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Economia / Intervista

Creare valore gestendo un’impresa come se fosse un sistema vivente

Per Massimo Mercati, amministratore delegato del Gruppo Aboca, l’impresa è definita dalla capacità di generare valore positivo su ambiente, lavoratori e società. Dialogo a partire dal suo libro in cui spiega come fare

Tratto da Altreconomia 231 — Novembre 2020
© Archivio Aboca

Massimo Mercati è un imprenditore italiano, amministratore delegato del Gruppo Aboca, 228 milioni di euro di fatturato nel 2019 e 1.500 dipendenti. Aboca è una multinazionale presente in 16 Paesi oltre all’Italia, il cui cuore è ben piantato nella Val Tiberina, a cavallo tra la Toscana e l’Umbria, e non è una figura retorica. Il libro che Mercati ha appena scritto si chiama infatti “L’impresa come sistema vivente” (Aboca Edizioni) e riassume la lettura della società, dell’economia e del ruolo dell’impresa di questa azienda, nata nel 1978 da un’intuizione del padre di Massimo, Valentino, che a Sansepolcro (AR) fondò una healthcare company con l’obiettivo di ricercare nella complessità della natura le soluzioni per la cura dell’uomo.

Oggi Aboca si occupa di cura della salute attraverso prodotti al 100% naturali che rispettano l’organismo e l’ambiente e in Val Tiberina gestisce ben 1.700 ettari dove sono coltivate con metodo biologico 67 specie diverse di piante officinali, frutto di una selezione che ha consentito di adattarle all’ambiente di coltivazione. “Considero l’imprenditore il custode di un’organizzazione sociale, l’impresa, e del suo significato. Quando però il significato è solo la ricerca del profitto, l’utile, egli è il custode di una dimensione insufficiente a legare i membri di un’organizzazione in una vera comunità, e che anzi la divide”, dice Mercati. “Il concetto di ‘valore’ deve essere ripensato. Di fronte alla crisi che viviamo -che è climatica, ambientale, sociale ed economica- è facile retorica parlare di ‘sostenibilità’ ma spesso chi lo fa non ha rimesso a fuoco le parole chiave: il punto di partenza per riflettere sull’impresa e sulla trasformazione che dovrebbero interessarla parte dall’analisi del concetto di valore, delle esternalità negative e di quelle positive, perché la visione riduzionistica, quella che isola ogni singolo elemento, non permette di abbracciare tutti i fattori e il Prodotto interno lordo (Pil) non riflette il valore, non basta”.

© Archivio Aboca

Nel libro Mercati lo scrive in modo chiaro: “Non è il profitto che crea valore ma è la creazione di valore che genera il profitto. Non si tratterà di vendere per creare valore ma di creare valore per vendere. Su queste basi potrà rinascere un nuovo modello di impresa che torni alle radici sociali, giuridiche ed economiche che ne sono all’origine”. Parlando, fa un esempio concreto: “La scelta dell’agricoltura biologica certificata e la gestione di un museo (nel centro storico di Sansepolcro, è dedicato ad erbe e salute, abocamuseum.it, ndr) rappresentano per Aboca dei costi aggiuntivi che un imprenditore potrebbe evitare se volesse massimizzare l’utile, in realtà sono elementi di creazione di valore, e noi realizziamo i nostri utili all’interno di questa visione sistemica, che va dall’agricoltura alle farmacie, e passa per l’analisi e la ricerca e la proposta culturale”.

All’interno del museo una delle stanze più belle è quella che ospita la Biblioteca Antiqua, 2.500 libri pubblicati dall’origine della stampa fino ai primi decenni del XX secolo che documentano lo sviluppo delle conoscenze dell’uomo sull’uso curativo delle piante. Sono strumenti di ricerca. “Da sempre studiamo i sistemi naturali e sappiamo che tutti i sistemi complessi sono organizzati a rete: le cellule sono reti di molecole, gli organismi reti di cellule e così via. Lo schema dominante in natura è quindi la rete e dobbiamo analizzarlo se vogliamo comprendere il funzionamento dei sistemi viventi. Se trasferiamo questo modello alla realtà sociale, all’impresa, e ci chiediamo qual è l’elemento che rende possibile l’individuazione dell’unità in un contesto diverso, quando si può parlare di rete sociale, la risposta è quando esiste un significato, un’identità della comunità”.

