Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Approfondimento

“Montagnaterapia”: passo dopo passo si costruisce il benessere

Un centinaio di esperienze di cammino, tra Piemonte e Sardegna, si rivolge in particolare a persone con problemi di salute mentale, ma anche alla disabilità, alle dipendenze o a patologie specifiche. Senza obblighi, al ritmo del più lento

Tratto da Altreconomia 213 — Marzo 2019
Il cammino e l’arrampicata come possibilità educativa sono alcuni degli strumenti scelti da Dianova, una delle comunità di “Passaggio chiave” © Dianova

“All’inizio non ero molto sicuro: non avevo mai partecipato a un’iniziativa del genere e non sapevo cosa aspettarmi. Per fortuna i medici mi hanno convinto. Ed è stata una delle esperienze più belle che abbia mai vissuto”. Alessandro, 18 anni, è uno dei veterani del “Diab3king”, un campo scuola itinerante promosso dall’associazione Jada (Associazione diabetici Alessandria Junior) con il contributo della Fondazione delle Casse di Risparmio di Alessandria e di Roche. “Il 3 sta a indicare la triade terapeutica del trattamento del diabete: insulina, alimentazione e attività fisica”, spiega ad Altreconomia Franco Fontana, medico pediatra e diabetologo. Zaino in spalla e scarponi ben allacciati, per tre giorni, un gruppo formato da una ventina di giovani diabetici dai 14 in su si cimenta in un trekking sulle Alpi piemontesi. Il progetto ha il patrocinio della Commissione medica Cai Liguria-Piemonte-Valle d’Aosta.

Per tutti i ragazzi, la giornata inizia con il controllo della glicemia subito dopo la sveglia, seguita dalla somministrazione dell’insulina, in base all’impegno previsto. Poi si parte per una giornata di cammino nello splendido paesaggio. Nelle tasche caramelle e bustine di zucchero per evitare crisi ipoglicemiche durante la camminata. Chi soffre di questa patologia, infatti, deve saper dosare esattamente l’apporto di carboidrati da assumere durante la giornata per regolare il livello di insulina. In montagna, durante lo svolgimento di un’attività fisica di tipo aerobico, questo esercizio è ancora più importante. “Durante il trekking la glicemia si abbassa e i valori di insulina devono abbassarsi di conseguenza -spiega Alessandro-. Chi ha una vita sedentaria utilizza un dosaggio molto elevato durante tutta la giornata: per loro l’esperienza del trekking è molto sfidante. Anche perché ciascuno di noi ‘ha un proprio diabete’ e deve imparare a conoscerlo per gestirlo in maniera corretta”.

Accanto ai ragazzi camminano le guide del Club alpino italiano di Cuneo e Alessandria, medici diabetologi e nutrizionisti. Le escursioni sono impegnative: sei-otto ore al giorno di camminata da un rifugio all’altro, attorno a quota duemila metri sul livello del mare. Tre giorni durante i quali i ragazzi imparano a conoscere meglio il proprio corpo: “Capiscono che nonostante il diabete possono fare grandi cose, acquisiscono fiducia in se stessi -conclude Fontana-. In molti, alla fine del trekking, ci confessano il loro timore di non riuscire a concludere l’esperienza. Aver raggiunto la meta è stata un’iniezione di autostima potentissima”.

“Diab3king” è una delle tante esperienze di “montagnaterapia” attivate in Italia negli ultimi anni. Un movimento nato tra Francia e Belgio negli anni Ottanta che nella seconda metà degli anni Novanta è arrivato anche nel nostro Paese come pratica rivolta prevalentemente alle persone con problemi di salute mentale. Secondo le stime del Club alpino italiano sono circa un centinaio le esperienze attive dal Piemonte alla Sardegna, rivolte a persone con disabilità fisica e sensoriale, con problemi di dipendenza da sostanze, portatori di patologie specifiche (cardiologiche e diabetiche) o trapiantati. Dal 2005, con il primo convegno nazionale a Riva del Garda, la rete nazionale di montagnaterapia si è incontrata a cadenza biennale fino all’appuntamento a San Gavino Monreale, in provincia di Cagliari, del novembre 2018 dal titolo “Sentieri di salute e di libertà”.

Ma la montagna non è, semplicemente, un “farmaco”. Il concetto di montagnaterapia si costruisce in relazione all’ambiente e alle dinamiche del gruppo. “Un approccio metodologico a carattere terapeutico-riabilitativo e/o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione secondaria, alla cura e alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, patologie o disabilità”, scrive Giulio Scoppola, psicologo e psicoterapeuta, tra gli ideatori di questa pratica in Italia.

