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Mobili etnici in… giusta misura – Ae 41

Numero 41, luglio/agosto 2003Dopo gli alimentari, anche l'arredamento del commercio equo è in pieno boom: nelle botteghe del mondo credenze e armadi realizzati dagli artigiani del Sud, a tinte forti o con un design minimal Per preparare il loro matrimonio,…

Tratto da Altreconomia 41 — Luglio/Agosto 2003

Numero 41, luglio/agosto 2003

Dopo gli alimentari, anche l'arredamento del commercio equo è in pieno boom: nelle botteghe del mondo credenze e armadi realizzati dagli artigiani del Sud, a tinte forti o con un design minimal

Per preparare il loro matrimonio, un anno e mezzo fa, Paola ed Emanuele hanno compilato una lista nozze equa e solidale. Ma incompleta: perché la loro nuova casa avrebbero voluto riempirla anche con mobili del fairtrade che, però, non hanno trovato.

“Avevamo contattato alcuni importatori -racconta oggi Emanuele- ma non avevano dei veri e propri mobili. Più che altro complementi d'arredo: sedie, qualche tavolino e cose del genere”. Paola ed Emanuele hanno fatto un altro tentativo con i mobili certificati Fsc (realizzati con legname di foreste sfruttate in modo sostenibile, vedi Ae n. 36), senza trovare qualcosa di adatto. “Allora abbiamo abbandonato la strada…”, rassegnandosi ai mobili tradizionali.

Ma nell'ultimo anno l'arredamento del commercio equo è in pieno boom: sono sempre più numerose le centrali che importano mobili e i prodotti, in questo modo, si trovano molto più facilmente nelle botteghe del mondo.

Così ci sono veri e propri esordienti del settore come il Pime di Milano, che solo poche settimane fa ha tolto gli imballaggi dal primo container arrivato dall'Indonesia, e per il futuro progetta di specializzarsi in questo settore. Oppure chi, oltre al classico artigianato e agli alimentari, importa mobili già da qualche anno. Come Libero Mondo di Brà (Cn), che oggi si rifornisce da 6 diversi gruppi di artigiani, offre 300 prodotti diversi, ha un'esposizione di 150 metri quadri dedicata solo ai mobili e punterà molto sull'arredamento nei prossimi mesi.

I mobili vengono realizzati da artigiani del Sud: Asia e Africa in particolare, ma non mancano prodotti dall'America Latina.

La provenienza non è un dettaglio, perché a seconda del Paese variano molto gli stili. Dal Ghana, per esempio, arrivano mobili intagliati che raffigurano scene di vita quotidiana e ricordano un po' le pitture batik ma che, per questo, sono anche meno vicini ai gusti “occidentali”. Più semplici, con un disegno lineare, sono invece i mobili asiatici.

I “pezzi” più diffusi sono quelli per salotto e camera da letto, stanze più facili da arredare. Quindi: armadi, credenze, cassettiere, librerie, letti.

Cucina e bagno sono gli ossi duri, perché a volte l'unica soluzione, per questi ambienti, è il progetto su misura. Per gli importatori equi al momento è quasi impossibile venire incontro a esigenze di questo tipo.

L'unica possibilità per ora è Roba dell'altro mondo, centrale ligure che ha da poco avviato un progetto con gli artigiani nepalesi da cui si rifornisce abitualmente per oggetti di dimensioni più piccole. Roba elabora il progetto insieme con il cliente, invia i disegni agli artigiani e nel giro di tre mesi (di cui uno e mezzo speso per il viaggio) i mobili vengono consegnati. Nessun limite quindi, tanto che l'importatore di Rapallo (Ge), come raccontiamo a pag. 22, a mo' d'esposizione utilizza un vero e proprio appartamento arredato esclusivamente con prodotti e mobili equi.

Il progetto muove i primi passi e subirà quindi inevitabili assestamenti e verifiche. A partire dal legno utilizzato: “I nostri artigiani ci hanno assicurato che si tratta di legname riciclato, recuperato dallo smantellamento di vecchi ponti -spiega Virgilio Mariani di Roba-, ma se dalle nostre verifiche questo non dovesse risultare vero, cambieremo strada”.

Di legno riciclato è anche l'anima di un altro progetto, che arriva però dall'Indonesia e che sta riscuotendo un discreto successo, visto che quasi tutte le centrali di importazione ne hanno ordinato i prodotti. La storia è quella del “Gruppo Surya”.

