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Marmo, il buco col paese intorno – Ae 55

Numero 55, novembre 2004Lessinia, straordinaria montagna orizzontale tra la valle dell’Adige e la provincia di Vicenza, terra di vini ma anche di marmi: il Rosso ammonito è uno dei più famosi al mondo. Così questa terra diventa luogo di un…

Tratto da Altreconomia 55 — Novembre 2004

Numero 55, novembre 2004
Lessinia, straordinaria montagna orizzontale tra la valle dell’Adige e la provincia di Vicenza, terra di vini ma anche di marmi: il Rosso ammonito è uno dei più famosi al mondo.
Così questa terra diventa luogo di un difficile incontro: tra attività economiche, turismo e ambiente. Cave e sfruttamento del territorio, ma non solo: il marmo arriva anche dall’estero, viene lavorato e poi riesportato. L’impatto ambientale è enorme. I problemi anche

Il rosso in Valpolicella non è solo vino. È anche marmo. Rosso Verona o rosso veronese è il nome del Rosso ammonitico, chiamato così perché negli strati rocciosi ci sono gusci di ammoniti, quei molluschi marini che si sono completamente estinti alla fine dell’era mesozoica. “Il marmo più famoso al mondo”, afferma con orgoglio il sito di uno dei consorzi dei produttori del Rosso di Verona (www.marmorossoverona.it ).

La più conosciuta e commercialmente la più pregiata tra le formazioni sedimentarie veronesi non si trova solo in Valpolicella, ma in tutta la Lessinia, straordinaria montagna orizzontale a Nord di Verona, racchiusa a Est dalla valle del fiume Adige -che divide la Lessinia dalla catena del Monte Baldo e dal lago di Garda- e a Ovest dal gruppo del Monte Carega, confine naturale con la provincia di Vicenza. Cima Carega supera i duemila metri e agli alpinisti veronesi non mancano rocce su cui arrampicare e -in inverno- vai (canaloni pieni di neve e ghiaccio) da risalire con picozza e ramponi.

I monti Lessini sono invece più arrotondati, più verdi e dolci; alta collina e media montagna si mescolano l’una nell’altra. Quando si sale, su una delle strade che da Verona portano in Lessinia, non è raro affrontare tornanti che da una curva ti permettono di vedere il brulichio della città in pianura e da quella successiva le montagne sopra le colline. Di notte, con lampioni in basso e stelle in alto, il contrasto è ancora più netto.

Questa terra rare volte viene ricordata dai mezzi di informazione nazionale: può capitare di sfuggita, grazie ai suoi sciatori di fondo (la famiglia Valbusa è dei dintorni di Bosco Chiesanuova) e ai suoi ciclisti che vanno forte in salita (anche Paola Pezzo, due medaglie d’oro olimpiche con la sua mountain bike, è di Bosco mentre Damiano Cunego, giovane vincitore dell’ultimo Giro d’Italia, è di Cerro).

Lessinia è meraviglie naturali, è particolarità della storia e della lingua ai confini della leggenda (la popolazione cimbra, proveniente dalla Germania meridionale in età medioevale: si può visitare il museo a loro dedicato a Giazza), tradizioni che nonostante la vicinanza con la città ancora si mantengono, le malghe per le vacche e i caseifici per i formaggi.

Però Lessinia è anche l’economia e l’edilizia che in qualche decennio l’ha trasformata in terra di seconde case per i veronesi di città, è anche il difficile equilibrio tra turismo locale, attività economiche (e qui le cave contano), isolamento delle contrade più abbandonate.

L’industria del marmo
Quello del marmo è un vero e proprio distretto industriale (oggi però si chiama distretto produttivo, in virtù di una legge regionale dell’aprile 2003). Secondo i dati della Camera di commercio di Verona l’economia del marmo nella provincia è caratterizzata da “un’elevata concentrazione di imprese fra loro integrate” e da “un insieme di attori istituzionali aventi competenze ed operanti nell’attività di sostegno dell’economia locale”.

Linguaggio forse un po’ fumoso per dire che fanno parte del distretto anche tutte le aziende dell'indotto e che si cerca di ragionare per filiera e non più per territorio. Quindi del distretto “veronese” del marmo possono far parte anche aziende che magari hanno la sede in provincia di Vicenza, Padova o Brescia… I dati della Camera di commercio parlano di 714 imprese, di cui 213 con 3.792 addetti hanno firmato il Patto per lo sviluppo del distretto. Giro d’affari: export 522 milioni di euro, import 178.

