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Milano, gli scali Fs e la logistica efficiente

Il 1° febbraio il ministro delle Infrastrutture ha visitato la stazione di San Cristoforo, a suo tempo destinata alle merci. È una delle 7 aree ferroviarie in "trasformazione", che occupano complessivamente 1,2 milioni di metri quadrati. Si pensa di costruire circa 10mila nuove abitazioni. Vent’anni fa il primo progetto di riqualificazione, redatto da un urbanista: prevedeva di realizzarvi un moderno sistema di distribuzione delle merci  

Il 1° febbraio 2016 il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha “visitato” uno degli scali ferroviari dismessi milanesi, quello di San Cristoforo. Con lui non c’era nessun rappresentante dell’amministrazione comunale, che con Regione e Ferrovie dello Stato Italiane (FSI) sta lavorando alla trasformazione dell’area, ma Giuseppe Sala, amministratore delegato di Expo spa (fino al 31 gennaio 2016) e candidato sindaco alle primarie di centro-sinistra che si tengono il 6 e 7 febbraio.

Se sarà sindaco, Sala ha promesso di portare nuovamente in approvazione entro un anno una delibera bocciata a dicembre dal consiglio comunale, e relativa alle nuove destinazioni d’uso previste per le 7 aree che occupano, complessivamente, 1,2 milioni di metri quadrati. Secondo l’Accordo di programma sottoscritto il 18 novembre 2015 da rappresentanti del Comune, Regione e FSI, sarebbero state dotata di un indice edificatorio di 0,65 metri quadrati per metro quadrato di superficie, per un totale di poco meno di 700mila metri quadrati, di cui 520mila dedicati all’edilizia libera (sono 7.400 trilocali da 70 metri quadrati), quella che a Milano non serve più, almeno secondo le analisi del Politecnico di Milano, mentre dovrebbero essere 2.600 gli alloggi di edilizia privata sociale.
 
Sala, nel corso di una conferenza stampa improvvisata, ha annunciato che si andrà avanti così. Senza ripensamenti. Senza ulteriori analisi, che potrebbero partire da uno studio vecchio di vent’anni ma ancora attuale, il “Progetto preliminare di fattibilità per il riuso degli impianti ferroviari dismessi in Milano” redatto per conto della Ferrovie dello Stato dal professor Giuseppe Longhi, professore in Urbanistica presso la Facoltà di Architettura dell’Università IUAV di Venezia, con gli architetti Andrea Balzani e Luca Imberti.

“Due erano gli aspetti ‘strutturanti’ del nostro disegno di riqualificazione -spiega oggi ad Altreconomia il professor Longhi-: intanto, avremmo voluto dotare la città di un moderno sistema di re-distribuzione delle merci, un problema che c’era allora e c’è anche adesso; l’altra questione era la vivibilità: si intuiva in anticipo il problema della pressione del costruito in una città così piccola ma così densamente abitata ed edificata, e così questo progetto era pensato per abbassare l’impronta ecologica”.

Per quanto riguarda la logistica, il Progetto partiva da un dato, che è lo “scompenso nel sistema di distribuzione delle merci: dopo l’arrivo del container in un terminal, che sia Rogoredo per i container su ferro o Busto Arsizio per i container su gomma, le merci vengono ‘abbandonate’. L’effetto di questo lo si vedi con chiarezza in prossimità dei supermercati, che tirano cannonate nel sistema di traffico, buttando -è un esempio- un autoarticolato su viale Papiniano alle 11 di mattina (il riferimento è a un negozio di Esselunga, ndr). Noi abbiamo immaginato un sistema diffuso, che prevede il passaggio dai grandi contenitori del centro di stoccaggio a contenitori urbani, grazie a un treno navetta che avrebbe distribuito i carichi dall’esterno verso l’interno. È un’operazione molto facile, perché i carichi possono essere riconosciuti sulla base di un’etichetta”.

“Siccome Milano è una città piccola ogni zona ha uno scalo vicino: ciò significa che tutte le aree della città hanno uno di questi scali a circa un chilometro e mezzo, cosa che non ritroviamo in nessun’altra città italiana né europea -continua Longhi-. L’ultima parte del tragitto, quello verso le vie commerciali, potrebbe poi essere organizzato come un servizio regolare, con date e ore stabilite, come se fosse quello del trasporto pubblico locale”.

Il Progetto di Longhi prevedeva, poi, di “aumentare la produzione di sapere grazie alla localizzazione della ‘Grande biblioteca’ e di spazi destinati all’Università Statale sull’ex sedime dello scalo Vittoria”, come l’urbanista dello IUAV ha scritto in un recente intervento.
L’area di Porta Vittoria è l’unica parzialmente riqualificata tra gli ex scali ferroviari milanesi. Della biblioteca, però, si sono perse le tracce: maggiori informazioni potrebbero esser chieste a Danilo Coppola, uno degli imprenditori divenuti famosi a metà del primo decennio del Duemila come “furbetti del quartierino”. È lui che ha sviluppato l’area residenziale di Porta Vittoria, che oggi, e da diversi mesi, si trova in stato di abbandono. È aperto solo il supermercato Esselunga, mentre è in corso un contenzioso tra la società che fa capo all’immobiliarista e il Banco Popolare, esposto per oltre 200 milioni di euro.

Delrio e Sala, però, a Porta Vittoria non sono andati: a meno di una settimana dalle primarie del centro sinistra per la scelta del candidato sindaco non si scattano foto davanti alle transenne.

© Riproduzione riservata

La foto in apertura è tratta dalla pagina Facebook Beppe Sala – Noi, Milano

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