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Due migranti uccisi dalla polizia greca sul confine con la Turchia: la denuncia di Amnesty International

© BULENT KILIC/AFP

All’inizio di marzo due persone sono state uccise sul confine tra Grecia e Turchia, dopo che la polizia schierata da Atene ha sparato per respingere chi cercava di attraversare la frontiera. Amnesty International ha ricostruito le violenze contro i migranti, derubati e riportati in Turchia senza potere presentare la domanda di asilo

Tra il 2 e il 4 marzo 2020 due persone sono state uccise sul confine tra Grecia e Turchia dopo che la polizia greca di frontiera ha aperto il fuoco usando proiettili veri e gas lacrimogeni per respingere i migranti e i richiedenti asilo che cercavano di attraversare la frontiera. Lo denuncia Amnesty International nel rapporto “Caught in a political game” che ha ricostruito i fatti occorsi dopo che lo scorso 27 febbraio il presidente turco Erdogan aveva annunciato la “riapertura”. Muhammad Gulzari, una delle vittime, aveva 43 anni e veniva dal Pakistan: è stato colpito da un proiettile al petto mentre provava a entrare in Grecia dal posto di frontiera tra Pazarkule e Kastanies. Dopo il ricovero in un ospedale turco, è stato dichiarato morto il 4 marzo. Nello stesso episodio, sono state ferite altre cinque persone. Muhammad al-Arab, secondo caduto, aveva 22 anni e veniva dalla Siria: è morto nella stessa zona, come documentato dalla Ong Architettura Forense. Una donna siriana è scomparsa ed è probabilmente deceduta dopo essere stata separata, insieme al marito, dai sei figli che cercavano di attraversare il fiume Evros, che delimita il confine di 120 chilometri con la Grecia. Stava tentando di raggiungere i figli, approdati sulla riva greca, quando i soldati greci hanno aperto il fuoco contro di lei, secondo il racconto fatto dal marito ad Amnesty International. L’uomo ha denunciato di essere stato trattenuto insieme ai figli per quattro o cinque ore, durante le quali sono stati denudati e derubati. Poi, sono stati riportati verso il fiume, caricati su un’imbarcazione di legno e trasportati insieme ad altri sulla sponda turca.
“Le denunce di violenza devono essere oggetto di indagini immediate e imparziali. Ogni persona dovrebbe essere trattata con umanità, protetta dalla violenza e tutelata nell’accesso alla protezione nei Paesi in cui sta cercando riparo”, ha dichiarato Massimo Moratti, vicedirettore di Amnesty International.

Il rapporto “CAUGHT IN A POLITICAL GAME” a cura di Amnesty International

A febbraio Erdogan ha disposto la riapertura dei confini del Paese, agevolando i “flussi in uscita” verso l’Europa. In Turchia, secondo gli ultimi dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr), si trovano almeno 3,6 milioni di asilanti siriani. Dopo la decisione di Ankara, migliaia di persone hanno cercato di attraversare la frontiera con la Grecia, in particolare lungo il fiume Evros. Secondo gli ultimi dati dell’Unhcr, dall’inizio dell’anno al 22 marzo 2020, sono state almeno 2.015 le persone che hanno superato il confine terrestre. Sin da subito sulla zona di frontiera, dove entrambi i Paesi hanno schierato agenti della polizia, si sono verificati episodi di violenze. Secondo le testimonianze ascoltate da Amnesty International, i migranti e i richiedenti asilo sono stati respinti dalle forze schierate da Atene e le loro richieste di asilo non sono state prese in considerazione, anche nei casi in cui si trovavano già sul territorio greco, violando le leggi europee sul diritto di asilo e la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Le testimonianze parlano di persone derubate dalla polizia, picchiate con i manganelli e trattenute nei posti di confine per ore, e anche per diversi giorni, per poi essere caricate su barche e rimandate sulla sponda turca del fiume.

La Grecia ha rafforzato anche il pattugliamento in mare usando, come denuncia Amnesty International, ulteriori 52 imbarcazioni per impedire lo sbarco dei migranti sulle isole dell’Egeo orientale dove, sempre secondo i dati dell’Unhcr, dall’inizio dell’anno al 22 marzo ci sono stati 7.471 arrivi. Inoltre, dietro l’emergenza Coronavirus, il 13 marzo Atene ha sospeso il servizio greco che riceve le domande di asilo. Chi è arrivato sulle isole dell’Egeo dopo il 1 marzo, viene trattenuto in modo arbitrario nelle strutture portuali o in altre aree senza potere chiedere asilo e con il rischio di essere rimandato in Turchia o nello stato di origine o di transito. Solo sull’isola di Lesbo -dove sono già presenti 20mila richiedenti asilo, accolti nel campo di Moria che è pensato per ospitarne non più di 3mila- circa 500 persone, tra cui più di 200 minori, sono state fermate per dieci giorni a bordo di una nave della Marina greca, solitamente usata per il trasporto di carri armati e di altri mezzi militari. Il 20 marzo, le persone fino ad allora trattenute sulle isole sono state trasferite in più grandi centri di detenzione sulla terraferma, dove si trovano tuttora in attesa di una decisione sul rimpatrio e sempre senza poter presentare domanda d’asilo.

“La Grecia deve rapidamente cambiare atteggiamento e consentire ai nuovi arrivati di accedere alle procedure d’asilo e ai servizi essenziali. Devono trasferire queste persone dai centri di detenzione e dai campi insalubri verso strutture di accoglienza adeguate e sicure La veloce diffusione del Covid-19 rende tutto questo ancora più urgente”, ha affermato Moratti. “Gli stati europei devono, in modo efficace e numericamente significativo, ricollocare i richiedenti asilo dalla Grecia e reinsediare i rifugiati che si trovano in Turchia. Nonostante tutti i necessari controlli sulla salute e le quarantene, il Covid-19 non può diventare una barriera per impedire alle persone costrette a fuggire dalle loro case di cercare salvezza”, ha concluso.

Un appello viene anche dalla Ong Medici Senza Frontiere che, dopo un primo caso di Coronavirus confermato sull’isola di Lesbo, ha richiesto “una urgente evacuazione” dei campi sulle isole greche dove non sarebbe possibile gestire un’epidemia da Covid-19. I campi sono sovraffollati, mancano adeguati servizi igienici e non è garantito l’accesso alle cure sanitarie. “In alcune parti del campo di Moria c’è solo un rubinetto ogni 1.300 persone e il sapone non è disponibile. Famiglie di cinque o sei persone devono dormire in meno di tre metri quadri. Questo significa che le misure raccomandate per prevenire la diffusione del virus, come lavarsi spesso le mani e la distanza sociale, sono semplicemente impossibili”, ha affermato Hilde Vochten, coordinatore medico di Msf in Grecia. “Ma dobbiamo essere realisti: sarebbe impossibile contenere un’epidemia in insediamenti di questo genere a Lesbo, Chios, Samos, Leros e Kos. A oggi non abbiamo visto un piano di emergenza credibile per proteggere e trattare le persone che vivono nei campi in caso si diffondesse un’epidemia”.

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