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Mobilità sostenibile e welfare aziendale: una proposta, oltre i bonus

© Sean Benesh - Unsplash

Sui ticket restaurant imprese ed enti pubblici stanno maturando significativi risparmi. Si tratta di risorse dei lavoratori che saranno oggetto di contrattazione. Perché non destinarne una parte per incentivare la scelta della bici come modalità di trasporto? Altro che frustranti (e diseguali) clickday. L’idea di un mobility manager

Nella scorsa primavera la rielezione della sindaca Anne Hidalgo a Parigi fu un segno beneaugurante per tutti coloro che dietro lo slogan “andrà tutto bene” avevano la speranza che l’Europa si svegliasse dal lockdown con un nuovo rilancio delle politiche urbane. La sindaca in bicicletta è un’immagine che è rimasta impressa nella nostra mente per la positività, il dinamismo, il coraggio di alcune scelte peraltro messe in atto in pieno lockdown. Proprio in quelle settimane il nostro ministero dell’Ambiente annunciò il “bonus bici”, seguito a ruota da alcune Regioni e da iniziative di amministrazioni locali.

Qualche mese fa sembrava che i decisori pubblici avessero finalmente messo al centro il tema della mobilità nelle nostre aree urbane ma alla prova dei fatti questa attenzione si è scontrata con un limite -tutto italiano- nella attuazione di politiche di lungo respiro. Con il clickday del ministero abbiamo cominciato a comprendere che una politica di cambiamento radicale dei comportamenti collettivi, come quelli relativi alla mobilità, non si risolve solo con bonus e maggiori risorse.

Lo Stato erogatore dall’alto non basta. Se l’opinione pubblica oggi si prende gioco -anche ingiustamente- dell’incentivo ai monopattini per accusare l’assenza del governo su altri terreni, oggi possiamo dire che mettere i soldi in tasca indistintamente ai cittadini italiani è pericoloso e fuorviante rispetto agli obiettivi che un decisore politico dovrebbe avere in mente. L’obiettivo che si voleva perseguire non era dare più biciclette agli italiani (o almeno non solo) ma far muovere più italiani sulle due ruote. Speriamo che questo accada nei prossimi mesi ma forse è necessario investire di più sui comportamenti virtuosi e sul cosiddetto capitale sociale.

Vorrei quindi articolare qui una proposta di “Fase due” della mobilità sostenibile provando ad utilizzare risorse e protagonisti già in campo mettendoli in rete con una logica “win-win” e che permetterebbe di dare qualche risposta per esempio all’Unione europea visto che la Corte di giustizia ha recentemente condannato l’Italia per le inadempienze sul tema della lotta all’inquinamento atmosferico.

In Italia siamo in forte ritardo nelle politiche di welfare aziendale. Ancora oggi sono rari i casi in cui le aziende o amministrazioni pubbliche incentivano, per i propri dipendenti, forme di mobilità diverse dall’auto privata. In questa fase organizzazioni pubbliche e private stanno maturando significativi risparmi di risorse per esempio sui ticket restaurant. Queste risorse sono un diritto dei lavoratori ma saranno probabilmente oggetto di contrattazione tra l’esigenza di maturare dei risparmi da parte dei datori di lavoro e quella di esigere un diritto acquisito da parte dei lavoratori.

La proposta è quindi di destinare parte di queste risorse risparmiate per introdurre nelle varie realtà pubbliche e private un incentivo economico per promuovere il “bike-to-work”. In questo modo il lavoratore che sceglie la bici come modalità di trasporto potrebbe maturare mediamente intorno ai 50 euro al mese (considerando una decina di chilometri al giorno).
Se questa misura fosse stata adottata in primavera oggi un bike-to-worker mediamente avrebbe guadagnato 250 euro da spendere per una bici che gira effettivamente sulle strade italiane. Sebbene esistano esperienze pilota di cofinanziamento del bike-to-work queste richiedono un impegno delle aziende significativo. Per una realtà di 1.000 dipendenti ad esempio, considerando erogazione e iscrizione a piattaforme che gestiscono il sistema, si può arrivare a 40.000 euro annui.
Oggi queste risorse, come detto, sono già a bilancio nelle aziende. La contrattazione aziendale integrativa potrebbe introdurre facilmente questa misura. L’azienda avrebbe un ritorno sugli aspetti di “corporate social responsability” valorizzando per esempio la CO2 evitata, ma, il governo, se proprio vuole, potrebbe introdurre un incentivo fiscale sulla falsariga di quello già garantito per le aziende che incentivano l’acquisto di abbonamenti al trasporto pubblico.
Avremmo intorno ad un tavolo datori di lavoro, sindacati, governo: un patto sociale, per una vera ripartenza, anche grazie alle due ruote. Un approccio volontario in linea con gli strumenti di policy ambientale che veramente hanno dimostrato di funzionare in questi anni come le certificazioni ambientali, gli accordi volontari, gli approcci di filiera e tanti altri.

Un passo ulteriore potrebbe essere il coinvolgimento di altri ambiti della società. I ciclisti che non intendessero comprarsi una bici con il contributo maturato potrebbero devolvere il beneficio alla collettività: per esempio alla propria amministrazione locale o alle scuole dei propri figli per progetti di mobilità sostenibile. Il mercato delle app offre già oggi soluzioni che permettono sfide nelle sfide con aspetti che i tecnici chiamano di “gamification” ma che sono utili a premiare comportamenti virtuosi, a quantificarli e valorizzarli. La Federazione italiana amici della bicicletta (Fiab), ad esempio, già da alcuni anni propone un campionato nazionale tra aziende a colpi di pedali con aziende e ciclisti premiati per le loro performance.

Questo aspetto può essere considerato secondario ma mette al centro il comportamento virtuoso del singolo e conseguentemente della sua collettività di riferimento. In altre parole valorizza una cittadinanza consapevole: una cosa molto diversa del passare un giorno intero davanti al computer con la relativa frustrazione di un sistema che non è all’altezza.

L’auspicio è che questo secondo lockdown crei una coscienza collettiva: nessuno da solo ha la soluzione in mano, tanto meno basta un bonus. Una prospettiva di cambiamento radicale delle nostre città e delle nostre abitudini deve partire dal presupposto che bisogna coinvolgere tutti soggetti creando le condizioni perché maturino una consapevolezza condivisa sull’urgenza di cambiare un percorso di sviluppo che la pandemia ha solo accelerato ma che ha già avuto modo di dimostrare tutti i suoi limiti.

Domenico de Leonardis, mobility manager

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