I vantaggi dei produttori di fairtrade sono quelli classici del settore: un prezzo giusto deciso con gli stessi artigiani (tenendo conto dei costi e delle ore di lavoro impiegate), il prefinanziamento (cioè un anticipo fino al 50% del valore della merce), ma soprattutto la continuità degli ordini durante tutto l'arco dell'anno.

La mancanza di tutto questo Roberto Marastoni -uno dei fondatori di “Surya”- l'ha sperimentata sulla propria pelle e a proprie spese. Una quarantina d'anni, occhi azzurri e barbetta brizzolata, Roberto dal 1989 vive tra l'Italia e l'Indonesia e di mobili si è sempre occupato. Prima da solo, cercando i pezzi migliori assemblati dagli artigiani di Jogjakarta, la sua città adottiva, e rivendendoli ad aziende italiane. Poi, col tempo, si è costruito due famiglie: una più “ristretta”, formata da sua moglie Aprilia Sary e dai due figli di 12 e 2 anni. L'altra, allargata: quella dei falegnami con cui ha iniziato a produrre mobili, a partire da Warsidi, lo zio di sua moglie.

Una vita difficile: “Avevamo spesso difficoltà con i pagamenti -racconta- e il lavoro non era continuativo”. Fino al “bidone” di sei anni fa, quando un ordine è andato in fumo: mobili per 20 milioni di vecchie lire spariti nel nulla insieme con il cliente -italiano- che li aveva ordinati.

Roberto allora è tornato in Italia, facendo qualsiasi cosa, dal muratore al pulitore di caldaie. Poi di nuovo in Indonesia, ma il lavoro non ingranava: “Stavo per mollare tutto”, confessa.

Il commercio equo, oggi, sembra la scialuppa di salvataggio. Trovata per caso, attraverso Import Equo, piccolo importatore del varesotto che lavora soprattutto con gruppi missionari. Il suo fondatore, Raffaele Zoni, ha messo in contatto “Surya” con le centrali eque italiane: “Avevano i numeri giusti -spiega Zoni-, prodotti di qualità e artigiani pagati il 50% in più del salario minimo governativo”.

Ma anche idee solidali per il futuro: una fondazione per fornire assistenza gratuita alle donne in gravidanza e poi una scuola di falegnameria per insegnare un mestiere a chi esce dall'orfanotrofio locale.

“Adesso sono solo dei sogni -sorride Roberto-. Finché non avremo una certa solidità economica, meglio restare con i piedi per terra”.!!pagebreak!!

Dalle librerie in teak indonesiane alle sedie in fibra vegetale dal Ruanda

Libero Mondo ha sede a Brà (Cn) dove si trova il suo show room di 150 metri quadri dedicato ai mobili. Che arrivano da diversi progetti in Asia, Africa e America Latina: dagli armadi in teak indonesiano ai mobili per bambini (foto) dallo Sri Lanka. www.liberomondo.org

Commercio Alternativo sta a Ferrara e importa da cinque diversi Paesi. Tra i prodotti che non trovate altrove i mobili in bambù dalle Filippine e quelli dal Vietnam (qui sopra) realizzati con una specie di pino locale per cui è obbligatoria la riforestazione. www.commercioalternativo.it

Roba dell'altro mondo, la centrale di Rapallo (Ge) presenta uno dei progettipiù originali. È l'unica ad importare, da artigiani in Nepal, mobili realizzati su misura. Il legno utilizzato arriva dalla dismissione di vecchi ponti. Importa anche dall'India e da Cuba. www.roba.coop

Pime, ovvero Pontificio istituto missioni estere, che a Milano gestisce da anni una bottega. Ha appena iniziato a importare i prodotti di “Surya” dall'Indonesia (sopra, una fase della lavorazione) e ha in progetto la creazione di una centrale di importazione specializzata in arredamento. www.pimemilano.com

Equo Mercato è a Cantù (Co) e importa dal Coordinamento artigiani di Gran Bassam in Costa d'Avorio. Librerie, panche, sedie realizzate in “rattan” (tipo di canna, qui sotto) da immigrati del Togo. Dal Salvador arrivano invece colorati mobili per bambini. www.equomercato.it

Equoland, importatore di Firenze, è tra quelli che credono nel progetto indonesiano del Gruppo Surya (qui sopra la verniciatura di un mobile), da cui ha iniziato ad acquistare armadi, credenze, tavoli. Ma propone anche mobili dal Ghana e dall'India, come divani, comò, bauli. www.equoland.it

Non solo mobili, ma anche “complementi”. Come le sdraio in bambù di Ctm (qui sotto e su www.altromercato.it), le cassapanche che Ravinala importa dal Madagscar (www.ravinala.org), o le sedie in fibra vegetale di Bottega Solidale, dal Ruanda (www.bottegasolidale.it).

