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Approfondimento

L’ultimo tabù

L’umanità ha raggiunto il traguardo di 7 miliardi di individui. Il limite ecologicamente sostenibile per il Pianeta è stato superato. È necessario parlare di “decrescita”?

Tratto da Altreconomia 133 — Dicembre 2011

A fine ottobre la popolazione mondiale ha raggiunto il traguardo di 7 miliardi. Eravamo 6 miliardi 12 anni fa, 3 nel 1960. Nel 1800 eravamo un miliardo. La crescita esponenziale della popolazione è indice della straordinaria capacità dell’uomo di abbattere la mortalità, grazie alla tecnologia e all’uso delle risorse. Purtroppo, 7 miliardi di esseri umani sul pianeta sono troppi, e la popolazione mondiale è insostenibile in un pianeta finito come la Terra. L’argomento è tabù: come sostenere che dovremmo fare tutti, meno figli? Come affrontare l’inevitabile invecchiamento della popolazione che ne conseguirebbe?
Luca Pardi, chimico, è ricercatore all’Istituto per i processi chimico fisici del Cnr ed esperto di risonanza magnetica elettronica ad alto campo. È presidente di Aspo-Italia (l’associazione che si occupa dello studio del picco di produzione del petrolio, aspoitalia.it) e segretario di Rientrodolce, associazione per il rientro della popolazione entro limiti socialmente ed ecologicamente sostenibili (www.rientrodolce.org).

Professor Pardi, in Italia il tema della sovrappopolazione mondiale non è affrontato.
È un argomento che nemmeno gli ecologisti affrontano volentieri. Dal punto di vista economico, di fronte al problema della povertà, della disponibilità di risorse, dei consumi e dell’ambiente, gli economisti, anche i più illuminati, ragionano sempre in termini redistributivi. Dal punto di vista sociale, dire che al mondo si devono fare meno figli è visto come un condizionamento, una forma di “paternalismo occidentale” (“voi poveri vi riproducete troppo”). È un problema -reale- di comunicazione.

Come siamo arrivati a 7 miliardi?
Fino a che l’uomo ha potuto contare solo sull’energia solare, la popolazioni mondiale è cresciuta a tassi molto limitati, poco sopra lo “zero virgola” per cento l’anno. Ai tempi di Cristo, c’erano qualche centinaia di milioni di esseri umani.
Con maggiore precisione sappiamo che siamo arrivati al primo miliardo nel 1800. Già questo è -dal punto di vista zoologico- un numero eccezionale per un primate. Dopo, la cavalcata è stata rapida.
Oggi la crescita è costante: ogni anno 80 milioni di persone in più. La natalità è sempre piuttosto alta, la mortalità è in calo.

Che legame c’è tra popolazione mondiale e fonti fossili, petrolio innanzitutto?
Esiste una correlazione, ma non necessariamente causale. Sappiamo gli effetti che la disponibilità di tanta energia ha avuto in termini di cibo prodotto. E che per ogni caloria di cibo prodotta, ne sono state consumate 9 in petrolio. Questo è il dato essenziale. Abbiamo investito l’energia fossile che avevamo a disposizione in popolazione, non in prosperità. Le fonti fossili hanno, dal punto di vista ecologico, alzato la “capacità di carico” del pianeta, ovvero la popolazione massima che un ecosistema può sostenere a date condizioni. Ma se l’energia inizia a scarseggiare, il carico non è più sostenibile.

Ci sono Stati in cui la crescita è ancora molto alta, altri -come l’Italia-, dove il saldo è pari a zero, se non negativo.
L’unico Stato che ha applicato un controllo demografico è stata la Cina. Il paradosso, è che finiremo per essere grati a un sistema impositivo e brutale, perché ha evitato il collasso a livello globale. Oggi in Cina però si registrano gravi problemi, sia di invecchiamento, sia di sbilancio di genere. Molti maschi, poche donne.
Al contrario l’India, molto prolifico, si candida ad essere al primo posto in pochi anni. Per gli economisti è una grande ricchezza, ma non si rendono conto che il  subcontinente non può sostenere uno sviluppo infinito. Anche la Nigeria è in rapida crescita, mentre l’America latina si sta stabilizzando. I Paesi del Nord hanno superato la cosiddetta “transizione demografica”. La possiamo definire così: nella storia di una nazione c’è una fase iniziale in cui siamo tutti poveri, e mortalità e natalità sono alte. Poi il benessere cresce, decresce la mortalità e la popolazione cresce. Poi cala la natalità e si arriva alla stabilizzazione. Ecco la transizione demografica. Purtroppo questa non è una legge naturale e non è detto che dappertutto possa andare così, specie se si pensa allo sfruttamento delle risorse delle altre parti del mondo. Nel caso dell’economie sviluppate, sappiamo che la crescita del benessere è stata di fatto una rapina nei confronti dei più poveri. Ancora una volta: la transizione demografica non è legge assoluta. È vero però che alcuni aspetti dello sviluppo culturale delle società portano alla riduzione della natalità. Ecco perché, ad esempio, l’empowerment delle donne, la loro possibilità di accedere all’educazione, sono così strategiche. Mettere le donne di tutto il mondo nella condizione di decidere della loro fertilità -come avviene nei Paesi ricchi- è una delle strategie proposte ad esempio dal WorldWatch Institute, che a questo aggiunge la necessità di ridurre i consumi a livello globale e di sprecare meno cibo. Non possiamo confidare nella transizione demografica legata alla crescita economica. Dobbiamo metterci in testa che il Nord ricco dovrà ridurre i propri consumi a favore dell’aumento di quelli dei Sud povero.

