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Ambiente / Opinioni

Mondiali di Cortina: così il cemento ha trionfato sulla montagna

Il “grande evento” appena concluso ha mostrato i forti limiti di una certa visione della montagna. Ora, scrive Luigi Casanova, la sfida è creare alleanze per impedire che vengano compromessi gli ultimi spazi liberi delle Dolomiti in vista delle Olimpiadi del 2026

Dai trampolini olimpici abbandonati del 1956 verso il "Re delle Dolomiti", il monte Antelaom - © Francesco Pistollato

I mondiali di sci alpino di Cortina d’Ampezzo sono arrivati alla conclusione. Dieci stupende giornate di sole e temperature fredde hanno facilitato l’organizzazione ma i limiti sono apparsi a tutti evidenti. Proprio nei punti critici sollevati dagli ambientalisti, laddove è stato usato l’esplosivo per demolire la roccia (piste Vertigine e Labirinti) e laddove si sono messi i “gasez” (i bomboloni di gas, inseriti per liberare i versanti dall’incombenza delle valanghe).

Per chi sa giudicare con equilibrio è risultato evidente che le piste di supergigante e discesa libera sono inadeguate a gare internazionali di tale livello, troppo brevi, e che l’aver voluto stupire con una serie di salti impossibili si è rilevata una bravata che ha lasciato ulteriori scompensi al territorio, sia in roccia sia nel settore boscato. Infatti i salti sono stati tutti addolciti in corso d’opera, o inserendovi curvoni da formula uno (le chicane) o spianando la neve, facendo comunque imbestialire gli atleti. Come del resto rimane l’incubo valanghe sulle piste: gli organizzatori sono stati fortunati per il fatto che non si siano verificate nevicate importanti, altrimenti tutta l’organizzazione sarebbe saltata (vedere i primi tre giorni, tutte le gare annullate).

In questa situazione Cortina deve rassegnarsi: per le Olimpiadi 2026 le gare maschili rimangono in Valtellina. Nonostante le aggressive intemperanze contro la Lombardia del governatore veneto Luca Zaia e del sindaco di Cortina Gianpiero Ghedina. Le piste non si possono ulteriormente allungare, a meno che non si demolisca del tutto la Tofana di Mezzo (abbiamo già visto di che cosa sia capace una certa imprenditoria).

© Francesco Pistollato

Con discrezione abbiamo seguito lo svolgersi dei mondiali anche rimanendo sul territorio. Abbiamo preso atto dell’improvvisazione e di tanta superficialità (la gara del gigante parallelo, ma non solo). Più che a un importante evento sportivo abbiamo assistito a una rassegna mediatica e di esplosione di pubblicità, anche molto aggressiva, vedasi le firme delle auto. Un evento economico che ancora ha tolto soldi alla montagna. Contemporaneamente allo svolgersi delle gare, Zaia stanziava 52 milioni di euro per la sanità veneta. Non un centesimo viene investito nel bellunese, mentre ci si impegna alla costruzione di impattanti e costose circonvallazioni, tipo San Vito di Cadore o a Longarone e Castelavazzo: 270 milioni di euro per compromettere la montagna. Tutto tace sulle potenziali ferrovie che potrebbero risolvere problemi cronici della mobilità del bellunese o sul potenziamento, stabile, del trasporto pubblico. Come si rimane sconcertati dal fatto che Regione Veneto utilizzi soldi pubblici per ripianare la Fondazione dei Mondiali del mancato introito della vendita di biglietti, tre milioni di euro pubblici tolti ai servizi essenziali alle persone e alla cura della montagna.

Sono stati i mondiali del trionfo del cemento sulla montagna. Lo abbiamo ripetutamente documentato con efficacia, anche grazie al lavoro del nostro caro amico Francesco Pistollato, film-maker di montagna che ci è sempre stato vicino, anche durante le ricognizioni di questa settimana. Ora ci attende una grande e lunga sfida. Per vincerla abbiamo bisogno del contributo di tutte le sensibilità e intelligenze attive, dove possibile anche istituzionali, delle Alpi e specialmente del bellunese.

Vanno impediti i tre grandi collegamenti legati ai mondiali appena conclusi e ai prossimi Giochi Olimpici invernali Milano Cortina 2026: Cortina-Arabba-Marmolada, Cortina-Val Badia, Cortina-Alleghe-Civetta. Qualora fossero realizzati questi collegamenti, lasceremo in eredità ai giovani le Dolomiti in alta quota definitivamente compromesse, ovunque, come già avvenuto in Valle di Fassa, Val Gardena e Badia. Avremo modo di approfondire e lavorare per costruire le necessarie alleanze, anche di profilo internazionale.

Luigi Casanova (1955), bellunese, di professione Custode forestale nelle Valli di Fiemme e Fassa e ora in pensione, è una voce storica dell’ambientalismo. Il suo impegno sociale è nato nell’antimilitarismo e nel Movimento Nonviolento. È stato presidente di Mountain Wilderness Italia e oggi ne è presidente onorario. Per Altreconomia ha scritto “Avere cura della montagna” (2020).

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