Diritti / Intervista
Luca Casarini. La cospirazione del bene

Uno che cerca ed è in continuo movimento. Si descrive così Luca Casarini, anima dei movimenti sociali e tra i fondatori di Mediterranea saving humans. Il suo libro edito da Feltrinelli ne segue il percorso fatto di discontinuità, umanità e rotture interiori. Quella del Mediterraneo è la più deflagrante. Perché un altro mondo possibile passa per un altro mare possibile
All’inizio dell’estate del 2018 è un incubo notturno a stravolgere la vita di Luca Casarini. Nico e Zeno, i suoi figli, lo fissano negli occhi mentre stanno annegando e non riescono ad afferrare le sue mani. Un’onda di colpa, dolore e ira lo colpisce. E il brusco risveglio non allevia questa sensazione, perché nella stanza accanto i ragazzi dormono ma a differenza loro in migliaia, nel Mediterraneo, muoiono. Alle 7 del mattino Casarini chiama così Giuseppe Caccia e Alessandro Metz, gli amici di una vita che con lui hanno indossato le Tute bianche agli inizi del Duemila. “Dobbiamo rimettere insieme la banda”, dice.
Così accade. Pochi mesi dopo quel giorno, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 2018, la Mare Jonio salpa dal porto di Augusta per la sua prima missione di soccorso nel Mediterraneo. Che tempi sono quelli in cui per fare il bene -salvare la vita di chi la sta perdendo- bisogna agire di nascosto? È questa la domanda a cui il libro “La cospirazione del bene” (Feltrinelli, 2024) prova a rispondere ripercorrendo la storia della Mediterranea saving humans, dalle sue origini a oggi, attraverso la testimonianza di una delle sue anime, Casarini, che si racconta a Gianfranco Bettin. L’autore lo presenterà al festival “Discorsi Mediterranei” che si svolgerà a Specchia, in provincia di Lecce, il 28 giugno. Lo abbiamo intervistato.
Chi è oggi Luca Casarini e perché fa tutto questo?
LC Rispondo con il titolo di un libro di Toni Negri che sto leggendo che s’intitola “Quanto a me continuo a cercare”. Ecco chi sono: uno che cerca ed è in continuo movimento. Mi porto dietro tutto, le scelte giuste e sbagliate, successi e insuccessi. Il mio è certamente un percorso fatto di discontinuità e sicuramente il Mediterraneo è l’esperienza che ha prodotto la rottura interiore più grande.
Dal libro emerge in modo molto potente come la storia di Mediterranea saving humans travalichi la biografia dei singoli.
LC Sì. È una comunità di persone che si compattano attorno a una pratica da cui sgorgano pensieri, visioni, analisi e produzioni di senso. Il “fare” è centrale: quando nel 2018 ci riunivamo nel retro di Moltivolti a Palermo, crocevia di culture e storie, ci siamo chiesti tante volte il “perché” volevamo scendere in mare. Ci sembrava che le parole che spendevamo sulle persone in movimento sembravano non avere alcun valore, così come i dati con cui davamo conto del fatto che l’invasione non esisteva. Andando nel Mediterraneo sapevamo che quelle parole avrebbero assunto un altro peso, un significato diverso. Prima la prassi poi la teoria: questo era ed è il nostro dna. Anche perché resta la consapevolezza che si impara solo sporcandosi le mani.
Fanno più male gli spari della sedicente guardia costiera libica o il muro di gomma delle autorità italiane che mette a rischio la vita dell’equipaggio e dei naufraghi lasciandovi in balia delle onde?
LC Senza dubbio l’atteggiamento delle autorità italiane. Gli spari delle milizie li metti in conto, perché quello è il loro linguaggio e non ti aspetti niente di diverso. La commissione di crimini istituzionalizzata e strutturale da parte del tuo Paese invece no. Mi addolora molto. Noi vediamo su un vetrino qualcosa di molto piccolo -un “fazzoletto” del Mediterraneo- ma se alziamo lo sguardo dal microscopio scopriamo che tutto il mondo è così. Le democrazie per come le abbiamo conosciute in questo secolo, durato pochissimo, si stanno sfaldando e i modelli autoritari piano piano riscrivono violentemente i principi sacri. Il potere costituito è pronto a cancellare la parte migliore di ciò che è stata la nostra Repubblica, di ciò che siamo stati noi, per enfatizzare quella peggiore: l’uso dei servizi segreti per spiare, i campi di deportazione, la profilazione razziale sdoganata. Ce l’abbiamo davanti agli occhi ma non riusciamo a vederlo.
Perché?