Mani Tese non fa commercio equo, ma è un'ong di Milano che, per finanziare i propri progetti, importa artigianato secondo criteri equi. Tra l'altro anche sedie (qui sopra), tavoli, mobili da salotto. I Paesi di provenienza sono soprattutto Eritrea, Benin, Burkina Faso. www.manitese.org!!pagebreak!!

A Rapallo la Bottega diventa appartamento
La casa del commercio equo respira aria di Riviera. Roba dell'altro mondo ha inaugurato da poche settimana la sua prima bottega, che è, in realtà, qualcosa di più. Piazzata nel bel mezzo del centro storico dell'iper-turistica Rapallo (Ge), la bottega di Roba occupa un edificio di due piani con annesso giardino, trasformato per l'occasione in orto botanico. Di questo si è occupata la cooperativa “Giardino del borgo”, da cui Roba acquista i cosmetici naturali -creme per viso e corpo, tra l'altro- che poi rivende in negozio. Nel giardino della bottega (qui sopra ne vedete uno scorcio) si è quindi cercato di ricreare l'ambiente del Parco di Portofino, con le piante tipiche di quell'area: salvia, rosmarino, timo, achillea, lavanda, vite, pesco, limoni e ginestre.

Al piano terra, trovate la bottega ricca soprattutto di artigianato (“Importiamo da tutte le centrali, per scelta”, spiega Virgilio Mariani) ma presto dovrebbero arrivare anche gli alimentari, equi e della cooperazione sociale. Non mancano lo spazio editoria e quello dedicato alla musica. Al primo piano, invece, la vera novità: un vero e proprio appartamento, arredato con i mobili equi che Roba importa dal Nepal (e con tutte le suppellettili del caso, dai piatti alle lampade) e che, volendo, realizza su misura in base alle esigenze del cliente. Per avere i mobili, calcolate tre mesi da quando Roba invia l'ordine agli artigiani nepalesi. La bottega è in piazza del Pozzo 27 a Rapallo, tel. 0185-23.33.00, www.roba.coop

L'anima brasiliana di Import Equo
Galeotto fu il Brasile. Per due motivi almeno: il primo si chiama Coinceçao, che oggi è la compagna di vita e di lavoro di Raffaele Zoni (oltre che mamma di una bellissima bimba).

Il secondo motivo è Import Equo, che della famiglia Zoni è la vita da qualche anno, e che ha radici proprio in Brasile, dove Raffaele ha lavorato fino al 1992 in progetti di sviluppo. Per finanziarli entra in contatto con l'ong Ferrara Terzo mondo, che gli chiede, anni dopo, di diventare uno dei 9 fondatori di Commercio Alternativo.

Dal desiderio di fare commercio equo in prima persona nasce Import Equo, cooperativa con cinque soci specializzata in artigianato e sede a Cislago (Va), che oggi rifornisce 120 gruppi missionari e una decina di botteghe (compresa “Equo e solidale” a Legnano, aperta dallo stesso Raffaele nel 2001).

Tra le altre cose, Raffaele Zoni si è anche occupato per anni di una mostra etnografica itinerante dedicata agli indigeni amazzonici. Fino al 10 agosto la trovate a Milano al Festival Latinoamericano. Info: Import Equo, Tel. 02-96.88.172.

Un codice etico internazionale
L'identikit del commercio equo
Il commercio equo è anche una questione di identità. È stato proprio questo il cuore dell'ultima conferenza biennale di Ifat, l'International federation of alternative trade, organizzazione di produttori e importatori che raggruppa 158 organizzazioni di 50 Paesi. Il meeting si è svolto a Newcastle, in Gran Bretagna, dal 22 al 28 giugno e ha avuto al suo centro la presentazione del marchio di accreditamento (che riproduciamo in anteprima in questa pagina), meta di un percorso iniziato nel 1995 per elaborare un codice etico e un sistema di monitoraggio per tutti gli iscritti a Ifat.

