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Finanza / Opinioni

Monte dei Paschi: serve l’intervento dello Stato (e un’Europa benevola)

Affrontare le crisi bancarie, e in particolare l’esigenza di un intervento pubblico nel capitale dell’istituto senese, con un governo di transizione rappresenta un sfida importante per l’Italia. Che in assenza di un supporto dell’Unione europea e delle Banca centrale europea rischiamo di perdere

L'insegna della storica sede del Monte de Paschi di Siena, Rocca Salimbeni - https://www.flickr.com/photos/halighalie/

La necessità di un intervento dello Stato per sostenere il Monte dei Paschi di Siena è divenuta ormai urgentissima. Una simile esigenza era evidente da tempo, ma la scelta di non inasprire il clima immaginando una complessa ricapitalizzazione, dettata da ragioni di prevalente ordine politico, ha impedito di procedere su una strada già chiaramente obbligata. Ora tutto è reso più complesso dallo svolgersi di una crisi di governo che, per quanto rapida, determina comunque un pericoloso vuoto rispetto ad una situazione così critica: in ogni caso, anche la formazione di un esecutivo di transizione destinato a consentire l’approdo alle elezioni anticipate non pare creare le condizioni migliori per la riuscita dell’operazione di salvataggio sui mercati, come dimostra il sostanziale, rapido e per molti versi assai nebuloso rifiuto da parte della Bce alla richiesta di una proroga temporale, fino al 20 gennaio, avanzata da Mps per completare appunto l’opera di ricapitalizzazione.
In questo difficile scenario la vicenda del Monte presenta almeno quattro fattori di grande criticità che gravano proprio sull’indispensabile intervento pubblico.

1) La prima questione è costituita dall’esigenza di un’applicazione “benevola” dell’altrimenti assai dura normativa europea sui salvataggi bancari, peraltro già in altri casi disattesa.
Se venissero infatti applicati i principi contenuti nell’articolo 32 della norma europea, lo Stato potrebbe procedere a un aumento precauzionale di capitale pubblico per le banche che, come nel caso di Mps, non hanno superato gli stress test ma non sono insolventi, a condizione però della conversione anche forzata di tutte le obbligazioni subordinate, sulla base del principio della “condivisione degli oneri”.
Ciò significherebbe non solo un duro colpo a un’estesa platea di soggetti, circa 40mila risparmiatori, ma un danno ancora più pesante per il sistema Paese, perché un ulteriore salto nel buio di Mps verso la liquidazione coinvolgerebbe 13 miliardi di risparmio degli italiani, con un effetto pari a quasi un punto di Pil. Una simile sberla genererebbe il rischio di una sequenza a catena sull’intero sistema bancario italiano, a cominciare dagli anelli più traballanti come Carige e altri istituti attraversati da venti gelidi. Si tratterebbe, in altre parole, di un evento “sistemico”, destinato a mettere a repentaglio una parte importante del reddito e dell’economia del Paese e, proprio per questo, le autorità europee potrebbero valutare la possibilità di non applicare in maniera dura e completa le regole del “bail-in”, ovvero il coinvolgimento dei risparmiatori nel salvataggio di Mps, escludendoli da un pesante sacrificio. Definire un simile percorso in Europa senza un governo autorevole, tuttavia, non è certamente semplice anche alla luce delle innumerevoli frizioni che sono state coltivate nei mesi passati fra l’esecutivo italiano e i principali partner europei.

2) Il secondo aspetto è rappresentato dalla assoluta necessità che la Bce prosegua nella linea della liquidità facile, continuando ad approvvigionare i mercati a tassi negativi: Mario Draghi si è già espresso in tal senso ma pesano su questa soluzione sia i segnali di ripresa dell’inflazione sia le non troppo edificanti prospettive, ventilate in più Paesi, Italia compresa, di uscita dall’euro. Del resto, la nuova versione del quantitative easing, per quanto resa più efficace dalla possibilità prevista dalla Bce di comprare anche titoli a un anno, e non solo a due, e quelli con tassi di mercato inferiori a meno 0,40%, ha subito un rilevante ridimensionamento con la riduzione degli acquisti mensili, operati dalla stesso istituto di Francoforte, da 80 a 60 miliardi di euro. Draghi non può più, in alcun modo, in questo clima essere valutato come un supporter del suo Paese di origine e deve indossare i panni dell’arbitro dei destini della moneta unica che, qualora divenisse più costosa per effetto di un rialzo dei tassi, costituirebbe un problema serio per gli oneri del salvataggio di Mps e per il finanziamento del nostro debito pubblico.

3) Il terzo aspetto ha caratteri eminentemente politici. Con un nuovo esecutivo di scopo e in presenza di un “raffreddamento” delle strategie fin qui seguite da Draghi, la già accennata dipendenza dalla “benevolenza” europea risulta decisiva ma è resa ancora più incerta dall’intensa stagione elettorale che caratterizza i principali Paesi europei. Non appare assai popolare, in Germania o in Francia, di fronte ad un antieuropeismo montante e davanti alla rivendicazione dell’“orgoglio nazionale”, sostenere la linea dell’atterraggio morbido per la crisi bancaria italiana a pochi mesi da scadenze elettorali dagli esiti incerti come non mai.

4) Pesa, infine, la grande incertezza normativa in materia bancaria che contraddistingue, in questa fase, il panorama italiano. Procedono infatti con estrema lentezza e tra mille ostacoli i rimborsi, parziali, dei risparmiatori di Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti. Non solo, è ferma la riforma delle banche popolari, congelata al Consiglio di Stato sul tema dei rimborsi dei soci che chiedono il recesso di fronte alle modifiche statuarie. Non sono state definite neppure le risorse per il Fondo di risoluzione che dovrebbe servire ad alleggerire i bilanci di vari istituti bancari. Un governo “balneare”, in pieno inverno, dovrà trovarsi ad affrontare una delle più insidiose crisi bancarie che lega molte delle possibilità di risoluzione all’azione di un’imperscrutabile Europa. Speriamo che il Vecchio Continente sia ancora un ospite accogliente, perché dopo tanti strilli abbiamo bisogno di non essere lasciati soli.

* Alessandro Volpi, Università di Pisa

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