LC Per tante ragioni. Sicuramente c’è stata una mutazione antropologica impressionante. Se all’epoca dell’Iraq però eravamo noi nelle piazze che urlavamo che le armi di distruzione di massa non esistevano oggi invece rispetto all’Iran lo dicono i servizi segreti americani. Però non cambia nulla perché semplicemente non interessa a Donald Trump che ci siano o meno, così come è normale arrestare il candidato sindaco di New York o schierare la guarda nazionale a Los Angeles. Le istituzioni, in altri termini, si chiudono diventando sempre più inaccessibili e insensibili a quello che pensa e chiede il popolo. Non hanno più un ruolo di mediazione dei conflitti ma di silenziamento autoritario. E i sintomi di questo scivolamento riguardano anche il nostro Paese, anche solo dal fatto che il Parlamento è stato trasformato in passacarte -pensiamo al “Decreto sicurezza”- e l’esecutivo insofferente al potere giudiziario che deve essere addomesticato.

A fine maggio il Gip del tribunale di Ragusa l’ha rinviata a giudizio con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con l’aggravante di averne tratto profitto. Il caso riguarda il trasbordo avvenuto nel settembre 2020 dalla nave cargo danese Etienne Maersk alla Mare Jonio, la cui società armatrice ricevette due mesi dopo 125mila euro dall’omologa danese. Preoccupato?
LC Da un lato continuo a pensare sia una follia spendere così tanti soldi per spiarci, contrattualizzare agenzie, farci pedinare. Non mi capacito del perché facciamo così paura. Allo stesso tempo, però, mi dico che se è così allora stiamo facendo bene. Io non la affronto come una tragedia ma come qualcosa di previsto nella mia ribellione contro il potere. Da generazioni succede questa cosa e io ho una fortuna in più rispetto al passato: lo Stato di diritto oggi ci permette di rovesciare il processo di Ragusa. Trasformarlo in un’accusa a quella omissione di soccorso che ha lasciato in mezzo al mare 27 per 38 giorni. Quello è il vero reato.
Perché ha scelto per il titolo la parola “cospirare”?
LC Ci sono tanti motivi. Una cospirazione è necessariamente un’azione collettiva, bisogna essere almeno in due: questo bisogno di reciprocità è decisivo per me. La storia di Mediterranea non è una vicenda di supereroi e leader ma di una comunità che si mette in moto. Cospirazione poi è un concetto che da sempre mi affascina come idea di un processo, non autorizzato dal potere costituito, che lo mette in discussione e lo fa evolvere. Infine, l’idea della cospirazione è importante anche nel significato di “azione dello spirito”. In tutta la mia vita ho sempre negato la spiritualità della lotta. Sono figlio di un’epoca positivista che ha santificato il progresso e con la frase di Marx sulla religione come oppio dei popoli. Ho sbagliato: mi sono fermato allo slogan. Nella frase prima lui diceva che la religione è il sospiro degli oppressi. E questo cambia tutto.
Tanto che ha deciso di mettere in prefazione un intervento di papa Francesco.
LC “Che cosa ci muove” è una domanda decisiva. Quando salviamo le persone in mare, trattandole come nostri fratelli, facciamo spazio a qualcosa che come uomini ci trascende, così come fa la giustizia con la legge. Oggi non è più scontato che ci sia qualcosa di giusto al di sopra di tutto, tanto che vediamo le democrazie occidentali uccidere senza scrupolo i bambini indifesi di Gaza. Stiamo istituzionalizzando, strutturando, la disumanizzazione e questa idea ci viene imposta sempre più come unica soluzione possibile. Mediterranea prova a costruire un altro mondo possibile, che è strettamente connesso alla spiritualità che serve per uscire da noi stessi e riconoscere che abbiamo bisogno dell’altro.
Il 28 e il 29 giugno presso il palazzo Risolo di Specchia (Lecce) si svolgerà la prima tappa di “Discorsi mediterranei”, un festival su diritti, migrazioni e solidarietà internazionale, promosso da Arci Cassandra Aps e Ets Associazione culturale Narrazioni cofinanziato da Regione Puglia, Comune di Specchia e Istituto di Culture Mediterranee e sostenuto da un ampio partenariato pubblico-privato, tra cui Altreconomia.
Il festival ospiterà alcune delle voci più importanti del panorama nazionale (Luca Casarini, Francesca Mannocchi, Nancy Porsia e tanti e tante altre) che prenderanno parte ai discorsi -conversazioni aperte al pubblico- e contribuiranno a informare, sensibilizzare, promuovere conoscenza e consapevolezza sui temi e sull’impegno che persone e organizzazioni della società civile mettono quotidianamente nella promozione dei diritti umani. Qui è disponibile il programma completo.
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