I portavoce della Videomarmoteca parlano di un fatturato per la 530 imprese veronesi (con circa 7mila addetti) attorno ai 2.800 miliardi l’anno.

A Verona ogni anno c’è una fiera internazionale dedicata alle macchine e alle tecnologie del settore, Marmomacc (in ottobre l’edizione numero 39; oltre 1.386 espositori e 56.268 operatori nel 2003); a Nord della città, da Ovest a Est, ci sono interi paesi e valli che hanno costruito la loro fortuna economica (con relativi capannoni e villette) sul commercio e l’esportazione di marmo e dintorni. Basta andare in Valpantena, lungo la strada che congiunge Quinto a Grezzana e Stallavena, per rendersene conto. A Sant’Ambrogio c’è una scuola professionale diventata un punto di riferimento delle aziende che ricercano personale specializzato.

Insieme a quello di Carrara, il distretto veronese rappresenta il principale polo italiano per la lavorazione di marmo e granito ed il più importante a livello mondiale per la produzione di agglomerati. Le caratteristiche? Specializzazione, imprese di piccole dimensioni, decentramento.

Nel veronese si lavorano marmo e graniti importati da tutto il mondo per poi esportarli in tutto il mondo. Per dirla con le parole delle aziende: “La zona marmifera del veronese è al primo posto in Italia per la quantità di materiali grezzi importati ed è quindi possibile all’acquirente scegliere il materiale d’interesse in un campionario vastissimo che riteniamo non abbia eguali al mondo. Il lavoro di trasformazione è esteso a tutte le lavorazioni, dalle più industrializzate alle artigianali, per trasformare il marmo per ogni destinazione e impiego: edilizia, arredo d’interni, ornamentazione, arte funeraria, arredo urbano e per il giardino, architettura di grande rappresentanza e prestigio”. !!pagebreak!!


Le cave delle Lessinia
Circa il 10% dell'export mondiale è coperto dalle pietre lavorate dalle aziende della Valpolicella.

Si esporta principalmente in Europa (soprattutto in Germania, e quindi in questi ultimi anni si risente della stanchezza della domanda tedesca) e già si guarda con timore a una possibile concorrenza della Cina…

In Veneto alla fine del 2003 erano censite 603 cave attive e 782 esaurite. Verona e Vicenza sono le province con il più alto numero di cave attive: rispettivamente 227 (altri sostengono 231) e 241. Belluno, Padova, Rovigo, Treviso e Venezia insieme ne hanno 135. Generalizzando -forse un po’ troppo- per semplificare, le cave, soprattutto in pianura e soprattutto vicino ai fiumi e in particolare nella provincia di Treviso servono soprattutto per produrre sabbia e ghiaia (141), da utilizzare in edilizia e per la costruzione di strade; in collina (Verona e Vicenza) per produrre calcare e marmi (269).

In provincia di Verona vi sono Comuni il cui territorio dà più l’idea di uno scolapasta che di una montagna: a Sant’Anna di Alfaedo ci sono 71 cave attive… Quando si tratta di decidere il futuro di una cava, i conflitti di competenze tra Regione, Provincia e Comuni non si contano, così come i regolamenti, le deroghe, i rinvii.

Da sempre si è estratto marmo in Lessinia e da cinquant’anni lo si fa a livello industriale dalle terre veronesi; oltre al celebre Rosso veronese si estrae anche la pietra di Prun, utilizzata a Verona per lastricare marciapiedi e per rivestimenti esterni, mentre in Lessinia viene usata nell’architettura tradizionale e per delimitare il confine di prati e orti.

Per trovare le pietre oggi si va sempre più in profondità, o si cercano di aprire sempre nuove cave. Il pietrisco che sta sopra dovrebbe essere accantonato per i ripristini (ma non sempre questo avviene).

Per staccare un blocco si fanno dei fori a breve distanza l’uno dall’altro nella parete, vi si mette dell’esplosivo e la montagna viene giù. Poi, se necessario, il materiale viene tagliato utilizzando tagliatrici o macchine con filo diamantato, caricato sui camion e trasportato nei laboratori. La scena che riprende l’attimo dell’esplosione nel cortometraggio Cosa c’è sotto le nuvole di Alberto Grossi, in concorso ad agosto alla decima edizione del Filmfestival “Premio Lessinia” di Cerro Veronese (un’altra delle preziose occasioni offerte dalla cultura della Lessinia e dalle persone che la animano) è l’11 settembre della montagna, e non pochi, fra gli ambientalisti della Lessinia, uscendo dal cinema si chiedevano “faremo anche noi la fine della Apuane?”.

