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Meno servizi per tutti – Ae 39

Numero 39, maggio 2003Oscurata dai clamori del conflitto iracheno la riforma fiscale -con una legge delega- è passata nelle mani del Governo. Che dice di mantenere le promesse elettorali, anche quelle non detteMeno Stato per tutti: lo slogan è questo,…

Tratto da Altreconomia 39 — Maggio 2003

Numero 39, maggio 2003

Oscurata dai clamori del conflitto iracheno la riforma fiscale -con una legge delega- è passata nelle mani del Governo. Che dice di mantenere le promesse elettorali, anche quelle non dette

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eno Stato per tutti: lo slogan è questo, ma non lo vedremo sui manifesti giganti affissi per le strade. Oscurata dai clamori del conflitto iracheno, il 26 marzo scorso è passata in secondo piano l'approvazione della legge-delega che affida al Governo la riforma del sistema fiscale. Perché -come promesso in campagna elettorale- diminuiranno le tasse (soprattutto per i più ricchi), ma quel che non si dice è che diminuiranno anche i servizi dello Stato nei confronti dei cittadini. Il provvedimento che dà il via alla riforma tributaria è infatti una svolta nella definizione del rapporto economico tra contribuente e fisco, cioè in fin dei conti tra cittadino e Stato.

Quando sarà definitivamente introdotta (non prima del 2005) i contribuenti saranno suddivisi in due soli scaglioni: chi guadagna meno di 100 mila euro l'anno, e chi ne guadagna di più. Ai primi verranno chiesti tributi equivalenti al 23% del reddito, per i secondi l'aliquota sarà del 33%. E questo è un dato importante della riforma: il 99% dei contribuenti, infatti, ricade nel primo scaglione. In pratica si tratta di una “mono aliquota”. Quindi quasi tutti pagheremo in imposte meno di un quarto del nostro reddito.

Oggi gli scaglioni sono 5 e altrettante le aliquote: la più bassa è del 23% (per redditi sotto i 15 mila euro l'anno), la più alta del 45% (redditi sopra i 70 mila euro l'anno). Il principio di progressività, sancito dalla Costituzione (all'articolo 53), per cui al crescere del reddito deve crescere anche la percentuale che diviene tributo, verrà perciò salvaguardato -secondo la legge delega- attraverso un sistema di deduzioni (cioè la riduzione del reddito sul quale calcolare l'imposta), che sostituiranno le detrazioni (che sono “sconti” sulle tasse da pagare).

Il passaggio alle nuove aliquote porterà nelle casse dello Stato 20 miliardi di euro in meno. Una prima tappa di questo passaggio era già nella Finanziaria 2003: il governo ha rivisto le aliquote del 2001, ed ha istituito una “no tax area”, fissando una quota di reddito non sottoponibile a tassazione.

Una manovra da 5,5 miliardi di euro, ripagati dalle numerose misure una tantum attuate dal Governo (condoni, cartolarizzazioni, scudo fiscale ecc.) e frutto del Patto per l'Italia sottoscritto lo scorso luglio con le parti sociali (Cgil esclusa). A vantaggio, almeno sulla carta, dei ceti medi e bassi.

L'altro elemento decisivo della riforma riguarda le aziende. La legge-delega prevede la riduzione dell'Irpeg (l'imposta sul reddito delle società) dal 34% al 33%, ma soprattutto la progressiva eliminazione dell'Irap, l'imposta che le aziende versano alle amministrazioni regionali.

L'Irap porta nelle casse delle Regioni tra i 25 e i 30 miliardi di euro l'anno. Eliminare l'Irap non è un problema da poco: oltre ai servizi, meno Stato vuol dire meno risorse da destinare alle amministrazioni locali. Che in qualche modo dovranno reperire fondi. Per quest'anno la Finanziaria ha “congelato” la possibilità di aumenti per le imposte addizionali di competenza regionale e comunale (anche se in sei regioni -Lombardia, Piemonte, Veneto, Marche, Puglia e Umbria- erano state aumentate in via “preventiva” poco prima della legge), ma la vera partita si giocherà l'anno prossimo, quando non ci saranno più condoni o altri escamotage per recuperare gettito dai contribuenti. Il che vuol dire che alla fine, tra imposte locali, ticket e compartecipazioni, la diminuzione delle tasse da versare al fisco potrebbe trasformarsi in un aumento della spesa reale per i cittadini, che dovranno cominciare a pagare (o pagare di più) servizi che prima erano di competenza dello Stato, come asili e assistenza sanitaria.

Nei prossimi due anni il Governo avrà il compito di portare a termine la riforma, la cui attuazione sarà graduale e vincolata alle risorse economiche del Paese. In tutto si tratta di 50 miliardi di euro di minori entrate tributarie. La legge-delega è vaga sul reperimento delle risorse per finanziare questi tagli fiscali. Il Governo punta molto sulla crescita economica del Paese per colmare il buco. Ma la scommessa vincente sembra essere quella della demolizione del Welfare.

