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Mafie e regime di intimidazione

L’elenco dei più recenti attacchi della criminalità organizzata contro chi promuove legalità fornisce tre insegnamenti, utili a guidare l’azione di tutti coloro che lavorano per il cambiamento

Tratto da Altreconomia 135 — Febbraio 2012

I botti le mafie non li fanno solo a Capodanno. Ce lo ricordano due episodi avvenuti in Calabria. Il primo, la sera del 25 dicembre 2011, a Lamezia Terme. Una bomba è scoppiata davanti all’ingresso di un centro per minori stranieri non accompagnati aperto dalla comunità Progetto Sud (www.c-progettosud.it) guidata da don Giacomo Panizza, il sacerdote bresciano da anni impegnato contro la ‘ndrangheta che gli italiani hanno conosciuto in tv grazie a “Vieni via con me”. Il centro è situato in un bene confiscato alla ‘ndrina dei Torcasio, ed è sede di Banca Etica per la Calabria. Rappresenta, cioè, un segno tangibile di riscatto.
Un altro ordigno è stato fatto esplodere a Caulonia (Rc) qualche giorno dopo. Il 2 gennaio 2012 la violenza mafiosa ha colpito un locale del Consorzio sociale Goel (www.goel.coop), destinato a diventare un ristorante multietnico dove formare e inserire al lavoro un gruppo di rifugiati politici ospiti di un progetto di accoglienza. Goel è un consorzio sociale nato nel 2003, frutto di un percorso decennale della Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Locri-Gerace: agisce per “il cambiamento socio-economico della Locride e della Calabria e riconosce nell’impresa sociale il principale strumento di produzione di questo cambiamento” come spiega il sito.
Progetto Sud e Goel non sono nuovi, purtroppo, ad intimidazioni di tipo mafioso, e questo è il segnale che le mafie non temono soltanto le forze dell’ordine e la magistratura ma sono sempre più insofferenti verso quelle persone e quelle realtà che operano per un cambiamento culturale, politico e sociale dei territori.
I mafiosi ostacolano in tutti i modi le azioni che vengono messe in atto a difesa e salvaguardia del bene comune e dell’eguaglianza sociale.

Fare onestamente politica in alcuni territori d’Italia comporta dei rischi impensabili: ne abbiamo scritto su Ae 134, e lo conferma il rapporto sulla sicurezza degli amministratori locali redatto da Legautonomie Calabria: nella regione, nel 2011, si sono registrati 103 atti di intimidazione e minaccia, con un aumento del 151% rispetto al 2000. Un dato impressionante, che non ha conosciuto sosta nemmeno con l’inizio del nuovo anno. Nei primi dieci giorni di gennaio, infatti, sempre in Calabria, abbiamo registrate il tentativo di incendiare il municipio di Isola Capo Rizzuto (Kr) e una serie di atti intimidatori nei confronti del sindaco di San Giovanni in Fiore (Cs) e di alcuni amministratori locali di Rosarno (Rc).
In Campania, il 9 gennaio, un giovane esponente del Partito democratico che nel 2009 aveva denunciato i brogli elettorali nel comune di Gragnano (Na), portando all’imputazione del presidente del Consiglio comunale e all’attivazione di un commissione d’accesso prefettizia che dovrà decretare se il Comune va sciolto o meno per infiltrazione mafiosa, ha visto andare in fumo la sua auto. Nella stessa giornata e sempre a Gragnano, il capogruppo in municipio del Pd ha denunciato ai carabinieri un tentativo di aggressione. Il giorno prima, a Ercolano (Na), un consiglio comunale è stato dedicato alla devastazione del negozio di proprietà di un consigliere del Partito della libertà.
Auto incendiate, danni alle proprietà private, aggressioni: atti tipicamente mafiosi rivolti nei confronti di uomini e donne che si battono per riportare legalità e trasparenza dentro le istituzioni, che hanno deciso di impegnarsi in politica perché “stanchi di vedere il loro popolo con la testa piegata”, come ci hanno riferito alcuni di loro. I mafiosi, al contrario, hanno bisogno di piegare la politica e la popolazione al perseguimento dei loro affari e della loro impunità.
Da queste storie possiamo trarre tre insegnamenti. Il primo è che confiscare i beni e utilizzarli per fini sociali è un elemento che infastidisce molto le mafie. Per questo, esso va perseguito con forza. L’impoverimento materiale, infatti, coincide con la perdita di quel potere di intimidazione e di violenza su cui le mafie fondano il loro agire e il loro esistere. L’uso sociale dà autorevolezza e credibilità alle istituzioni, fiducia alla popolazione, dimostra che le organizzazioni criminali possono essere sconfitte. Secondo insegnamento: la lotta alle mafie è lotta per la libertà e per la salvaguardia della nostra democrazia. Ed è una battaglia ancora lunga. Non basta arrestare latitanti: bisogna cambiare mentalità, praticare comportamenti solidali, sobri, etici e responsabili.
Terzo insegnamento: non può esistere mafia senza rapporti con la politica, ma deve esistere una politica senza rapporti con le mafie. Dobbiamo avere chiaro questo principio e sostenere coloro i quali all’interno dei partiti e delle istituzioni si impegnano per rendere vivi i principi e i valori della nostra Costituzione. —

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