Cultura e scienza / Intervista
Maaza Mengiste. La memoria è raccogliere ossa
Otto parole per altrettante riflessioni sui romanzi della scrittrice etiope, ma anche sul nostro tempo, figlio di un passato coloniale con cui l’Italia fatica a fare i conti. Che porta tuttavia con in sé i germi di un futuro di speranza
Ascoltare le parole della scrittrice Maaza Mengiste è travolgente. Costringe a un viaggio che continuamente ci ricorda che ben prima di individui siamo collettività, che il nostro tempo è figlio del passato ma ha già in sé i germi del futuro e che la “memoria è raccogliere ossa”. Così s’intitola l’incontro che Mengiste ha tenuto a Torino lo scorso 29 marzo durante la rassegna “Biennale democrazia” restituendo quello che è stato il suo faticoso cammino nel passato, tra archivi e ricordi personali apparentemente dimenticati.
Gli occhi della giovanissima Hirut, protagonista del libro d’esordio “Il re Ombra” (Einaudi, 2021), raccontano quello che è stata la guerra italiana d’Etiopia del 1935 e del 1936; quelli di Hailou in “Sotto lo sguardo del Leone” (Einaudi, 2025) considerato tra i dieci libri africani più importanti del nuovo millennio- descrivono invece gli orrori del 1974, l’anno della carestia e della caduta dell’allora imperatore Hailé Selassié. Abbiamo incontrato la scrittrice a Torino, prima dell’evento, e le abbiamo chiesto una riflessione su alcune parole che sono centrali nei suoi romanzi.
Corpi feriti
MM In entrambi i libri ho scritto di guerra e rivoluzione e quindi inevitabilmente di corpo, la natura fisica del conflitto è decisiva per me. È la ragione per cui ho scelto che uno dei protagonisti de “Sotto lo sguardo del leone”, Hailou, fosse un medico: volevo che raccontasse anche anatomicamente ciò che lo Stato o un’ideologia possono fare a un corpo. Ma non solo. Se gli oppressi prendono coscienza di come i loro corpi siano decisivi nel mantenere liberi gli spiriti, fallisce l’obiettivo dei regimi di fiaccare la resistenza attraverso la violenza e la limitazione della libertà. Mentre scrivevo il libro “Il re Ombra” sono stata a Torino a visitare il museo della Resistenza: per me è stata una lezione incredibile sui molti e diversi modi attraverso cui le persone comuni non si sono piegate al fascismo. I corpi feriti sono quindi anche simbolo di uno spirito che si sta animando per lottare.
Decolonizzazione
MM La nostra epoca viene definita post-coloniale ma non sono d’accordo. Basta guardare quello che sta succedendo a Gaza per capire che il colonialismo non è mai finito, se è possibile assistere allo sterminio di un popolo senza che nessuno faccia nulla ma, anzi, pensando a come poter sfruttare la terra una volta che sarà vuota. Ci eravamo illusi che il colonialismo avesse definitivamente cambiato forma, tramite il “controllo” indiretto dell’economia degli impropriamente detti Paesi in via di sviluppo attraverso gli aiuti umanitari, ma oggi in alcuni casi rivediamo quella forma diretta di un’entità straniera che entra in un territorio e se ne appropria.
Dominazione maschile
MM La riflessione più immediata potrebbe essere sulle donne che hanno lottato contro i sistemi patriarcali per ottenere il diritto all’istruzione, al voto, alla parità salariale. Credo però che serva ampliare il significato del termine “dominio maschile”: molte donne sono infatti soldati semplici del patriarcato e per alcune purtroppo è molto facile sostenere quei codici patriarcali che impongono leggi oppressive su intere comunità. Il fatto di essere donna non significa di per sé che lotterai per le altre, per chi si trova in posizioni inferiori alle tue. Ne “Il re Ombra” ho voluto riflettere su questo aspetto attraverso il personaggio di Aster che vuole combattere contro gli italiani, gli occupanti, fondando un suo esercito. Vuole essere in prima linea con gli uomini e non vuole cambiare quel sistema che le toglierebbe la nobiltà mettendola in una posizione più equa rispetto alla sua cameriera o alla sua cuoca, a coloro che sono “meno di lei”. Credo che qui in Italia, come negli Stati Uniti, il potere maschile sia qualcosa che non sempre le donne vogliono combattere.
