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Ambiente

Motori vegetali – Ae 67

In tempi in cui il petrolio va alle stelle, torna di attualità il biodiesel che, prodotto a partire da colza, soia e girasole, inquina meno. Ma mentre l’Europa ci scommette, l’Italia vieta agli automobilisti di farci il pieno. E la…

Tratto da Altreconomia 67 — Dicembre 2005

In tempi in cui il petrolio va alle stelle, torna di attualità
il biodiesel che, prodotto a partire da colza, soia e girasole, inquina meno. Ma mentre l’Europa ci scommette, l’Italia vieta agli automobilisti di farci il pieno. E la nostra produzione va all’estero. Pro e contro il carburante “verde”

Verso il contenuto della tanica con qualche esitazione. Sto infilando due litri di biodiesel nel serbatoio dell’auto che dovrà riportarmi a Milano, e che per di più non è mia. Non riesco ad allontanare il timore di rimanere a piedi. Giro la chiave: il motore si accende.

Solbiate Olona, provincia di Varese, 40 chilometri dal capoluogo lombardo. È qui lo stabilimento della Oil.b, una delle nove aziende che in Italia producono biodiesel. Il biodiesel è un carburante che si ottiene da oli vegetali ricavati da colza, soia, girasole. È una biomassa, cioè una fonte rinnovabile di energia: il saldo delle emissioni di CO2 è zero, non contiene idrocarburi e zolfo, il particolato è ridotto in percentuali comprese tra il 20 e il 60%. È biodegradabile al 98% in 28 giorni. Col prezzo del petrolio alle stelle e l’utilizzo sempre più smodato di auto e affini, il biodiesel si è conquistato i riflettori della scena, anche se la produzione industriale di biocombustibili in Europa ha già una dozzina d’anni.

Mi accoglie, arrivando in bicicletta, Luigi Frigerio, responsabile di produzione. Mi spiega che Oil.b è nata poco più di un anno fa, rilevando una linea di produzione dello stabilimento più grande della Hexion (già Bakelite) che produce resine e fertilizzanti. La Hexion una decina di anni prima aveva convertito quella linea per la produzione di biodiesel. Con 20 tonnellate l’ora di capacità produttiva, è uno degli impianti più grandi d’Italia. Davide, 25 anni, uno degli 8 dipendenti della Oil.b, lavora nello stabilimento da cinque. Mi spiega le fasi della produzione. Prima fase: l’olio viene disidratato (cioè viene tolto il residuo di acqua) ad alte temperature. Seconda fase, l’esterificazione: con metilato di sodio e metanolo si separa dall’olio la glicerina, cioè la parte grassa. Quel che ne risulta è già biodiesel. Biodiesel e glicerina viaggiano insieme nelle tubature, vengono neutralizzati (via il metilato) e distillati (via il metanolo). Metilato e metanolo si recuperano per essere riutilizzati nella produzione. Poi si passa alla decantazione: la glicerina si deposita sul fondo del serbatoio, è circa il 10% del volume. A vederla sembra una specie di crema: viene recuperata e venduta a ditte farmaceutiche e cosmetiche. Dopo un’ulteriore purificazione, il biodiesel è pronto.

L’impianto lavora 24 ore su 24, si ferma solo  il fine settimana. “Ma da gennaio non si fermerà mai”, dice Frigerio. Perché? “La domanda cresce. Ma solo all’estero, Germania, Francia, Austria, dove l’offerta non è sufficiente. Esportiamo il 70% della produzione, sfruttando la congiuntura favorevole. Quando si saranno dotati di altri impianti, non si rivolgeranno più a noi”.

La materia prima? “Dall’estero per il 70-80%: soprattutto olio raffinato di colza dalla Germania. Il resto viene dall’Italia”. L’Europa ha aumentato la produzione di biodiesel del 35% solo nel 2004.

Ma dal boom l’Italia sembra volersi tenere fuori.

“Ne vuole una tanica?” mi chiede Frigerio. Accetto, mi pento. Ma il motore parte e torno senza problemi a Milano.

In realtà non ho fatto un grande esperimento. Da anni il biodiesel viene aggiunto al gasolio distribuito nelle pompe di tutta Italia come additivo.

Solo che non lo sappiamo. “La produzione di biodiesel in Italia è contingentata, cioè soggetta per un dato quantitativo all’esenzione dall’accisa” spiega Delia Francese, vicepresidente di Assobiodiesel (l’associazione di categoria che riunisce i produttori di biodiesel in Italia) e responsabile della Novaol, leader del settore col 39% circa del mercato italiano. L’accisa ammonta a circa 0,4 euro al litro: l’esenzione è il riconoscimento di costi di produzione e logistici strutturalmente più elevati. Solo così i biocarburanti sono convenienti. Lo sono ancora di più se il prezzo del greggio sale oltre i 60 dollari al barile. Nel 2004 il contingente è stato di 300 mila tonnellate, nel 2005, inspiegabilmente, il Governo lo ha abbassato a 200 mila, probabilmente confermate per il 2006 (vedi box a sinistra). Nulla, rispetto ai 24 milioni di tonnellate di gasolio bruciate ogni anno in Italia. Il mercato assorbirebbe molto probabilmente il doppio nel 2006, per crescere a ritmi del 20% l’anno.

