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Interni / Intervista

Dalle curve alle piazze, i movimenti neofascisti “cavalcano” il Covid-19

Partendo dalla sua città, Brescia, il giornalista Federico Gervasoni continua a raccontare -nonostante le minacce subite- la crescita dei movimenti di estrema destra. Tra le proteste contro i provvedimenti anti-Covid-19 e il tentativo di rifarsi un’immagine

“Era da poco uscito uscito ‘Il cuore nero della città’, il libro in cui raccontavo la presenza dei movimenti neofascisti a Brescia, un leader locale di Casapound mi ha scritto in privato questo messaggio: ‘Gervasoni muori presto’. Evidentemente il libro gli era piaciuto”. Da quel messaggio viene il titolo del libro “Muori presto. Il neofascismo fra brutali minacce e violenti percorsi contemporanei” (liberedizioni) scritto dal giornalista Federico Gervasoni, collaboratore del quotidiano “Brescia Oggi”, che nel corso degli ultimi anni ha ricevuto minacce e intimidazioni per il lavoro d’inchiesta svolto nel tempo sulla crescita e il radicamento dei movimenti di estrema destra nel capoluogo lombardo.

Come nasce questo libro?
FG È un sequel del mio primo libro, “Il cuore nero della città”, con cui ho voluto scattare una fotografia al neofascismo legato al mio territorio: la città e la provincia di Brescia. “Muori presto” nasce come continuazione del lavoro fatto in precedenza, allargando lo sguardo al resto d’Italia per analizzare il neofascismo italiano nel suo insieme.  Inoltre, ho voluto inserire anche un punto di vista personale per raccontare che cosa significa occuparsi di questi temi per chi, come me, vive in un territorio di provincia. Purtroppo, non è semplice, e questa scelta ti condiziona la vita.

In che modo?
FG Vivo in un territorio abbastanza piccolo, in cui ci conosciamo un po’ tutti. Il mio lavoro è noto. Inoltre, sono un giornalista freelance e scrivo soprattutto di sport e mi è capitato spesso di avere a che fare con persone che non hanno problemi a definirsi fasciste. In una grande città come Roma o Milano è relativamente facile evitare di incontrare determinate persone o non frequentare certi luoghi: in un territorio come quello di Brescia non mi è possibile evitare di incontrare quelle persone. Un altro fatto che mi pesa molto è la solitudine professionale che vivo: sono molto felice di aver scritto questi libri e aver denunciato il ritorno del neofascismo a Brescia. Ma non nego che questa situazione sia difficile, anche perché la sola alternativa che avrei è rinunciare al mio lavoro. E per me questa non è un’opzione praticabile.

Nel tuo libro dedichi molta attenzione al tema delle curve e alle infiltrazioni dei movimenti di estrema destra in questi spazi. Perché è importante monitorare quello che succede sugli spalti degli stadi?
FG
Le curve sono un territorio franco, in cui le persone possono fare quello che vogliono e sono diventate uno spazio perfetto per chi vuole fare propaganda politica in Italia. E negli ultimi vent’anni si è assistito in tutto il Paese allo spostamento a destra delle curve: quella del Brescia, ad esempio, era una curva schierata a sinistra, ma oggi non è più così. Un piccolo gruppo di ultras di destra è riuscito a impossessarsi di tutta la curva.

Con la pandemia e la chiusura degli stadi al tifo come è cambiata la situazione?
FG
Dalla primavera 2020 i capi ultras di Brescia non possono più fare propaganda all’interno dello stadio, chiuso per contenere la diffusione del nuovo Coronavirus. E sono stati tra i protagonisti delle proteste contro il lockdown, come è successo in città il 2 novembre 2020. Non potendo più andare allo stadio hanno fatto scendere in piazza il popolo della curva. Non dobbiamo dimenticarci che stiamo parlando di persone che hanno molto carisma. Un capo ultras è un capo-popolo che ha la capacità di gestire e controllare una gran quantità di persone che sono tutto fuorché tranquille: le curve degli stadi sono frequentate anche da persone che hanno come unico obiettivo quello di fare casino. Inoltre, stiamo parlando di persone che hanno una grande capacità di mobilitazione. E sono molto bravi a portare in piazza anche persone che non vanno molto d’accordo tra di loro. C’erano, ad esempio, sia Casapound sia Forza Nuova: due organizzazioni che a Brescia non sono in buoni rapporti tra loro.

Nel libro definisci questa transizione verso l’estrema destra delle curve degli stadi un “potenziale moltiplicatore di rischi”. Come mai?
FG
Pensiamo alle manifestazioni di protesta contro il lockdown e i provvedimenti anti-Covid-19 che ci sono state lo scorso autunno o a quella al Circo Massimo di Roma il 6 giugno, che hanno visto una partecipazione attiva da parte dei gruppi ultras di destra tra gli organizzatori. Quello, per me, è un segnale di rischio: ci sono persone che non potendo frequentare gli stadi -anche perché molti di loro sono stati colpiti dal Daspo- organizzano manifestazioni in cui si cerca lo scontro con le forze dell’ordine. Ed è opportuno precisare che si tratta anche di persone in qualche modo abituate alla violenza, che si allenano regolarmente e che sono abituate a picchiare.

Questa capacità organizzativa, questa capacità di mobilitare le masse può essere usata in politica?
FG
La curva è un megafono per poter fare politica e sono ragionevolmente certo che alcuni di questi personaggi cercheranno di entrare in politica, anche a livello nazionale. Ma c’è un altro elemento che bisogna tenere presente: nel momento in cui entrano in politica, gli esponenti Casapound e altri movimenti di estrema destra non si presentano più con il loro vero nome. Ai giornalisti e all’opinione pubblica appaiono come “bravi ragazzi”, con un’immagine presentabile e una pagina social accuratamente ripulita da tutti gli elementi meno presentabili e da tutto ciò che potrebbe essere compromettente. Perché ormai è chiaro che se ti candidi con Casapound o Forza Nuova non prendi voti, ma se ti presenti come esponente di una lista civica indipendente allora le cose cambiano.

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