Sono molti i motivi di preoccupazione per le cave, anche quando queste non sono più attive. Utilizzare quelle dismesse come contenitore di rifiuti industriali ovvero come discariche è un possibile affare che suscita non poche polemiche. A Tregnago, tra novembre e dicembre, un intero paese si è ribellato al progetto (presentato in Regione Veneto) di ospitare una discarica in una ex cava sul Monte Tomelon, con il sindaco Marco Pezzotti che dichiarava: “Considero la discarica un atto di aggressione del territorio che rappresento”. !!pagebreak!!


A piedi per conoscere
Il modo migliore di conoscere un territorio è “camminarlo”. La Lessinia offre, in questo senso, innumerevoli percorsi, alcuni davvero molto belli e adatti a ogni stagione. La Translessinia è un percorso, con la mountain bike o gli sci da fondo, che ormai richiama non solo i veronesi.

Il parco naturale regionale, creato nel 1990, si stende sugli alti pascoli, nella parte più settentrionale della Lessinia, tra i 1.200 e 1.800 metri di altitudine. Da vedere la grandiosa cavità carsica del Covolo di Camposilvano, e la vicina valle delle Sfingi, con le sue leggende, il Ponte di Veja, che è un massiccio ponte di roccia ad una arcata, lungo circa 50 metri e spesso 9, e poi i fossili di Bolca… Da assaggiare i formaggi (fra cui il Monte Veronese): i caseifici e le malghe, dove a inizio estate gli allevatori portano le vacche, sono elementi costitutivi della Lessinia. Per info sul parco e sui percorsi: tel. 045-679.92.11,www.parks.it/parco.lessinia

L’estrazione avanza dove non c’è alternativa
“Credo che gli interessi economici che ruotano attorno alle cave della Lessinia siano altissimi, in mano a poche e potenti famiglie”.

Vittorio Zambaldo è un giornalista che collabora al quotidiano veronese L’Arena. Si definisce “solo un cronista” ma in questi ultimi 10 anni ha seguito con regolarità la vicenda cave e si deve anche a lui se alcune vicende sono diventate d’interesse pubblico.

Gli abbiamo chiesto di commentare la situazione: “Guadagnano i proprietari terrieri e i cavatori: gli uni perché sfruttano terreni poveri dal punto di vista delle colture agricole; gli altri perché guadagnano tre volte: vendendo il marmo, vendendo gli scarti di lavorazione, vendendo le cavità da riempire. I personaggi che ruotano attorno agli interessi delle cave non sono tutti uguali, ovviamente, perché c'è chi lavora rispettando le regole e chi caverebbe anche il cuore della montagna se non avesse controlli. L'idea che mi sono fatto e che mi viene confermata giorno per giorno? Le cave e le discariche nascono là dove non si è stati capaci di proporre nulla di utile e intelligente per il territorio e la popolazione che lo abita: là dove già c'era degrado e disinteresse”. !!pagebreak!!

Una montagna per far nascere case, strade e… lavandini
Cinque milioni di tonnellate: tanto è il marmo che, ogni anno, viene staccato dai monti italiani per finire, lavorato, a far pavimenti, rivestimenti, lavandini, qui e nel resto del mondo. Ma non c’è solo marmo: nonostante le ridotte dimesioni geografiche, con oltre 10 milioni di tonnellate l’Italia è il terzo produttore mondiale di lapidei (oltre al marmo, granito e altre pietre per costruzioni) dietro ai sub-continenti Cina (18 milioni di tonnellate) e India (che solo di recente, con una produzione grezza di 11 milioni di tonnellate, ha scavalcato il Bel Paese). Oltre alla Toscana, le regioni dove maggiormente si scava sono Puglia, Sicilia, Lazio, Sardegna, Lombardia e Trentino (vedi pag. 6).

