Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Approfondimento

Mi butto in carreggiata

Duemila e cento chilometri di nuove autostrade in progetto: convengono solo a chi le vorrebbe costruire, consumano irrimediabilmente suolo

Tratto da Altreconomia 136 — Marzo 2012

Immaginate due punti qualsiasi nella Pianura Padana. Date loro un nome: non dev’essere necessariamente quello di una “città”; va bene anche un “paesone”, come Mortara (Pavia), Campogalliano (Modena) o Porto Garibaldi (Ferrara).
Vi diamo un consiglio: è meglio se entrambi i punti ricadono nei confini della stessa Regione -Piemonte, Lombardia, Veneto o Emilia-Romagna-. Dite in giro che quei due punti hanno bisogno di essere uniti, e che il modo migliore per farlo è costruire un’autostrada. Rassicurate subito l’opinione pubblica: nessuna preoccupazione, i soldi ce li metterete voi e i vostri partner, che sono i maggiori istituti di credito del Paese e “primari operatori” nel settore delle costruzioni, imprese private e cooperative. I cittadini siano sereni, perciò: l’opera è “totalmente finanziata”, lo Stato non ci mette un centesimo, e così non andrà ad incidere sull’incredibile debito pubblico dell’Italia.  
Quella che abbiamo disegnato non è la trama di un racconto fantastico, né una favola, ma una piéce teatrale. Che qualcuno rappresenta ancora come se fosse la panacea in grado di muovere l’economia del Paese, investimenti per decine di miliardi di euro: sul palco si gioca una partita il cui “campo da gioco” è l’Italia. Vince chi riesce a far credere all’opinione pubblica che nel 2012 sia sensato costruire oltre 30 nuove autostrade, strisce d’asfalto larghe (come minimo, perché così dice la legge) 25 metri per oltre duemila chilometri.
Tra le prove da superare c’è anche quella dei numeri: come nascondere agli italiani che il Paese, in media, è già dotato di una rete autostradale più “densa” rispetto a quella europea, cioè a 2,2 chilometri ogni 100 chilometri quadrati di superficie, contro una media di 1,5 nei 27 Paesi Ue? E la risposta “sì, però al Sud” non vale, perché le nuove autostrade si concentrano dove la densità è maggiore.
Il primato lombardo. Tra gli attori più allenati a giustificare l’esigenza di nuove autostrade c’è senz’altro la Regione Lombardia. “C’è l’Expo del 2015” è l’espressione più gettonata. E allora via con BreBeMi (la direttissima Brescia-Milano), Teem (Tangenziale Est esterna di Milano) e Pedemontana Lombarda, dieci miliardi di euro in tre. Ma nel libro dei sogni ci sono anche la Broni-Mortara, la Cremona-Mantova, l’Interconnessione Pedemontana-BreBeMi (Ipb), il raccordo autostradale della Valtrompia, una Tagenziale Ovest esterna (Toem), una direttissima Varese-Como-Lecco…
Dalla “ricetta lombarda” pare intuire che un’autostrada chiama l’altra, quasi fosse -in questo caso- un gioco a rincorrersi. L’Interconnessione Pedemontana-BreBeMi, ad esempio, per Regione Lombardia è “un’opera viabilistica prioritaria”, anche se in concreto consiste nel collegamento tra due autostrade che esistono solo sulla carta.
Altri, invece, giocano ad unire in più punti l’esistente: Ti(rreno)-Bre(nnero), ad esempio, significa unire l’A15 della Cisa all’A22 del Brennero; in Veneto, la Valdastico -che oggi si ferma a Piovene Rocchette, Vicenza- dovrebbe bucare le montagne per raggiungere l’A22 a Nord, mentre a Sud sta già scendendo fino a Badia Polesine, correndo parallela all’A13, fino ad incrociare la Nogara-Mare Adriatico, che ancora non esiste, ma un giorno unirà la cittadina di Nogara (a Sud di Verona) e l’A22 ad Adria, in provincia di Rovigo. E non è finita: c’è anche una “Cispadana”, e dovrebbe collegare l’A22 (a Reggiolo) con l’A13 (a Ferrara), per poi proseguire verso il mare con l’imprescindibile raddoppio del raccordo tra Ferrara e Porto Garibaldi, 53 chilometri per 600 milioni di euro, per collegare la città degli Estensi a una frazione del Comune di Comacchio, in riva all’Adriatico. In questo quadro, la zona tra Rovigo e Ferrara diverrà l’epicentro autostradale del Paese, visto che la attraverserà anche la “nuova” Autostrada del Sole, cioè il collegamento tra Mestre ed Orte, dove incrocerebbe l’A1. È un’opera da oltre 7 miliardi di euro.  
Per chi si fosse perso, c’è la mappa a pagina 12: la maggior parte degli interventi elencati (e disegnati) sono “autostrade regionali”. Iniziano e finiscono, cioè, nei confini di una Regione: qualcosa è cambiato, infatti, da quando a far le autostrade, o meglio ad autorizzarle, sono le Regioni, e non più lo Stato. In Lombardia c’è Cal, Concessioni autostradali lombarde (www.calspa.it), partecipata dall’Anas e dalla Regione Lombardia. Le sue sorelline si chiamano Cap (in Piemonte, www.capspa.it), Cav (in Veneto, www.cavspa.it), Autostrade del Lazio e Autostrade del Molise, e sono tutte compartecipate al 50% tra Regioni ed Anas. Tutte sono state bacchettate di recente dalla Banca d’Italia, che nel rapporto “Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione” segnala: “Riguardo alle autostrade si registra un recente attivismo da parte delle Regioni, ma non è del tutto evidente in che misura questo sia volto a colmare un ritardo nelle dotazioni, oppure rappresenti un tentativo di intercettare parte delle rendite generate dal settore autostradale, per contrastare il calo nei finanziamenti”, cioè dei trasferimenti dallo Stato.

