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Cultura e scienza / Intervista

Bartolomé de Las Casas: il frate che criticò la Conquista

Un saggio del professor Luca Baccelli ripercorre il pensiero e i “gesti epocali” dello spagnolo Bartolomé de Las Casas, che nel 1500 fu tra i primi a denunciare lo sterminio degli indios

Tratto da Altreconomia 189 — Gennaio 2017
Bartolomé de Las Casas ritratto da Constantino Brumidi in un dipinto ad olio del 1876

“Viviamo un’epoca in cui l’alterità terrorizza. Prevalgono sentimenti di paura che cancellano i percorsi di dialogo e l’integrazione multiculturale. Credo che in questo scenario sia utile rileggere Bartolomé de Las Casas, protagonista di quel grande incontro/scontro rappresentato dalla Conquista delle Americhe da parte degli spagnoli, con lo sterminio dei suoi abitanti a partire dalla fine del Quattrocento: è con lui che nasce, per la prima volta, una teoria critica nel pensiero Occidentale”. Luca Baccelli insegna Filosofia del diritto all’Università di Camerino, e alla figura di questo domenicano, attivo per tutta la prima metà del Cinquecento e oltre, allora e oggi riconosciuto come protector de los indios (protettore degli indigeni) ha dedicato un saggio, edito da Feltrinelli, “Bartolomé de Las Casas. La conquista senza fondamento” (2016).
“Las Casas è un grande personaggio della storia del pensiero occidentale, e il mio è un tentativo di restituirgli la dimensione di classico -spiega Baccelli-: durante il franchismo, il regime che ha guidato la Spagna fino agli anni Settanta del secolo scorso, è stato considerato un traditore: si sosteneva che fosse uno schizofrenico, un uomo dalla doppia personalità, e che con la sua opera avesse favorito il  protestantesimo”.

Perché?
LB Las Casas apparteneva a una famiglia che fu direttamente coinvolta nella Conquista: il padre partecipò al secondo viaggio di Cristoforo Colombo, e tornò in Spagna con un indio schiavo, un regalo per il piccolo Bartolomé. Lui a 18 anni, nel 1502, è già ad Hispaniola (l’isola oggi divisa tra Haiti e Santo Domingo, ndr), dove lavora nelle aziende di famiglia, e sfrutta la manodopera servile, indigena.
È solo una volta divenuto sacerdote, quando partecipa alla spedizione di “pacificazione” di Cuba, che il suo approccio cambia: è testimone della strage di Caonao, una violenza consapevolmente terroristica, frutto di azioni apparentemente insensate nei confronti di uomini e donne che avevano accolto gli spagnoli offrendo loro cibo; l’unico scopo di quella azione è far percepire in modo chiaro agli indigeni la potenza spagnola: spaventare e atterrire.
Las Casas restituisce questi momenti nella Brevísima relación de la destrucción de las Indias, un libro del 1552: l’incontro con l’altro, che avviene durante lo sterminio, lo porta a chiedersi se abbia senso uccidere gli indigeni invece di evangelizzarli, mentre sono ancora infedeli, o portarli alla morte dalla fatica, sottoposti a un livello di sfruttamento tale che essi dimenticano di essere uomini, se olviden de ser hombres.

Nel 1514 Las Casas compie un gesto epocale: qual è?
LB Capisce che ci devono essere delle rotture, e quindi restituisce al governatore di Hispaniola gli schiavi che aveva a disposizione, rinuncia a ciò che in quel momento sarebbe spettato anche a lui di diritto, in quanto encomendero, proprietario terriero. Lo fa anche se sa che, in quel momento, andranno a servire un altro padrone, e probabilmente a vivere peggio. Ma è consapevole che non sarebbe credibile se continuasse a sfruttarli. Due anni dopo, nel 1516, scrive il Memorial de remedios,  in cui delinea i contorni di un sistema razionale di sfruttamento delle risorse, naturali e umane, della colonia, che dovrebbe avvenire in maniera pacifica, e permetterebbe ai “barbari” di crescere in humanitas, in civiltà. Negli anni seguenti, però, la denuncia dello sfruttamento è sempre più radicale, e da lì a poco Las Casas arriva a sostenere che tutte le guerre di conquista sono ingiuste. E alcune pagine dei suoi scritti potrebbero essere associate alle parti storiche del Capitale di Karl Marx: il suo è il primo contro-discorso della modernità che affronta il tema del lavoro e dello sfruttamento.

“Las Casas arriva a sostenere che tutte le guerre di conquista sono ingiuste. […] Il suo è il primo contro-discorso della modernità che affronta il tema del lavoro e dello sfruttamento”

Secondo altri pensatori, invece, queste erano “guerre giuste”?
LB Lo scontro teorico contrappone Las Casas all’intellettuale organico della conquista Juan Ginés de Sepúlveda ma anche al grande teologo Francisco de Vitoria, secondo il quale il rifiuto della presenza dei missionari da parte degli indigeni era motivo di ingiuria, e quindi di giusta guerra. Per Las Casas, invece, l’evangelizzazione avrebbe dovuto seguire la libera accettazione da parte degli indigeni della presenza pacifica dei missionari nelle loro terre.
Nella sua opera, il domenicano arriva a ribaltare il concetto stesso di giusta causa, che secondo lui è sempre stata dalla parte degli indiani. Contesta anche, usando argomenti giuridici, il principio di discriminazione, mostrando che è molto difficile distinguere tra innocenti (civili) e combattenti. Contesta l’idea che la guerra sia una specie di procedimento giudiziario, la sanzione alla violazione del diritto internazionale. Le guerre di Conquista sono sempre state diaboliche: ed essendo gli indiani titolari di giusta causa di guerra, gli spagnoli non sono nemmeno legittimati a resistere.

Nel libro descrive Las Casas come precursore dell’antropologia culturale.
LB Egli affronta in modo radicale la questione del confronto interculturale: arriva a sostenere che non si può fare la guerra agli indigeni per impedire i sacrifici umani, perché si tratta di costumi radicati tra le popolazioni fin da tempi immemorabili. Perciò, secondo Las Casas, non è possibile sradicarle combattendo. Oggi tradurremmo questo pensiero così: non è possibile imporre determinati principi con la violenza; le guerre non si combattono per “esportare la democrazia”. È un pensiero molto attuale.

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