Diritti / Attualità
Marco Cavallo è arrivato anche al Cpr strozzato di Palazzo San Gervasio, in Basilicata
Il 6 ottobre la statua equestre simbolo di libertà ha raggiunto il luogo periferico e isolato, dove molti non sanno neanche che cosa sia un Centro di permanenza per il rimpatrio. Un gesto simbolico che rafforza la lotta. “Prendere parte al viaggio ci sembrava un modo per inserirci in un percorso più generale per attirare l’attenzione e sensibilizzare i cittadini al tema”, racconta Francesca Viviani, avvocata e membro dell’Assemblea lucana No Cpr
A Potenza Marco Cavallo è arrivato in un tiepido pomeriggio d’inizio ottobre. Si è tuttavia fermato per affiancare le manifestazioni in difesa della Global Sumud Flotilla e per Gaza. Spostare la manifestazione davanti al Cpr di Palazzo San Gervasio al 6 ottobre, hanno spiegato gli organizzatori, era necessario. D’altronde, denunciare gli abusi e i luoghi di segregazione, e battersi per la libertà di movimento, è lo scopo di questo lungo viaggio intrapreso ormai un mese fa.
La tappa della Basilicata, spiega Rocco Sapienza, tra gli organizzatori, si inserisce in un contesto in cui la lettura delle migrazioni nell’area ha un peso che va oltre il Centro di permanenza per il rimpatrio stesso, in cui sono fondamentali anche i temi del lavoro agricolo. Ovvero, “l’introduzione di un’istituzione che, pur in un contesto così ridotto, genera lavoro e profitto, instaurando un vero e proprio ricatto sul lavoro”. Ma non solo. Anche la scelta dei territori non è casuale: “In determinati contesti certe strutture sono comode alle istituzioni per il silenzio che si genera intorno”. Luoghi lontani dai centri abitati e dai contesti urbani della regione, che quindi danno meno nell’occhio. Fastidio a coloro che decidono delle vite di chi vi è rinchiuso.
Il Cpr di Palazzo San Gervasio è isolato, strozzato in un luogo in cui coloro che arrivano vengono mandati per essere slegati dal tessuto sociale. Lo si è visto con le proteste che hanno caratterizzato le città più grandi, spiega Sapienza: lì, dove le reti solidali sono più grandi e attive, si cerca di distruggere ciò che tiene unito le realtà che dal basso si muovono per battersi per i diritti delle persone più fragili. “Ogni Cpr ha un ruolo. Palazzo San Gervasio, così come Brindisi e Macomer, hanno una vena punitiva”.
Per questo il viaggio di Marco Cavallo è importante: “Ci aiuta a uscire dall’ambito locale e a leggere il sistema della detenzione amministrativa nella sua interezza, non solo nell’ambito nel suo aspetto più manicomiale legato alla somministrazione di psicofarmaci”. Uno sguardo più ampio che tiene conto anche delle mobilitazioni, dei trasferimenti, e delle deportazioni che caratterizzano queste strutture, per avere uno sguardo più ampio che rafforzi la lotta comune. Il cavallo, le bandiere, la vicinanza a Basaglia, i temi di salute mentale e i linguaggi che ruotano attorno all’azione, secondo Sapienza, hanno avuto la forza di mobilitare altre persone e nuove realtà.
Ma le violazioni, testimonia il racconto di Francesca Viviani, avvocata e membro dell’Assemblea lucana No Cpr, sono all’ordine del giorno. “Ho degli assistiti all’interno del Cpr. Un ragazzo, uno dei pochi a non assumere psicofarmaci, mi è sparito pochi giorni fa”, spiega, e solo dopo giorni di ricerche -senza ricevere risposte dalle istituzioni- ha scoperto che era stato rimpatriato in Gambia. Oltre al discorso della somministrazione abusante di psicofarmaci, spiega Viviani, c’è “il discorso della reclusione e della sistematica violazione dei diritti delle persone trattenute”. A partire dal diritto della salute, e a cascata il diritto all’assistenza e alla socialità. Un aspetto, quest’ultimo, che continua a essere volutamente ignorato dalla Cooperativa Officine sociali che, nonostante le lacune della gestione già denunciate da Altreconomia, continua a vincere l’appalto con una voce di spesa per la “socialità” che però non esiste davvero. Tempo che, con l’aumento delle rivolte, viene ridotto all’osso. “A Potenza abbiamo un grave problema di somministrazione di psicofarmaci senza diagnosi psichiatrica, né acquisizione delle cartelle cliniche delle persone trattenute”, spiega Viviani.
Nel 2024 è morto il giovane Oussama Darkaoui, originario del Marocco, con una pesante somministrazione di psicofarmaci in corpo. Tuttavia, molte delle dinamiche emerse a carico della precedente gestione continuano a ripetersi, senza migliorie. Lo scorso 9 gennaio, presso il Tribunale di Potenza, si è aperto il maxi-processo sul Cpr di Palazzo San Gervasio che vede 27 imputati per diversi capi d’imputazione, che vanno da violenza privata all’abuso della posizione medica. Un processo ancora lungo, che ha ammesso le associazioni Asgi, Le Carbet, Spazi circolari e Cild che si sono costituite parti civili in quanto enti esponenziali dei diritti dei migranti. Ma il problema degli psicofarmaci si accompagna ad altre forme di contenzione. “Pratiche che per noi si configurano a tutti gli effetti come reato di tortura, anche se il giudice delle indagini preliminari ha derubricato l’accusa a semplice violenza privata”, continua Viviani.
E in un luogo così periferico e isolato come Palazzo San Gervasio, dove molti non sanno neanche che cosa sia un Cpr, Marco Cavallo è un gesto simbolico che rafforza la lotta. “Prendere parte al viaggio ci sembrava un modo per inserirci in un percorso più generale per attirare l’attenzione e sensibilizzare i cittadini al tema”, conclude Viviani. Per animare i vari presidi organizzati per la sfilata del cavallo, accompagnato da musiche e canti, sono state realizzate altre bandiere con scampoli di tessuti, striscioni e cartelli. Nel frattempo è stata avviata una raccolta di beni di prima necessità per i reclusi all’interno del Cpr: scarpe, pantaloni, magliette, maglioni, biancheria intima, fino al caffè solubile, alle carte da gioco e libri in più lingue, sono stati raccolti per essere consegnati. Un gesto semplice, di vicinanza, nel tentativo di rendere più umana la quotidianità di persone a cui è stata tolta anche la dignità. Così da renderli ancora più inermi e impotenti sotto il pugno dello Stato che cerca di schiacciarli, ed eliminarli. Per sempre.
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