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Tra sovraffollamento e disagio psichico, le difficili condizioni dei migranti in Grecia

Sull’isola di Lesbo, campo di Moria, con una capienza di tremila posti, accoglie circa 6mila persone tra cui donne, bambini e persone che hanno subito torture e violenze. Alessandro Barberio (Msf): “Qui esplodono i sintomi del disagio psichico”

“Non siamo più in una situazione di emergenza come due anni fa, quando ogni giorno arrivavano centinaia di persone. I flussi però non si sono fermati, si sono ridotti ad alcune decine al giorno. E la situazione sulle isole greche rimane impegnativa”, spiega ad Altreconomia Boris Cheshirkov, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per la Grecia. Nei primi sei mesi del 2018 dalle coste della Turchia sono sbarcati sulle isole di Lesbo, Chio, Samos e Kos 13,726 persone. Nel 2017 gli arrivi erano stati poco meno di 30mila contro i 173mila del 2016 e gli oltre 860mila del 2015.

La maggior parte di coloro che sono arrivati sulle isole dell’Egeo nel 2018 sono siriani (circa il 40% secondo le stime dell’Unhcr), iracheni (23%) e afghani (11%). “Molti sono vulnerabili: donne incinte, orfani, persone che hanno subito violenze -spiega ancora Cheshirkov-. Quattro bambini su dieci hanno meno di 12 anni”. La situazione è particolarmente difficile sull’isola di Lesbo, dove nei primi sei mesi del 2018 sono arrivate oltre 7mila persone. Con l’entrata in vigore degli accordi tra l’Unione europea e la Turchia, il centro di transito di Moria è diventato un centro di detenzione pre-espulsione con poche garanzie di rispetto dei diritti umani per i migranti. Nel campo vivono circa 6mila persone, nonostante abbia una capienza di appena tremila posti: “Il campo è affollato e le condizioni di vita sono penose. Ci sono stati diversi episodi di violenza sessuale ai danni di donne e ragazze,” sottolinea il portavoce di Unhcr. Inoltre all’interno dell’hotspot i richiedenti asilo vengono intervistati per verificare se hanno diritto o meno a presentare domanda di protezione. Una procedura che determina un allungamento dei tempi per il completamento delle procedure. “Occorre accelerare i trasferimenti dalle isole verso la terraferma, velocizzare le procedure di asilo e soprattutto migliorare le condizioni di accoglienza”, conclude Boris Cheshirkov.

Le difficili condizioni di vita all’interno del campo di Moria (che prende il nome da un piccolo villaggio nelle vicinanze) hanno gravi ripercussioni anche sulla salute mentale delle persone costrette ad attendere per mesi in un limbo l’esito della propria domanda di protezione internazionale. Nel marzo 2016, Medici senza frontiere ha sospeso le proprie attività nel campo di Moria. Una scelta dettata dalla decisione di “non essere complice di un sistema che consideriamo sia iniquo sia disumano”. Nel settembre dello stesso anno, l’organizzazione medica ha aperto una clinica nel centro della città di Mitilene, che offre assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, trattamento di malattie croniche e sostegno alla salute mentale. Inoltre, un’équipe ha avviato attività di emergenza a Moria per individuare le vulnerabilità specifiche e le esigenze di salute mentale.

“Le persone che arrivano a Lesbo hanno subito traumi fisici o psicologici durante il viaggio o in patria, molte sono vittime di tortura o di violenza sessuale e soffrono di disturbi da stress post traumatico. L’arrivo al campo di Moria rappresenta il momento in cui esplodono i sintomi della malattia psichiatrica”, spiega ad Altreconomia Alessandro Barberio, psichiatra, membro del team di Medici senza frontiere che gestisce una clinica nella città di Mitilene.  L’affollamento del campo, la lunga attesa per definire lo status giuridico, la mancanza di prospettiva e persino la difficoltà a soddisfare i bisogni primari fanno esplodere (soprattutto durante la notte) i sintomi del malessere psichico: insonnia, episodi dissociativi, amnesie. E numerosi tentativi di suicidio.

“Purtroppo possiamo gestire solo i casi più gravi: mediamente abbiamo in carico circa 150 pazienti, che vediamo regolarmente, almeno una volta a settimana per evitare che si cronicizzino -sottolinea Barberio-. L’incidenza dei casi di malattia mentale è molto elevata qui: anche considerando solo i nostri 150 pazienti in trattamento sulle 6mila persone presenti sull’isola si tratta di un numero che non corrisponde a nessuna percentuale o statistica che puoi trovare in Europa”.

All’interno del centro medico di Mitilene, gli operatori di MSF portanoPortiamo avanti un modello multidisciplinare: “Abbiamo medici, psicologi, operatori sociali -spiega Barberio-. Lavoriamo in modo da non frammentare gli interventi in modo da superare la fase acuta e successivamente approfondire la storia del trauma per capire dove e come intervenire”.  Anche la possibilità di uscire dal campo per raggiungere la città, il contatto umano con i medici e gli operatori sociali (che aiutano i rifugiati anche nel disbrigo delle pratiche burocratiche) rappresentano ulteriori elementi che favoriscono il benessere di queste persone.

Oltre alle diverse attività sulle isole, Medici senza frontiere gestisce tre cliniche ad Atene (una delle quali dedicata alle vittime di tortura) per rispondere alle esigenze specifiche dei migranti che vivono in alloggi formali e informali in città, oltre a garantire una presenza nei centri di accoglienza sparsi nel Nord del Paese. “La situazione è molto complessa: i richiedenti asilo non possono lavorare e dipendono in tutto e per tutto dallo stato –spiega Louis Roland Gosselin, capo missione in Grecia-. Inoltre i campi sono lontani dai centri abitati e le persone si trovano a vivere in condizione di grave isolamento”.

Negli ultimi mesi sono ripresi anche gli attraversamenti del confine terrestre con la Turchia, lungo il corso del fiume Evros: circa 7.200 persone sono entrate in Grecia tra gennaio e maggio 2018, secondo le stime dell’Unhcr. “Stiamo attivando servizi anche in quella regione: la situazione ci preoccupa perché molti migranti non trovano accoglienza e diventano homeless”.

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