Diritti / Attualità
Marco Cavallo arriva a Brindisi per accendere la luce su uno dei primi Cpr aperti in Italia
Il Centro di permanenza per il rimpatrio di Restinco include al suo interno addirittura una struttura di presunta accoglienza. Un modo cinico per mostrare ai richiedenti asilo il possibile esito del loro percorso. Il viaggio della statua equestre simbolo della lotta per la salute mentale denuncia lo smantellamento delle politiche pubbliche in materia e le condizioni di trattenimento nella struttura rimasta per troppo tempo nell’ombra
Cercando online il Cpr di Brindisi si nota un puntino in mezzo alle campagne: un’anonima struttura che sta nei pressi della strada provinciale che collega il capoluogo a San Vito dei Normanni, lontano dal centro e dalla costa.
Brindisi è stato tra i primi centri di detenzione per migranti in via di rimpatrio a essere aperto sul territorio italiano. L’arrivo di Marco Cavallo, spiega Gianluca Nigro del Comitato promotore cittadino, accende i riflettori su uno spazio che “in qualche modo, è rimasto per troppo tempo nell’ombra. Oggi una discussione su questi luoghi comincia ad avere una dimensione più ampia e più larga”. E questa riflessione, sottolinea Nigro, mette in luce come oltre alle denunce di abusi, contenzioni e uso eccessivo di psicofarmaci, comuni anche ad altre strutture, il Cpr di Brindisi includa al suo interno un Centro di prima accoglienza per richiedenti asilo (Cara). In questo modo, “il luogo della detenzione diventa anche quello della presunta accoglienza. Questo elemento viene messo in risalto troppo poco: chi vive nella parte del Cara e vede continuamente le condizioni di chi sta di fianco in qualche modo ne è condizionato. Questo è un modo di comunicare quale potrebbe essere il percorso migratorio per chi entra in questo Paese -continua Nigro-. È anche un elemento di alienazione per coloro che si trovano nella parte, come dire, della protezione, nella struttura di soggiorno”. Una doppia funzione presente solo a Gradisca, ricorda ancora (si veda sul punto il progetto “Chiusi dentro. Dall’alto” realizzato da Altreconomia con RiVolti ai Balcani e in collaborazione con PlaceMarks lo scorso settembre).

“Credo che la particolarità del viaggio sia nell’intreccio e nella presa in carico da parte del mondo della salute mentale di una questione che è rimasta per troppi anni relegata agli addetti ai lavori del mondo dell’immigrazione”. Un elemento che evidenzia come la questione della salute mentale e quella dell’uso di psicofarmaci all’interno di questi luoghi siano strettamente legate alla loro stessa natura. “Le persone che entrano nei Cpr, infatti, nella maggior parte dei casi non facevano uso di psicofarmaci prima del loro ingresso, ma iniziano a farne un uso smodato nel corso della permanenza. Ciò ci dice tantissimo rispetto al senso di queste strutture: non rispondono a nessun bisogno reale, nemmeno quello più repressivo che dovrebbero perseguire, come l’espulsione”, conclude Nigro, perché nemmeno quest’obiettivo riescono a realizzare.
Ma una riflessione va posta anche rispetto al ruolo degli enti privati che si occupano della gestione di queste strutture, che in questo caso coincide con la privazione della libertà personale di coloro che vi sono rinchiusi. Un modello che, in parte, potrebbe promuovere gradualmente un’idea di carcerazione su modello statunitense. Ma l’arrivo del Cavallo in Puglia, spiega Carlo Minervini, psichiatra e presidente dell’Associazione 180 amici Puglia Aps, è fondamentale, poiché nella Regione si è progressivamente tornati indietro sul tema della salute mentale: si sono smembrati i servizi, tagliati i budget, si sono svuotati lentamente i Centri di salute mentale in favore del privato sociale. L’idea stessa di salute mentale come bene comune, come idea stessa di approccio all’individuo, è stata smantellata. Una situazione che tuttavia perversa nella maggior parte dei servizi italiani, azzoppati da anni di riforme e riduzione di fondi e personale.
Poche esperienze rimangono ancora in piedi, come quella di Latiano, promossa proprio da Minervini, un progetto di salute mentale di comunità che, ispirandosi a Basaglia, dimostra come sia possibile emanciparsi e tornare cittadini attivi. “È un momento difficile che dura da dieci anni, e spero che l’arrivo di Marco Cavallo accenda un faro anche su quest’esperienza del Sud” che va avanti nonostante le complessità. “La nostra è un’esperienza da preservare, ma che spesso i politici usano come fiore all’occhiello senza poi impegnarsi davvero per garantirne una stabilità”, spiega Minervini.
Tuttavia, gli interessi in gioco sono in netto contrasto con il sistema psichiatrico che si è andato consolidando dagli anni 2000 in poi. “Io sono uno di quelli che cerca di far sentire la propria voce in questo senso. In Puglia ci sono due Cpr, e perciò siamo fortemente coinvolti nel movimento No Cpr, oltre che in 180 Bene comune, per difendere e valorizzare le buone pratiche. Dove esistono ancora, bisogna tirarle fuori, illuminarle e farle vivere come meritano”. La presenza di Marco Cavallo, oltre a dar voce ai soprusi e agli abusi che vengono costantemente perpetrati dentro la struttura di Restinco, ha anche fatto da collante tra le varie realtà locali e associazioni cittadine attive sul territorio. “È importante, per chi si occupa di salute mentale, far parte di un circuito più ampio”, respirare insieme. Muoversi in maniera coordinata per promuovere un’idea di salute che vada oltre il singolo, ma che abbracci la comunità, anche quella che viene tenuta lontana dalle reti sociali.
“Insomma, uno sostiene l’altro e viceversa. Spero davvero che questo momento rappresenti l’inizio di una rete capace di continuare a sostenersi reciprocamente”. E ad accogliere il cavallo davanti al Cpr di Restinco è stata quella rete fatta da attivisti, sindacalisti, rappresentanti politici e realtà del territorio che condividono l’idea che i Cpr siano un fallimento politico e sociale che, nonostante le numerose violazioni dei diritti umani, continuano a operare aggirando di fatto le leggi in vigore. Analogamente a quanto avvenuto con i manicomi, la campagna del cavallo promuove la chiusura dei Cpr, ricordano gli organizzatori, sintetizzando le ragioni della loro inefficacia rispetto agli obiettivi dichiarati e nella violenza che li contraddistingue. “Un viaggio”, ricorda Minervini, “che si conclude il 10 ottobre, Giornata mondiale della salute mentale”. E viene da chiedersi cosa ne resti se non si continua a promuovere la consapevolezza dell’importanza della presa in carico e della cura, per limare lo stigma che ancora la circonda e garantire a tutti l’accesso a trattamenti adeguati. Con l’idea e l’obiettivo di costruire al tempo stesso luoghi di lavoro e comunità più inclusivi, nel riconoscimento della salute mentale come diritto umano fondamentale.
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