Il comparto conta oltre 12 mila imprese, la maggior parte delle quali però molto piccole: la media è di cinque addetti per ogni società. Nei primi sei mesi del 2004, l’Italia ha esportato 354 mila tonnellate di marmo in blocchi e lastre, per un valore di quasi 76 milioni di euro. Ma alto è anche il valore del marmo che viene importato per essere lavorato e poi di nuovo venduto: è questo il nuovo business del comparto. Sempre nei primi sei mesi del 2004, sono state oltre 233 milioni di tonnellate (in valore sono 38 milioni di euro). Il risultato è che 343 milioni di euro (per 520 mila tonnellate) è il totale dell’export di marmo lavorato. Di questo (che nell’intero 2003 ha fruttato 707 milioni di euro) la maggior parte è finita in America settentrionale.

Su questo versante, il principale concorrente del marmo italiano è la Turchia, che ormai è il primo fornitore di marmi lavorati per gli Stati Uniti e il Canada. !!pagebreak!!


Mobilitazioni e azioni culturali in difesa della Lessinia
In marcia per l’ambiente
Si chiamano Lessinia Viva, Lessinia Europa, Coordinamento per la marcia della Lessinia, Comitato per Velo… Gruppi a volte di una decina di persone, che però hanno saputo organizzarsi, hanno chiesto la collaborazione delle sezioni locali delle associazioni ambientaliste (Wwf, Legambiente) e di quelle di appassionati di montagna (primo fra tutti il Cai, il Club alpino italiano). Hanno organizzato la prima marcia per la Lessinia, nel dicembre 2002: circa 2.500 persone in cammino per difendere l’altopiano. Una visibilità che forse ha sorpreso qualche organizzatore, e che probabilmente ha infastidito qualche cavatore. Nel dicembre 2003 il Cai ha organizzato una marcia “per salvare la Val Sguerza e il Monte Potteghe”, dove da dieci anni nidifica una coppia di aquile reali. Il pericolo temuto? La proliferazione indiscriminata delle cave.

Tutte le associazioni continuano a promuovere informazione e appuntamenti. L’obiettivo comune è “Salvare la Lessinia”. Ovvero mettere in guardia la popolazione sui rischi connessi all’attività incontrollata delle cave, gridare la necessità di non lasciare crollare -letteralmente- l’architettura tipica della Lessinia, mantenere l’armonia nel rapporto tra uomo e territorio. Perché, secondo i portavoce dei vari comitati, le cave in Lessinia sono troppo e aperte da troppi anni, perché “cave” significa tagliare alberi, distruggere pascoli, deturpare paesaggi, mettere a rischio falde acquifere.

E soprattutto significa portare via ricchezza dalla Lessinia: ormai i cavatori sono pochi, il vero business è “giù nel fondovalle”, e in città.

Inoltre alcuni esponenti delle associazioni ambientaliste sostengono che parte del materiale di scavo che dovrebbe essere accantonato per il ripristino venga invece caricato sui camion e venduto in giro per l’Italia (serve per costruire le strade). “Ci viene il dubbio che oggi questo sia il vero affare, forse a livello locale un affare addirittura pari al marmo”, sostiene Alessandra Bazzani, docente in un liceo della città ma con le radici a Cona di Sant’Anna di Alfaedo, dove torna tutte le volte che può. Il problema dei ripristini è reale: si contano sulle dita delle mani, e quando giungono a compimento fanno notizia… Un’alternativa di questi ultimi tempi è una sorta di lifting alle cave, una colorazione delle pareti, pure contestata dagli ambientalisti.

Quelle dei comitati non sono solo parole. Essi cercano di fornire documenti e di interpellare politici e amministratori: ha fatto scalpore la decisione della Commissione tecnica regionale, lo scorso novembre, di sospendere le autorizzazioni di scavo per cinque cave nel territorio di Selva di Progno. La denuncia di irregolarità (nei confronti dei vincoli paesaggistici del territorio di Selva di Progno) era partita proprio dai comitati per la Lessinia e dalle associazioni ambientaliste.

Alessandro Anderloni ha poco più di trent’anni, alto con i capelli lunghi, il tono di voce di chi crede in quello che dice, la musicalità del cantastorie.

È maestro di coro, attore, regista teatrale e cinematografico, con le Falìe (vedi box). Soprattutto è un uomo della Lessinia. Vive a Velo Veronese, meno di mille abitanti, frazione compresa.

Anderloni si è laureato con una tesi su don Alberto Benedetti, uno spirito libero di queste montagne, prete “anarchico” e “salvègo” (più nel senso di “buon selvaggio” che di “selvatico”), morto nel 1997.