Ci sono dei vincoli normativi per l’utilizzo del biodiesel contingentato. Può essere usato puro solo nel riscaldamento (ma è una quota molto bassa). Il 90% del contingente infatti è usato per essere aggiunto in raffineria al normale gasolio fino a un massimo del 5% come additivo (lo fanno tutte le compagnie, tranne la Exxon). Il biodiesel può anche essere usato in miscele fino al 30% per autotrasporti e flotte aziendali, pubbliche e private, “ma il bonus fiscale stabilito nel 2002 sugli autotrasporti -spiega la dottoressa Francese- non è stato esteso ai biocarburanti, quindi le miscele ad alto tenore non convengono più”. Un’eccezione è costituita dall’Amsa di Milano, municipalizzata della nettezza urbana, che utilizza miscele di biodiesel con gasolio desolforato su 600 mezzi, nonostante l’aggravio dei costi (circa il 5%).

Non si può invece fare il pieno di biodiesel (il contrario che in Germania, dove fino a poco fa era vietata la miscela). Tuttavia, quasi tutte le marche di automobili garantiscono sull’utilizzo: tutte, tranne la Fiat (e le marche controllate).

L’Italia, per non perdere gli introiti dalle accise, non punta sul business biodiesel, a dispetto del sostegno che questo gode presso agricoltori e imprenditori agricoli: le coltivazioni di colza, soia e girasole avvengono su terreni “set-aside”, cioè su quei terreni che l’Unione Europea consiglia di tenere incolti e per i quali paga un sussidio ai proprietari.

Ma convertirsi al biodiesel è davvero ecologicamente sostenibile? “Si deve tenere conto dell’intero ciclo di produzione, senza svincolare benefici ambientali e socioeconomici” spiega l’ingegnere David Chiaramonti, professore al dipartimento di Energetica all’Università di Firenze.

“A conti fatti l’energia disponibile nel biodiesel è il doppio circa di quella spesa in combustibili fossili per produrla”.

“Non possiamo pensare che i biocombustibili siano la soluzione magica che ci permette di continuare con sprechi e inefficienza -precisa Ugo Bardi, del dipartimento di Chimica a Firenze-. Basti pensare che per alimentare l’intero parco automobili servirebbe una superficie tre volte il terreno coltivabile in Italia da convertire a colza. Eppure, una volta che i loro limiti siano chiari, i biocombustibili potrebbero essere molto utili anche per sostenere l’agricoltura”. [pagebreak]

Italia controcorrente: meno biocarburanti per tutti

In tema di biocarburanti, in Europa detta legge la direttiva 30 del maggio 2003, emanata “al fine di promuovere ed incentivare l’utilizzo dei biocombustibili liquidi”, incluso il biodiesel, nei Paesi Ue.

Gli obiettivi: raggiungere quota 2% di tutte le benzine e diesel venduti nel settore trasporti entro il 2005, per arrivare al 5,75% entro il 2010. Per il 2020, la direttiva punta al 20%. I provvedimenti di recepimento andavano inseriti nelle singole legislazioni nazionali entro giugno 2005.

In controtendenza rispetto alle indicazioni europee, l’Italia ha abbassato gli obiettivi nazionali all’1% per il 2005 e a 2,5% per il 2010 (decreto legislativo 128 del maggio 2005). Inoltre, la direttiva 2003/96 sulla tassazione dell’energia consente agli Stati membri l’adozione di agevolazioni fiscali per relizzare programmi pluriennali (6 anni) di diffusione dei biocarburanti. In Italia, nella Finanziaria 2005 è stato rinnovato il programma pluriennale di agevolazione fiscale ma, all’articolo 521, si stabilisce una riduzione del contingente annuo di biodiesel esente da accisa da 300 mila a 200 mila tonnellate. Nel disegno di Finanziaria 2006, da approvare entro dicembre, all’articolo 300 il contingente è confermato a 200 mila tonnellate.

E in Unione europea la Germania arriva prima

In Europa, la produzione su scala industriale di biodiesel inizia nei primi anni 90, grazie anche a incentivi comunitari. Oggi l’Unione Europea è il maggior produttore mondiale, con 40 impianti.

Nel 2004 sono state prodotte e distribuite oltre 1,7 milioni di tonnellate di biocarburante, con previsioni di crescita del 200% nei prossimi due o tre anni.

Italia, Francia e Germania sono i principali produttori. Parigi ha deciso di triplicare la produzione di biocarburanti entro il 2007 attraverso misure di defiscalizzazione, mentre in Germania l’esenzione da accisa non ha un tetto come avviene invece in Italia.

La capacità degli impianti europei di produzione è già oggi superiore a 2,5 milioni di tonnellate, in grado quindi di soddisfare la crescente domanda.

(Fonte: Assobiodiesel 2005, milioni di tonnellate)

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