“Il marchio nasce da un'esigenza: darci un'identità”, spiega Rudi Dalvai, tra i fondatori di Ctm Altromercato e, negli ultimi due anni, presidente di Ifat. “Il commercio equo non è più una realtà sotterranea, ormai è diventato un bene comune. Se non riusciamo a darci un'identità arriveremo al punto in cui non ci sarà più differenza tra Ctm, Equoland o altri soggetti del fairtrade e aziende come McDonald's che già oggi, in Svizzera, vende caffè certificato da Max Havelaar…”.

Il percorso di Ifat lavora in quest'ottica e chi si accredita sottoscrive un codice etico che ruota attorno a nove punti, a partire dagli obiettivi: “Mission istituzionale delle organizzazioni di commercio equo deve essere la riduzione della povertà attraverso il commercio”. Quindi: i produttori prima di tutto, perché passino “da una posizione di esclusione sociale ed economica a una di autonomia ed efficienza”.

Non la certificazione di singoli prodotti ma l'accreditamento di un'intera organizzazione. Tra gli altri requisiti fondamentali ci sono la trasparenza organizzativa, il pagamento di un giusto prezzo, la protezione dei minori, il miglioramento della situazione delle donne, condizioni lavorative salutari e sicure, difesa ambientale (cercando materie prime e imballaggi con il minor impatto ambientale possibile), relazioni di lungo termine tra produttori e importatori. Da non dimenticare poi l'attività di pressione e sensibilizzazione, perché fare fairtrade non significa solo vendere e comprare.

“Bisogna mantenere un equilibrio tra etica ed economia -conferma Rudi Dalvai-, perché più cresci più ti senti costretto, quasi, ad adottare i comportamenti dei grandi dell'economia, dove l'unica cosa che conta sono i numeri. Ma per fortuna in Italia il movimento è vivo ed è importantissima l'attività di monitoraggio svolta dalle botteghe del mondo. È fondamentale che nel commercio equo la parte 'politica' non si stacchi da quella economica”.!!pagebreak!!

Coffè equo da Mc Donald's?
McDonald's e commercio equo? Il diavolo e l'acqua santa, per molti. Ma non per tutti: in Svizzera, da marzo, i 139 ristoranti della multinazionale vendono caffè certificato Max Havelaar, marchio di garanzia di alcuni prodotti del fairtrade (l'equivalente di Transfair Italia).

Le critiche: solo un'operazione d'immagine per McDonald's. Una buona possibilità, invece, dice Max Havelaar: “Il nostro marchio è uno strumento concreto per influenzare (e cambiare) l'economia -sostiene Caterina Meier-Pfister-. Non abbiamo il compito di criticare aziende, ma di offrire un'alternativa equa concreta ai partner commerciali”. Un'opportunità anche per i produttori: “Più prodotti di questo tipo vengono venduti, meglio è per lavoratori e lavoratrici del Sud. E inoltre aumenta la pressione anche sui partner commerciali, perché assumano responsabilità nel senso del commercio equo”.

In 36 mila tra Modena e Verona: il mese caldo del fair trade
Giugno è stato il mese caldo del commercio equo e solidale. Non solo per ragioni atmosferiche: a pochi giorni di distanza l'uno dell'altro si sono svolti due degli appuntamenti più importanti per il fairtrade italiano. Il primo, la fiera nazionale “Tuttaunaltracosa” a Modena, con 25 mila visitatori complessivi e una settantina di stand con artigianato e alimentari equi. E poi incontri e dibattiti, tra cui quelli con Alex Zanotelli e Vandana Shiva, e concerti come quello dei Modena City Ramblers. L'Associazione botteghe del mondo ha annunciato infine la registrazione del marchio “Botteghe del mondo”, che potrà essere usato da chi rispetterà la Carta dei criteri del commercio equo.

Una settimana più tardi, la Festa Altromercato organizzata a Verona da Ctm Altromercato ha “attirato” 11 mila persone nell'arco di 5 giorni, di cui 4 mila solo per il concerto della Bandabardò di sabato 21 giugno. Nove le associazioni presenti per 11 stand di prodotti, 2.500 i pasti consumati al ristorante.

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