Ammesso che alla fine la rivoluzione fiscale ci sia: la riforma va completata entro la fine della legislatura, e potrebbe essere un utile strumento elettorale. “È improbabile che un provvedimento del genere vada in porto” sostiene Giuseppe Pisauro, professore di Scienza delle finanze a Perugia e Roma, membro della Commissione tecnica per la spesa pubblica e in passato consulente per il Fondo monetario internazionale. “La dimensione della perdita di gettito è troppo vasta ed è falsa l'idea secondo la quale la diminuzione delle aliquote stimola l'economia e, di conseguenza, aumenta le entrate tributarie. Le economie mature, come quella italiana, non hanno grandi margini di crescita, senza contare che la popolazione attiva diminuisce. Sarà difficile sostenere politicamente i tagli a istruzione, sanità, pensioni, e agli enti locali”.

Il senso, e il peso, del provvedimento stanno anche nella relazione che ha accompagnato il disegno di legge nell'iter parlamentare. Una relazione firmata dal Governo e, con ogni probabilità, scritta dal ministro per l'Economia, Giulio Tremonti. Al centro della “filosofia” del nuovo fisco c'è l'idea di una “giusta imposta”: “Nella nostra visione, il limite naturale dell'imposizione fiscale è rappresentato dal lavoro e dalla proprietà privata, basi fondamentali della libertà della persona e della ricchezza della nazione. (…) La nuova struttura mira, nella forma della riduzione delle aliquote e della semplificazione, ad un nuovo rapporto tra fiscalità e libertà”. Nella sostanza: il reddito deve essere tutelato come strumento di libertà personale. Per essere “giusta” l'imposta non può essere “odiosa”. E il risparmio fiscale individuale viene prima dell'assistenza sociale: “La possibilità dell'autosostentamento è di conseguenza prioritaria, rispetto all'assistenzialismo statale. Perché le risorse ricevute dallo Stato (alias 'concesse' graziosamente dallo Stato, sotto forma di detrazione) non comunicano lo stesso grado di libertà nell'uso delle risorse autonomamente guadagnate”.

E ancora: “Nella concezione paternalistica si trasforma un cittadino, che senza la pressione fiscale disporrebbe di risorse proprie, in un assistito. Lo Stato, con un'elevata imposizione fiscale, priva il cittadino dei mezzi necessari per le sue spese inevitabili (dal mantenimento all'educazione). E poi gli riconosce detrazioni o gli concede sussidi (assegni familiari eccetera)”. E in questo modo -sostiene Tremonti- sarebbe anche ridotta la libertà di scelta tra servizi pubblici e servizi privati.

Pagare meno tasse per avere più soldi a disposizione da spendere come si desidera, quindi. Infatti “il primo esercizio per determinare la 'giusta imposta' è essenzialmente politico”. Tutto sta a capire come se la caverà chi, i soldi da spendere come desidera, non li avrà proprio.!!pagebreak!!

330 miliardi di euro in imposte
330 miliardi di euro. Tanto abbiamo versato in imposte nel 2002: 3 miliardi in meno (1% circa) rispetto al 2001. Diminuzione determinata soprattutto dalla riduzione delle entrate di imposte dirette, Irpef e Irpeg: in totale quasi 173 miliardi di euro, 6 in meno rispetto al 2001. L'Irpef equivale al 37,2% delle entrate tributarie totali, mentre l'Irpeg contribuisce alle casse dello Stato per il 9%.

L'altra componente del gettito fiscale è data dalle imposte indirette, che ammontano a 157 miliardi di entrate. Prima fra tutte le indirette c'è l'Iva, l'imposta sul valore aggiunto che si paga sui beni e i servizi. Nel 2002 l'Iva è passata a 94 miliardi di euro, contro i 92 dell'anno precedente: equivale al 28% delle entrate tributarie.

Dopo l'Iva viene l'imposta sugli oli minerali (ovvero sui carburanti) che ha portato all'erario 20 miliardi di euro, il 6% del totale. Anche tabacchi e gioco del lotto sono imposte indirette e componenti importanti delle entrate tributarie: quasi 16 miliardi di euro (8 per ciascuno).

La riforma in breve
Persone fisiche: In sostituzione dell'Irpef nasce l'Ire, che a regime avrà solo due aliquote: 23% (redditi sotto i 100 mila euro) e 33%. All'Ire saranno sottoposti anche gli enti no-profit. Viene introdotta una no-tax area e il sistema di detrazioni viene sostituito dalle deduzioni.

Aliquota unica (12,5%) per i redditi finanziari, cioè tutti i proventi di natura finanziaria (come gli investimenti in Borsa) compresi i depositi bancari. Prima le aliquote erano due: 12,5% e 27%. Regime fiscale agevolato per i risparmi destinati alla costituzione di fondi per l'acquisto della prima casa.

