove portano via le risorse. Il sistema bancario in quanto tale è protagonista di questa dinamica ed è per questo che ho proposto alla Fondazione Finanza Etica di farsi più presente. Il fatto che mi piace sottolineare è che un gruppo bancario fosse presente a Ginevra, dalla parte dei diritti umani, e che dicesse ai presenti: “avete ragione voi”.

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