Il significato non può essere l’utile, e questa lettura è in (aperto) contrasto con quella del codice civile. Mercati nel libro cita l’articolo 2.247 che specifica come il contratto con cui si costituisce una società sia finalizzato all’“esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Spiega, parlando con Altreconomia: “Secondo il Codice la funzione dell’impresa è il profitto ma questa definizione è figlia di un’evoluzione culminata nel pensiero neoliberista di Milton Freidman perché un’azienda che non sviluppa anche una funzione economico-sociale, a 360 gradi, non dovrebbe essere riconosciuta come tale”. L’impresa che si riconosce come attore nella società secondo Mercati ha la capacità di identificare in modo netto dei valori condivisi, e riesce a comunicarli anche ai propri dipendenti, un elemento fondamentale in particolare nelle fasi di crescita, che si operi all’interno di una start up o di un gruppo strutturato come Aboca: “Noi facciamo 150 inserimenti ogni anno e in questa situazione è facile perdere di vista il ‘perché siamo qui’, l’identità, la comunità formale. Se i valori sono chiari, e la revisione del modello d’impresa non è scritta solo nelle brochure, ma è qualcosa di evidente nei comportamenti che ne conseguono, questo permette di orientare all’interesse condiviso il comportamento delle persone che entrano a far parte della rete sociale. Il primo lavoro che va fatto è culturale ed è all’interno dell’azienda”, spiega Mercati.

a Biblioteca Antiqua nel museo di Sansepolcro ospita 2.500 libri pubblicati dall’origine della stampa fino ai primi decenni del XX secolo che documentano lo sviluppo delle conoscenze dell’uomo sull’uso curativo delle piante © Archivio Aboca

Nel libro spiega come cambia, in maniera decisa, la fase manageriale, il rapporto con i dipendenti dei soggetti che occupano posizioni apicali o di coordinamento. “Intanto chi gestisce la rete sa che non può affidarsi a una logica lineare comando-risultato. Nei sistemi viventi non esiste un principio di causa-effetto perché ogni nodo è un soggetto in grado di rispondere in modo autonomo, quindi il manager (l’esterno) può solo ‘perturbare un sistema’, costruire processi, monitorarli, governali, sapendo a priori che l’altra persona risponderà in modo autonomo. Analizzando l’aspetto della legittimità del comando, conviene considerare che in una rete tutti i punti sono fondamentali. Esistono chiaramente soggetti capaci di influenzare in modo più o meno significativo il sistema, e lo so bene perché in qualità di amministratore delegato prendo scelte che informano tutta l’organizzazione, ma riconosco che anche io conto solo in quanto e in relazione alle altre parti”. Mercati nel libro definisce le tre qualità in capo a chi comanda e riesce a farlo senza imporsi: la competenza (è il più bravo, sa, è esperto), la virtù (“si obbedisce volentieri a colui che con il suo esempio dimostra la propria integrità morale”), la sollecitudine che -spiega Mercati- “è la virtù essenziale del capo perché racconta che il suo agire pone una costante attenzione nei confronti degli altri. Prendersi cura aiuta a governare”.

Un parziale punto d’arrivo della visione d’impresa come sistema vivente è la società benefit, una forma giuridica riconosciuta e introdotta nell’ordinamento italiano nel 2016. Prevede che le aziende esplicitino, all’interno del proprio statuto, una o più finalità di beneficio comune insieme all’obiettivo dell’utile economico. La gestione delle società benefit richiede ai manager di bilanciare l’interesse dei soci e l’interesse della collettività. Aboca è diventata una società benefit il 24 agosto 2018. “Questo strumento è importante perché immette nuovi principi nello statuto della società ed è così possibile uscire dalla retorica dell’imprenditore illuminato, colui che anche negli esempi di capitalismo più sfrenato e poco attento all’ambiente, alla società, alle esternalità negative prodotte, apre una fondazione e dona dei soldi o redistribuisce una parte degli utili. Se una società è benefit, è l’impresa che deve generale valore positivo, che opera per il bene comune (con un impatto su società, ambiente, lavoratori)”, spiega Mercati. È l’impresa, riassume, “che è una persona giuridica, a creare valore nel suo agire, al centro non c’è la persona fisica”. L’idea della società benefit è, tuttavia, un “paradosso”, secondo Mercati, perché oggi è prevista ed esiste come un istituto di diritto speciale, grazie al comma della Legge di Stabilità 2016, e non come una delle forme di società contemplate a priori.

È un paradosso come “l’agricoltura biologica che obbliga a certificare un modello più virtuoso”. Sono maturi i tempi, sottolinea l’amministratore delegato di Aboca, per una “riforma del codice civile che possa allargare come in Germania e in Spagna la nozione della società”. Perché è vero che la Costituzione riconosce, all’articolo 41, la libertà dell’iniziativa economica privata ma sottolinea come essa non debba svolgersi contro “l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana

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