Aziende: Per l'Irpeg: aliquota unica ridotta al 33%. Introdotto anche il consolidato fiscale, cioè la possibilità di accorpare gli imponibili delle società facenti capo a un solo gruppo. Gradualmente verrà eliminata l'Irap.

Altre imposte: Riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile per l'Iva. Si vuole avvicinare la struttura dell'Iva a quella di una tassa sui consumi. Ogni anno poi la Finanziaria avrà la possibilità di determinare il volume di affari che può essere escluso dalla base imponibile per finalità etiche. È la logica della “de-tax” (che Tremonti oppone alla Tobin tax), che è l'esclusione dall'imponibile dell'1% del volume di affari, che viene destinato dal consumatore a finalità etiche. La delega punta infine sul riordino del sistema delle accise e all'unificazione di alcune imposte indirette minori (di registro, ipotecaria, catastale, di bollo, sulle concessioni governative, sui contratti di Borsa, sulle assicurazioni e sull' intrattenimento).

Tagli le tasse, fai tutti felici e riduci il ruolo dello Stato
La riforma fiscale è tema centrale dell'agenda politica internazionale. A partire dagli Stati Uniti, dove il piano di George Bush è stato rapidamente approvato (pur se ridimensionato). A quel piano il governo di Silvio Berlusconi ha sempre dichiarato di ispirarsi. “Meno tasse per tutti?” è un veloce libro scritto nel 2001 dal Paul Krugman, economista statunitense (per molti “in odore” di Nobel) e collaboratore del New York Times. Il volume analizza il piano Bush e spiega perché quel piano è “irresponsabile”.

“Una ragione per cui i conservatori vogliono i tagli fiscali risiede nella loro convinzione che imposte più basse garantiscano una crescita economica più rapida. Ma l'adesione conservatrice ai tagli fiscali è più profonda: si basa sull'economia politica più che sulla semplice logica economica”. Ovvero: “Una ragione importante per la quale i conservatori vogliono tagliare le tasse è che vogliono mettere alla fame il governo federale: non vogliono che si formino risorse finanziarie prontamente disponibili per sostenere nuovi programmi e nemmeno per mantenere quelli già in corso”. I programmi di cui si parla sono quelli sociali, e l'impostazione dell'amministrazione Bush è quel “conservatorismo compassionevole” che preferisce la filantropia al Welfare. “Il fine che si vuole raggiungere -leggiamo nella presentazione al libro, redatta da Salvatore Bragantini, economista e collaboratore del Corriere della Sera- è la riduzione del ruolo dello Stato nell'economia. Solo che ridurre i programmi di spesa non è elettoralmente pagante, perché i cittadini si spaventerebbero: meglio prospettare il taglio delle tasse, misura gradita sotto tutti i cieli.”

Chi ci guadagna e chi ci perde
Chi guadagnerà dalla riforma fiscale? Se non verrà modificata, la nuova impostazione andrà quasi del tutto a favore dei redditi più alti. Lo rivela uno studio del Centro di analisi delle politiche pubbliche dell'Università di Modena. I tagli previsti ammontano a 20 miliardi di euro, in media 600 euro di tasse in meno per ogni contribuente. 5 miliardi sono già stati utilizzati nella Finanziaria di quest'anno, a favore dei redditi bassi e medi (anche se i più poveri non hanno goduto di particolari vantaggi, e in sei regioni le imposte addizionali sono aumentate). Gli altri 15 miliardi di tagli saranno frutto delle nuove aliquote. “La ricerca indica un aumento della disuguaglianza”. Cioè: osservando l'incremento percentuale del reddito di cui le famiglie disporranno dopo aver pagato le tasse, appare che “a trarre maggiori benefici dalla riforma saranno le famiglie più ricche”. In numeri, grazie ai tagli fiscali l'1% più ricco delle famiglie vedrà aumentare il proprio reddito dell'11,5% , contro un guadagno medio complessivo del 3,2%, anche se per la grande maggioranza delle famiglie l'incremento del reddito disponibile si aggirerà attorno al 2%. E in più “il 20% più ricco delle famiglie si approprierà il 78% dello sgravio complessivo”, mentre al 50% meno ricco andrà il 13% del totale”. Se si tiene conto delle caratteristiche socio-demografiche dei contribuenti, i risultati sono ancora più interessanti: “l'incremento del reddito disponibile sarà maggiore per le famiglie di lavoratori autonomi, per chi abita nelle zone ricche del Paese, per chi ha un elevato livello di istruzione. Le famiglie con capofamiglia anziano sono le meno avvantaggiate”.”Una valutazione completa della riforma dovrebbe considerare anche le implicazioni sulla spesa sociale. Il primo aspetto è l'effetto delle risorse necessarie per finanziare la riduzione del gettito. Il secondo aspetto dovrebbe essere il coordinamento tra questa riforma e quella, se esiste, dei programmi di contrasto della povertà e di sostegno delle responsabilità familiari”.

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