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Morti sul lavoro: quei tumori professionali “perduti” che non vogliamo cercare

© Laura Fuhrman - Unsplash

Un’altra strage silenziosa si consuma nel nostro Paese accanto agli incidenti mortali sul lavoro. Quella degli operai colpiti da tumore per essere stati esposti a sostanze cancerogene. Le risorse a disposizione delle Regioni per individuare i casi sono insufficienti, denuncia Paolo Crosignani, già primario di Epidemiologia ambientale

Mentre continua la serie di incidenti mortali sul lavoro, un’altra strage silenziosa si consuma nel nostro Paese. Quella degli operai colpiti da tumore per essere stati esposti a sostanze cancerogene. 

I medici che curano questi casi dovrebbero, anche in caso di sospetto, fare denuncia di malattia professionale (obbligo di referto). Purtroppo, specie quando si tratta di tumori frequenti come il tumore del polmone e della vescica, i medici curanti non posseggono le competenze, proprie dei medici del lavoro, per riconoscere nelle passate occupazioni del paziente le circostanze che hanno contribuito a causare il tumore. I referti di malattia professionale, nel nostro come negli altri Paesi, sono rarissimi.

Eppure l’Italia avrebbe la possibilità di individuare i tumori da lavoro, di dare alle vittime o alle loro famiglie un risarcimento, di verificare se negli ambienti di lavoro vi siano ancora situazioni di rischio da eliminare. Il decreto 81 del 2008 all’articolo 244 prevede che le Regioni e l’Inail, utilizzando i dati in loro possesso, si mettano alla ricerca di questi “tumori perduti”.

Il compito dovrebbe essere affidato ad apposite strutture, i Centri operativi regionali (Cor) che, utilizzando le banche dati delle Regioni, identifichino i casi di tumore, mediante le banche dati dell’Inps ricostruiscano le storie lavorative, e procedano quindi a valutare per ogni singolo caso se le esposizioni lavorative possano avere “contribuito” a causare la neoplasia.

Il sistema è già stato collaudato con buoni risultati in alcune Regioni italiane. Le risorse per i servizi territoriali messe oggi a disposizione da parte delle Regioni sono però insufficienti e così si perde una importante occasione di giustizia e di prevenzione. È da molto tempo che non vengono rimpiazzati medici e tecnici dei servizi di medicina del lavoro. Quelli rimasti sono oberati da compiti burocratici ed è raro che possano anche solo visitare i cantieri e le aziende.

Una ennesima occasione persa, per poi piangere ogni volta che si verifica un infortunio o ci si accorge che ci sono troppi tumori tra gli operai che hanno lavorato in una certa fabbrica.

Paolo Crosignani, già primario della Unità di Epidemiologia ambientale, Istituto tumori, Milano, è membro di ISDE Italia – Associazione medici per l’ambiente

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