Diritti / Attualità
Moussa Diarra è morto un anno fa ed è già in lista d’attesa per essere dimenticato
Moussa Diarra, giovane 26enne originario del Mali, è stato ucciso da un poliziotto il 20 ottobre 2024 alla stazione di Verona. A un anno dai fatti le indagini sono ancora in corso, tra anomalie e atti posti sotto segreto. L’avvocato Fabio Anselmo denuncia l’oblìo calante e la mancanza di trasparenza, ricordando come la vicenda di Moussa si inserisca in un contesto di marginalità, disagio psichico e abusi da parte delle forze dell’ordine
“Moussa Diarra purtroppo è in lista d’attesa per essere dimenticato, sulla sua storia sta calando un silenzio che va verso l’oblio ma vorrei essere smentito e che venisse fatta piena chiarezza sui fatti che hanno portato alla sua morte”. L’avvocato Fabio Anselmo commenta così l’andamento delle indagini sul caso di Moussa Diarra, ragazzo di 26 anni originario del Mali che il 20 ottobre 2024 è stato ucciso da uno dei tre colpi di arma da fuoco sparati da un agente della polizia ferroviaria alla stazione Porta Nuova di Verona.
Dopo un anno non sono ancora terminate le indagini sulla sua morte e non è stato chiarito che cosa sia successo precisamente quella notte. Questo drammatico evento ha suscitato varie manifestazioni di solidarietà in città e ha portato alla costituzione di un comitato per chiedere verità e giustizia per Diarra, la cui biografia ricorda quella di migliaia di persone che giungono in Italia passando dalla Libia e attraversando il Mediterraneo e che si trovano poi ad affrontare mille ostacoli burocratici e sociali per integrarsi.
Moussa era arrivato a Lampedusa nel 2016, era stato nel Centro d’accoglienza straordinario Costagrande di Verona, chiuso per numerose irregolarità, e aveva ricevuto un permesso di protezione umanitaria nel 2017, scaduto poi nel 2020. Da lì in poi ha avuto in mano solo un cedolino della questura, in attesa della risposta per il rinnovo del permesso, che non è mai avvenuto nonostante si fosse presentato agli appuntamenti, ogni volta rimandato ad altra data. Precarietà burocratica che si è riflessa sull’incertezza lavorativa e sulla marginalità abitativa. Infatti Diarra aveva cambiato vari lavori, faticando a ottenere una stanza in affitto e recandosi presso i dormitori cittadini e gli sportelli dei volontari in città. Aveva trovato infine una sistemazione presso il Ghibellin Fuggiasco, uno spazio occupato dal centro sociale Paratod@s che offriva assistenza e alloggio a lavoratori migranti, dove ha vissuto fino alla notte del 20 ottobre.
A un anno dalla morte abbiamo fatto il punto sull’andamento delle indagini con Fabio Anselmo, avvocato difensore della famiglia Diarra, esperto nella difesa delle vittime degli abusi delle forze dell’ordine e di tutela dei diritti umani, già difensore dei familiari di Federico Aldrovandi e di Stefano Cucchi.
Avvocato a che punto sono le indagini sull’uccisione di Moussa Diarra?
FA Le indagini su questo caso hanno avuto un andamento anomalo fin dall’inizio. A poche ore dalla sua morte è uscito un comunicato stampa congiunto da parte di procura e questura, un fatto insolito, in cui Moussa veniva descritto come una persona “in preda alla furia”, di fatto un criminale che costituiva un pericolo per l’incolumità pubblica. Si affermava che l’agente aveva svolto correttamente il suo lavoro, che erano presenti dei filmati delle telecamere che avevano ripreso la scena, e che l’indagine “si può avvalere di riscontri oggettivi che saranno fondamentali per una ricostruzione completa ed imparziale di quanto accaduto”. Dopo pochi giorni viene pubblicato un secondo comunicato della procura in cui c’è una rettifica parziale sul funzionamento delle telecamere, solo una avrebbe ripreso il fatto mentre quella di fronte alla stazione in quel momento non sarebbe stata funzionante. Cambia anche la descrizione che viene fornita di Diarra, che non è più un delinquente ma emerge il disagio psichico e lo stato di alterazione in cui si trovava quella notte. Inoltre il procuratore di Verona afferma che questo episodio “si inserisce in un contesto di legittima difesa”, aggiungendo però che il poliziotto era indagato per eccesso colposo di legittima difesa, un’anticipazione di un’indagine che doveva ancora essere svolta, a detta della stessa procura. Per ricostruire il contesto, il poliziotto non era da solo al momento degli spari e Diarra impugnava un coltello che dalle immagini si rivela poco più che una posata da cucina, sicuramente non un’arma destinata all’offesa, un aspetto rilevante e differente rispetto alle descrizioni fornite sulla sua presunta pericolosità.