Oggi siamo 7 miliardi: qual è la soglia critica, oltre la quale non si torna più indietro?
Non possiamo dire qual è la popolazione massima che il pianeta può sostenere. Quel numero, però, l’abbiamo superato. Gli esseri umani oggi consumano stock di risorse alimentari senza dare il tempo di rigenerarsi. Sono esempi le zone di pesca in esaurimento, il consumo del terreno agricolo, lo stesso avvelenamento delle acque. Secondo i dati del Footprint Network, che calcola l’impronta ecologica dell’uomo, dovremmo tornare al livello del 1975: tra i 3 e i 4 miliardi di persone. Per molti è una stima ottimistica, e il numero reale è più basso, se si considera che le risorse disponibili -soprattutto quelle fossili- sono molto inferiori rispetto a 40 anni fa.

Sappiamo che non basta ridurre i consumi individuali, ma nessuno sembra voler affrontare il tema del controllo della popolazione.
Tutti lo considerano impraticabile. Urta nervi scoperti. Ma anche l’idea di ridurre i consumi non la si affronta con questo grande slancio. Si pensi alle biomasse: sul totale dei vertebrati sulla Terra, gli animali domestici destinati all’utilizo umano (bovini, ovini, suini) sono oltre il 50%. Il 25% è l’uomo, il 23% sono vertebrati marini e solo il 2% vertebrati terresti.

Dovremmo auspicare quindi crescita zero della popolazion? O addirittura una diminuzione?
Si deve auspicare decrescita. L’alternativa è quella che altre specie hanno sperimentato: il declino. Nel 2100 il consumo di combustibili fossili dovrà essere pari a quello dell’inizio del ‘900. Solo che allora eravamo solo 2 miliardi. E poiché i nostri consumi dipendono dalla disponibilità di energia, il problema sarà grave.  Certamente due secoli di sviluppo tecnologico ci aiuteranno, ma non basta. La fine del fossile va gestita con criteri difensivi. Noi invece siamo cresciuti con il mito della frontiera, dell’espansione.

Come controllare le nascite?
Qualche suggerimento ci arriva dalla striscia di Gaza, una delle zone più catastrofiche del mondo. Lì le donne sono le migliori alleate per il controllo della popolazione. Ma serve un intervento di enpowerment, modificare gli atteggiamenti culturali, di maschilismo. Non sono ingerenze  intollerabili, come qualcuno sostiene. Il dominio maschile è quasi insensato, soprattutto in Africa dove solo le donne lavorano.

Una popolazione che decresce invecchia.
Questo è solo un problema per gli economisti. Basterebbe pensare a un’altra economia, in cui i fattori contabilizzati non siano il Pil o gli scambi commerciali, ma il benessere effettivo della popolazione, quindi anche degli anziani, che non sono per forza un problema. L’invecchiamento è un “transiente” storico: con politiche di “rientro dolce” (cala la natalità, non aumenta la mortalità, che rimane bassa) dopo un certo periodo, anche l’età si stabilizza con una distribuzione normale, in cui ci sono giovani e vecchi. Ci sarà un problema di picco di vecchi, che andrà governato, ma sarà temporaneo. Si può anche aumentare l’età del pensionamento. Qual è il problema? Qui i vecchi che non sono malati fanno tutti qualcosa, compreso il volontariato (che non rientra nel Pil). L’invecchiamento è una minaccia che ci buttano addosso per spingerci a fare più figli.
La verità è che il tabù della popolazione e dell’invecchiamento è quasi ancestrale, profondamente biologico. Gli animali -l’uomo è tra questi- sono fatti per riprodursi. Solo che noi, a differenza di altre specie, abbiamo occupato ogni nicchia ecologica e perso il controllo. Siamo come quei conigli della collina di mia mamma: alla fine erano così tanti che il cibo ha cominciato a scarseggiare, si sono indeboliti e ammalati.
E si sono estinti. —

 

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