“Elaborare un metodo oggettivo per la misurazione degli effetti è complesso. Ma tra chi ha avuto costanza abbiamo riscontrato un calo dei ricoveri” – Sandro Carpineta

Sandro Carpineta, medico psichiatra, è stato tra i primi a sperimentare questa pratica, nei primi anni Duemila, proponendo ad alcuni gruppi di pazienti psichiatrici gravi delle escursioni in quota sotto la supervisione delle guide della Società alpinisti tridentini. “Abbiamo iniziato a interrogarci sulla possibilità che all’interno del Centro di salute mentale di Arco di Trento, dove lavoro, si potessero sviluppare dei progetti ponendo la montagna come scenario riabilitativo -spiega Carpineta ad Altreconomia-. Elaborare un metodo oggettivo per la misurazione degli effetti di questa pratica è complesso. Ma tra le persone che hanno continuato questo percorso per sette-otto anni abbiamo riscontrato un crollo dei ricoveri e una ‘tenuta’ maggiore rispetto alle proprie sofferenze”.

In qualità di “professionisti della montagna” i volontari del Club alpino italiano del Piemonte collaborano con decine di realtà attive sul territorio regionale (associazioni, cooperative, Asl e comunità terapeutiche) che promuovono progetti di montagnaterapia in ambiti molto diversi tra loro. “L’ambito della salute mentale resta quello prevalente -sottolinea Ornella Giordana, segretaria del Cai regionale-. Veniamo contattati dalle associazioni quando queste ritengono che il loro gruppo possa trarre beneficio dalla montagnaterapia: noi organizziamo una riunione preliminare, ma non obblighiamo nessuno a venire. Il primo passo consiste nel presentarsi davanti al pulmino il giorno della partenza”.

Il Cai Piemonte collabora con decine di realtà del territorio regionale per sostenere progetti di montagnaterapia © Diabe3cking

Per chiunque si ponga all’imbocco di un sentiero con l’obiettivo di raggiungere una vetta (o, più semplicemente, un rifugio) la montagna rappresenta un ambiente ricco di sfide. Sfide con sé stesso, innanzitutto, e con i propri limiti, con l’esigenza di adeguare il proprio passo a quello di chi, nel gruppo, procede più lentamente. Ed è proprio in questo rapporto con la natura e con il gruppo che si gioca il valore della montagnaterapia per chi è più fragile.

“Quelle che accompagniamo sono spesso persone che non hanno più la percezione del proprio corpo, ad esempio a causa dei medicinali che assumono. O che hanno subito un trapianto e che non sanno fino a dove possono spingersi -spiega Ornella Giordana-. Camminando iniziano a riappropriarsi del proprio corpo, capiscono cosa possono fare. Chi vive in una condizione di isolamento e diffidenza ricomincia ad avere relazioni con gli altri: quando si cammina in montagna il gruppo ti sostiene, impari a sedare ansia e frustrazione”.

Proprio ai trapiantati si rivolge il progetto “A spasso con Luisa” promosso dall’azienda ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in collaborazione con la sede locale del Cai. Il progetto è nato nel 2014 come estensione del protocollo di ricerca “Trapianto e adesso sport”, promosso dal Centro Nazionale Trapianti in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta di un  programma mirato a migliorare la condizione fisica e il benessere psicofisico dei trapiantati e ad aumentare la fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità.

“La montagna rende evidenti i propri limiti; abbiamo la possibilità di toccarli con mano, accettarli o superarli. Senza scorciatoie” – Gianni Carrino

Sempre in Lombardia, a fine 2013, su sollecitazione della scuola di alpinismo Alpiteam, nasce “Passaggio chiave”: un coordinamento che riunisce una decina di realtà terapeutiche pubbliche e private, che operano nel campo delle dipendenze patologiche nelle province di Como, Milano, Monza e Brianza. Il nome scelto ha un preciso richiamo all’esperienza della montagna e dell’arrampicata: il passaggio chiave è il punto di massima difficoltà che bisogna superare per raggiungere la meta finale. Lo stesso avviene nel percorso terapeutico di molte persone con problemi di dipendenza da sostanze, che arrivano ai servizi per i motivi più diversi, talvolta anche banali, “ma c’è sempre un ‘passaggio chiave’ da superare anche per uscire dalla dipendenza”, spiega Gianni Carrino, educatore di Dianova, una delle comunità terapeutiche coinvolte in questa esperienza che hanno inserito come “strumento educativo” l’andare in montagna.

L’età media di questi escursionisti oscilla tra 35 e i 40 anni. Le loro storie sono le più diverse, così come sono diverse le dipendenze (e le sostanze) con cui fare i conti. E così anche i limiti con cui scontrarsi. “Ma nei servizi, quando si parla di limiti si rimane spesso in un ambito puramente teorico -puntualizza Carrino-. La montagna, invece li rende evidenti, abbiamo la possibilità di toccarli con mano, accettarli o superarli. Chi ha abusato delle sostanze per fare i conti con le proprie emozioni si trova in un ambiente dove deve affrontare paure e sentimenti ‘qui ed ora’. Senza scorciatoie”. All’escursione seguono poi momenti di confronto e di verifica che permettono di gestire il percorso che porta verso il superamento del “passaggio chiave”. “Per noi la cima è solo un fatto nominale: quello che conta veramente è tutto ciò che sta in mezzo tra la partenza e l’arrivo. Quello  che si fa assieme mentre si suda e si cammina”, conclude Gianni Carrino. Perché in montagna, più che in altri luoghi, è vero il detto secondo cui “la via è la meta”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.