Come si sono svolte le indagini nei mesi successivi?
FA Le indagini non hanno ancora stabilito con precisione quello che è avvenuto in stazione a Verona e nel frattempo il corpo di Moussa si trova ancora all’Istituto di medicina legale della città, impedendo l’espatrio della salma in Mali. Quello che mi preme sottolineare è che nel momento in cui sono stati depositati gli atti dell’indagine, con la perizia dei filmati delle telecamere, il sopralluogo in stazione e la ricostruzione della dinamica, su questi atti è stato posto il consueto segreto investigativo e sono stati anche secretati. In pratica ci è stato imposto il silenzio, non possiamo parlare dell’indagine, sennò rischiamo un procedimento penale per violazione dell’obbligo del segreto. Non mi so spiegare il persistere di questo silenzio, all’inizio pensavo fosse solo per tre mesi, invece durerà fino alla fine delle indagini. È la prima volta nella mia lunga attività professionale che avviene una secretazione degli atti così prolungata, è una limitazione per la difesa perché non abbiamo la possibilità di rilasciare dichiarazioni pubbliche. La difesa ha visionato i filmati delle telecamere, si può dire che forniscono una versione parziale rispetto a quello che avrebbero dovuto mostrare e non sappiamo se ci sono altri filmati, oltre a questo non posso aggiungere altro. Inoltre il provvedimento di secretazione degli atti è stato confermato pochi giorni prima del 6 aprile, quando ho partecipato a “Presa Diretta” su Rai3 che ha dedicato un servizio a questa storia.
Ha riscontrato altre anomalie durante questa indagine?
FA Va ricordato che nel 2023 c’è stata un’inchiesta su 18 agenti della questura di Verona per presunti casi di tortura, lesioni e falso in atto pubblico, per maltrattamenti avvenuti nel 2022 nei confronti di indagati trattenuti in custodia, persone straniere o senza fissa dimora. Sono stati arrestati cinque agenti e gli altri sono coinvolti con l’accusa di aver assistito alle violenze senza denunciarle. Nella morte di Moussa Diarra è indagato un agente della polizia ferroviaria ed è la stessa questura a svolgere l’investigazione. Devo sottolineare che questa incongruenza, cioè la questura che indaga su un reato compiuto da un poliziotto, è una pratica che è successa varie volte in Italia ed è in palese contraddizione con le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà. Secondo quest’ultima le indagini nei confronti dei membri delle forze dell’ordine devono infatti essere affidate a un diverso corpo d’appartenenza per garantire trasparenza e imparzialità, un principio che viene assolutamente ignorato dalla nostra autorità giudiziaria.
La vicenda di Moussa le ricorda altri casi giudiziari che ha seguito in passato?
FA La sua storia è emblematica, una persona che si trova in uno stato di sofferenza mentale, di disagio e di emarginazione che viene respinta con l’uso della forza. Purtroppo in questo Paese spesso il disagio psichiatrico viene percepito come un pericolo e viene affrontato con un intervento repressivo. Mi ricorda il caso di Dino Budroni, che a Roma nel 2011 al termine di un inseguimento per un presunto caso di stalking viene raggiunto dal colpo di pistola di un poliziotto quando la sua macchina era ferma. Anche quello che è successo nel 2014 a Firenze a Riccardo Magherini, che si trovava in uno stato di disagio psichico e di alterazione ed è morto dopo un intervento dei carabinieri, soffocato dal ginocchio di un agente. Sono appena passati vent’anni dalla morte di Federico Aldrovandi a Ferrara, un diciottenne incensurato in un presunto stato di confusione mentale che viene affrontato con violenza dalla polizia. Casi in cui, di fronte alle richieste d’aiuto e di soccorso, le forze dell’ordine sono intervenute con violenza e atti di repressione, segno di un approccio sbagliato e di mancanza di preparazione. Tutte vicende che vanno ricordate e per cui bisogna cercare la verità, perché, al contrario di quello che commentò il ministro Salvini dopo la morte di Diarra -“non ci mancherà”- Moussa e altri ragazzi come lui ci mancano.
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