Un “sistema pedemontano”. Forse è vero, se qualcuno -Confindustria-, per giustificare la costruzione delle tre autostrade pedemontane in Piemonte, Lombardia e Veneto, dice che costituirebbero un unico “sistema pedemontano”. A noi paiono tre progetti utili a descrivere i “limiti” strutturali delle nuove autostrade. Cominciamo dall’Ovest: la Pedemontana del biellese è un by pass tra l’A4 (all’altezza di Santhià, Vc) e l’A26 (in prossimità di Ghemme, No) che collegherebbe Biella alla rete autostradale. Quaranta chilometri, per un investimento di quasi 600 milioni di euro: il 35% delle risorse dovrebbero essere pubbliche, garantite da Regione Piemonte e dal Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica). Il restante 65% è a carico del promotore, che è un’associazione temporanea d’imprese guidata da Satap, la società del gruppo Gavio che ha già in gestione la Torino-Milano sull’A4 e la Torino Piacenza sull’A21. Il project financing si basa su una previsione di traffico di 37.489 veicoli al giorno, “pari al 33% del traffico della Milano-Torino sull’A4” secondo dati elaborati da Daniele Gamba di Legambiente Biella. Per fare un confronto, sono 19.900 i veicoli in transito sul raccordo tra Ivrea-Santhià, che però convogliano flussi da Milano e Genova verso i trafori del Monte Bianco e del Gran San Bernardo. Il 12 ottobre 2011 la Regione Piemonte ha presentato parere positivo alla valutazione d’impatto ambientale. Eppure: per 1,2 chilometri l’autostrada corre all’interno di un’area Sic (sito d’interesse comunitario); verranno compromessi oltre 500 ettari di terreni, 334 dei quali cementificati per ospitare “il corpo d’opera”. C’è, infine, il nodo del materiale da costruzione: “Il Piano prevede un approvvigionamento di circa il 60% dei materiali litoidi, ovvero circa 5.500.000 metri cubi dall’area della Valledora”, nel vercellese. Le attività estrattive interessano una superficie di 134 ettari. 
Passiamo ad Est: la Pedemontana veneta sarà una superstrada a pedaggio di oltre 90 chilometri, tra Montecchio Maggiore (Vi, A4) e Spresiano (Tv, A27), saltando Vicenza, Padova e Mestre. Costerà 2,13 miliardi di euro, e occuperà 8,5 milioni di metri quadri di aree, oggi in prevalenza agricole. Sull’altare dell’idolo Asfalto verranno sacrificate 2.800 aziende agricole, espropriate dei propri terreni. A inizio febbraio il Tar del Lazio ha “sospeso” i lavori, per la seconda volta in pochi mesi, dando ragione al ricorso del Comune di Villaverla.
Il presidente della Regione Luca Zaia nell’inaugurare i cantieri della superstrada -nel novembre scorso- aveva spiegato che “la Pedemontana Veneta è una delle tante opere delle quali abbiamo bisogno per consolidare il nostro impegno allo sviluppo e il ruolo chiave in una economia internazionalizzata delle quale vogliamo essere protagonisti, forti della nostre capacità e del nostro storico ruolo di cerniera tra i popoli”.
La terza Pedemontana è quella lombarda, parte di un sistema a “tre” variabili (le altre sono BreBeMi e Tem) da giocare e vincere -secondo il presidente della Regione Roberto Formigoni- entro il 2015. Solo che, in tutto, costano 10 miliardi di euro. E c’è un problema: mancano i soldi. Lo ha ricordato, a inizio febbraio, Giuliano Asperti, vice presidente di Assolombarda con delega a territorio e infrastrutture: “Mancano all’appello ancora 7,1 miliardi da reperire in gran parte sui mercati finanziari”, il 70% delle risorse.
Il project financing non funziona. Chi dovrebbe finanziare l’opera, cioè le banche, paiono non fidarsi. I progetti sono troppi e tutti insieme, e le autostrade parallele potrebbero rubarsi clienti l’un altro. È rischioso costruire queste infrastrutture a debito, puntando poi a “recuperare” il credito dai concessionari gestendo l’autostrada per 15, 30 o 50 anni. Entrate molto aleatorie.
Alla Mobility Conference di Assolombarda, a inizio febbraio, lo ha spiegato Luca Manzoni, responsabile della direzione Network corporate Lombardia di Unicredit: “I concessionari mancano di equity, capitale proprio. Enti, soci e sponsor hanno a disposizione risorse limitate, e sono coinvolti su più fronti, intrecciati tra di loro. Quand’è necessario un aumento di capitale, c’è chi segue e chi no. Ci sono soci che hanno forza finanziaria, ma sono coinvolti anche in progetti concorrenti, e non intervengono”. E poi, aggiunge Manzoni, c’è un “rischio di traffico”: le banche, cioè, si chiedono se i numeri scritti nel piano economico e finanziario reggono alla prova dei fatti. Un tema molto sentito dalla banche nel caso di tre progetti greenfield, ovvero sviluppati da zero.

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.