Proprio don Alberto aveva contribuito a fondare nel 1952 a Sant’Anna d’Alfaedo, dopo essere andato a Sant’Ambrogio in Valpolicella a “imparare l’arte e metterla da parte”, la prima cooperativa per l’estrazione e la lavorazione della pietra locale. Allora la lavorazione del marmo era vista come un’alternativa all’emigrazione e allo spopolamento della montagna. Forse non si poteva immaginare il boom economico e la cementificazione della montagna che essa avrebbe prodotto in pochi anni. Anche Anderloni -non poteva non essere così- è stato coinvolto nell’attività di monitoraggio delle cave.

“Io non sono contro le cave”, è la prima cosa che tiene a precisare. “Anzi riconosco la loro importanza nella storia della nostra gente, e sono grato a don Alberto e alla sua geniale intuizione di cinquant’anni fa. Don Alberto però pensava che i montanari della Lessinia dovessero vivere delle risorse della propria terra, credeva in un’economia di sussistenza, diceva ai cavatori: ‘cavate per vivere’. Oggi però, dopo mezzo secolo, tutto è cambiato: le cave sono troppe, e vanno avanti da troppo tempo. C’è stato un aumento esponenziale, senza regole, del numero delle cave negli anni Sessanta e Settanta. C’è chi ha iniziato a lavorare con una concessione di un anno e grazie a proroghe e rinvii continua a cavare da 50 anni, altri non hanno mai ripristinato. Nessuno ci dice con dati ufficiali -nonostante le nostre richieste- il numero di cave ripristinate: quante sono in realtà? Cinque su 250?”.

Le attività artistiche e culturali di Anderloni sono molteplici ma ruotano tutte attorno alla storia del territorio e alla vita delle persone che lo abitano. “È la Lessinia, con la sua gente e le sue storie, che ho fatto recitare. È la Lessinia con i suoi paesaggi che ho filmato nei video e descritto dei libri. Noi abbiamo sempre cantato non come esercizio di filologia musicale, ma per raccontare. Quindi tutto quello che ho fatto da un punto di vista artistico non è slegato dalla terra in cui viviamo: non posso raccontare la Lessinia e vederla distruggere”.

Spettacoli teatrali e cori polifonici antidoto contro la perdita di memoria
Le Falìe (falìa in dialetto significa fiocco di neve) lavorano incessantemente con la memoria.

Il loro spettacolo più noto è forse “Gli esulanti dell’8 settembre”: hanno portato in scena la vita di “coloro che, durante e subito dopo la guerra, per costrizione o per scelta, furono sradicati dalla propria terra, dai propri affetti, dalle certezze, dalla quotidianità”, tra fascisti e partigiani, soldati tedeschi occupanti e civili occupati… Insieme ad altri due lavori, La cattolica e l’ardito e La pellegrina racconta la storia di gente della Lessinia tra il 1939 e il 1950. Gli spettacoli sono anche diventati film, con la piazza del paese trasformata in set e gli abitanti in attori e comparse.

Giulia Corradi è la presidente delle Falìe. “Le gente di Velo ormai si è abituata, siamo nati qui e ci hanno visto crescere. Siamo partiti da adolescenti, con lavori teatrali molto semplici. Il teatro allora per noi ragazzi era un qualcosa di diverso da fare e un modo di stare insieme. Questa dimensione non è mai venuta meno: ancora adesso le attività delle Falìe riescono a coinvolgere persone anche molto diverse tra loro, e di più fasce di età. Anche il coro è nato in modo molto semplice, in seguito a un piccolo gruppo di persone che animavano la messa della domenica. La notorietà è arrivata pian piano -spiega Giulia- anche grazie a come Alessandro (Anderloni, ndr) valorizza le capacità e le possibilità di ciascuno. Nessuno di noi è attore o musicista professionista”.

Le Falìe non sono un gruppo ristretto, si allargano e si restringono, i bambini crescono e se ne vanno, le gente un anno partecipa a uno spettacolo, l’anno dopo si ritira e magari quello dopo ritorna. “In quattro o cinque abbiamo deciso di diventare un’associazione culturale, per dare continuità alle nostre attività”. Le parole di Giulia Corradi hanno le radici a Velo, e lei ne è cosapevole. “Non potrei vivere in alcun altro luogo. Sono troppo legata a questa terra, a questi paesaggi, così belli”.

Per maggiorii nfo sull’esperienza: tel. 045.7835566 – 045.7835572, lefalie@lefalie.it

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