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Ambiente

Mercificare la natura della bella Italia? No, grazie

Sì è svolta ieri ed oggi all’Università La Sapienza di Roma la prima conferenza nazionale sulla biodiversità. Un passaggio atteso e dovuto da parte del governo italiano, vista la necessità di aggiornare e capire come attuare la strategia nazionale sulla biodiversità verso il 2020. Al di là delle cariche.

Anche in questa occasione il nuovo mantra della Green Economy ha avvolto l’incontro, sollevando attese che le priorità ambientali possano essere conciliate con un approccio di mercato che crei una società basata sull’economia verde. Il tema di come dare valore, anche monetario, alla natura è anche entrato nel dibattito, vista la richiesta di molti di creare in Italia una “commissione per il capitale naturale” che aiuti a creare una contabilità ambientale per l’intero paese.

Mentre è essenziale capire la ricchezza senza prezzo che la natura fornisce alla società eai suoi processi economici ogni secondo, ricchezza che va preservata anche con il rafforzamento e il finanziamento pubblico delle aree protette, Re:Common ritiene che la definizione monetaria del capitale naturale apra concretamente alla possibilità che la natura e i servizi che forniscono i suoi ecosistemi vengano mercificati. Il tutto a vantaggio soltanto del profitto di pochi attori privati, senza risolvere per altro la crisi ecologica in cui versa il pianeta.

Preoccupa parimenti l’enfasi messa sulla realizzazione delle cosiddette “infrastrutture verdi”, che introduce una nuova terminologia per fare riferimento a interventi di creazione di nuove aree verdi e di mantenimento di quelle esistenti, inclusi i parchi naturali. Ma perché chiamarli infrastrutture? E che cosa si cerca di sdoganare con questo concetto, se concordiamo che per arginare la perdita di biodiversità il primo passo dovrebbe essere quello di fermare la cementificazione dei territori senza deroghe di alcun tipo?.

Per Re:Common è centrale che in alcun modo la strategia nazionale per la biodiversità preveda la possibilità di ricorrere a nuovi meccanismi compensativi, quali i progetti di offset o pagamenti dei servizi degli ecosistemi gestiti dal settore privato e commerciabili. E’ chiaro che le istituzioni internazionali quali l’OCSE, o l’Unione Europea, spingano in tal senso dietro la necessità di esplorare “meccanismi innovativi” di finanziamento della biodiversità. Parimenti problematico in tal senso il collegamento dei nuovi possibili meccanismi ai mercati del carbonio, che non sono riusciti a ridurre le emissioni ma hanno dato licenza di inquinamento alle grandi aziende e permesso profitti a speculatori finanziari.

In un’economia finanziarizzata qualsiasi meccanismo di mercato sarà forgiato a favore della speculazione e renderà anche la natura una merce finanziarizzata. Il passo è breve alla finanziarizzazione dell’acqua, di altre risorse e di tutto il vivente. Sarebbe un disastro enorme per le comunità, i territori e l’intero pianeta. Per questo prima di affrettarsi a dare numeri sulla natura che piacciono al mercato, è urgente far pagare il danno fatto a chi ha operato impunemente in questo fino ad oggi, ad esempio smettendo di sussidiare i combustibili fossili e dando diritto alle comunità locali di gestire l’ambiente in cui vivono.

Re:Common è stata tra i promotori della dichiarazione internazionale “No biodiversity offset" lanciato in occasione del contro-vertice promosso ad Edimburgo a margine del primo Forum mondiale sul capitale naturale delle principali banche ed istituzioni finanziarie private del pianeta lo scorso novembre.

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