Italia ed Europa
MM Durante l’invasione dell’Etiopia molti soldati italiani provenivano dal Sud, erano spesso poco istruiti e arrivavano da zone molto povere. Erano loro a stare in trincea durante la battaglia mentre i generali, i comandanti e gli ufficiali provenivano dal Nord. Così i soldati, una volta tornati a casa, hanno in parte portato con loro quella terribile esperienza di occupazione e hanno rinsaldato quel legame storico che c’è tra il continente africano e il vostro Paese: non dimentichiamoci che l’Italia è stata la terra in cui le persone africane hanno fatto il loro primo ingresso in Europa.

Via Addis Abeba
MM Ci sono fili dell’epoca coloniale che fanno ancora parte della vita quotidiana degli italiani. Via Addis Abeba è il nome di una strada che dovrebbe far identificare con i vincitori, con il potere, forse con il colonialismo. Ma la storia è stata rimossa e così è solo un nome vuoto. E se si cancella una storia, si elimina anche un vocabolario che permette di parlare delle persone coinvolte con un certo livello di umanità. Spesso quando viaggio in Italia mi fermo davanti alle insegne come viale Somalia, via Eritrea e piazza Massaua e mi chiedo se una maggior consapevolezza da parte di chi attraversa quelle strade potrebbe incidere sul rapporto che questi hanno con le persone che da quei Paesi provengono. L’Italia ha avuto grande difficoltà ad affrontare il proprio passato coloniale e a creare una memoria e un riconoscimento collettivo di quanto accaduto. Le parole che i fascisti hanno portato con sé, una volta rientrati dalla campagna d’Africa, hanno occupato tutta la narrazione: molti italiani pensano, ad esempio, che la storia dell’Etiopia coincida con il colonialismo. Camminare per via Addis Abeba con maggior consapevolezza allargherebbe la prospettiva anche sulla storia millenaria del Paese in cui sono nata. Tutto questo, poi, incide sul linguaggio che è stato utilizzato per parlare delle persone che arrivano in Italia dal Mediterraneo.
Narrazioni
MM Italia e Stati Uniti oggi condividono l’avere un governo di estrema destra. Quello che manca all’Italia è una “cultura della parola”, un vocabolario adeguato a parlare di razzismo che penso sia dovuto anche al fatto che in America la voce di schiavizzati e razzializzati ha trovato più spazio, così come il movimento per i diritti civili ha modificato profondamente anche il linguaggio. Come si parla oggi in Europa delle persone africane? Come invasori, punto. Come se intellettuali, artisti, commercianti provenienti da quello stesso continente non fossero parte integrante della storia europea. La “cultura della parola” ovviamente non basta, lo dimostrano gli Stati Uniti, però è un primo passo.
Violenza
MM Ci illudiamo che la violenza resti “chiusa” nei confini di uno Stato. A Gaza, in Libano o nelle mura dei centri di detenzione di El Salvador. Non è così, non lo è mai stato. La violenza perpetrata dagli italiani in Etiopia è poi tornata negli anni successivi, con ancora più forza, nel vostro Paese. Oggi siamo intrappolati in una spirale di violenza anche se nel nostro quartiere non cadono bombe.
“Ci illudiamo che la violenza resti ‘chiusa’ nei confini di uno Stato. A Gaza, in Libano o nelle mura dei centri di detenzione di El Salvador. Non è così, non lo è mai stato”
Nuove generazioni
MM Ho grandi speranze. Qualche settimana fa durante una lezione all’università, ho chiesto ai miei studenti, giovani scrittori e scrittrici, che cosa pensassero del fatto che oggi ci sono parole che vengono cancellate dal nostro vocabolario, come diversità, pregiudizio, vittima, trauma, molestie sessuali. Hanno risposto che eliminare un termine non annulla il concetto che questo esprime. Ed è vero. Al tempo stesso mi ha fatto pensare a chi nasce oggi: per loro invece il fatto che una parola sparisca significa perdere tutto, perché non hanno vissuto il significato di quei concetti. Mi è tornato alla mente il museo della Resistenza: essere in quel luogo mi ha insegnato che la memoria di una rivolta rimane impressa nel mondo. Le vite di chi ha resistito ci insegnano ancora una volta quello che dobbiamo fare oggi: instillare la memoria, combattere per la memoria.
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