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L’oro azero

Petrolio e gas sono le “basi” su cui poggia il Paese sul Mar Caspio, dove gli oppositori finiscono in carcere e lo sport -dai Giochi Europei del 2015 alla F1 nel 2016- è usato come arma di distrazione di massa. Dall’Azerbaigian -governato dal 1993 dalla stessa famiglia- parte il gasdotto TAP, destinato ad arrivare in Salento. Il 9 luglio, a meno di un anno dall’ultima visita ufficiale, il premier Matteo Renzi riceve il presidente Ilham Aliyev a Roma

Tratto da Altreconomia 173 — Luglio/Agosto 2015

BAKU – “Stanno parlando dell’Italia. Dicono che il vostro governo ha appena approvato il progetto del gasdotto tramite cui passerà il gas del giacimento di Shah Deniz”. Il servizio della radio nazionale azera che traduce il tassista è sul TAP, il Trans Adriatic Pipeline. Un gasdotto che dovrebbe “approdare” sulla costa italiana a Melendugno (LE), il cui progetto è stato “vidimato” a fine aprile dall’esecutivo di Matte Renzi, nonostante l’opposizione della popolazione e delle autorità locali. Un intero territorio, il Salento, difende con passione uno dei tratti di costa più belli e incontaminati d’Italia, incredibilmente individuato come punto di approdo della pipeline.
Il TAP sarebbe troppo importante per le strategie energetiche europee, che puntano forte sul gas dell’Azerbaigian in nome di un presunto affrancamento dalla dipendenza dalla Russia. E senza l’ultimo segmento, che prima di giungere in Puglia passa per Grecia e Albania, non servirebbero a nulla nemmeno gli altri due tronconi dell’opera: l’espansione della South Caucasus Pipeline, che è in corso (i lavori sono oltre il 30 per cento), e il TANAP, in Turchia, la cui realizzazione è alle battute iniziali. Il serpentone tra l’Azerbaigian e l’Italia, chiamato Corridoio Sud del Gas, sarà lungo oltre 3.500 chilometri, avrà una portata di 10 miliardi di metri cubi l’anno -espandibile a 20- e dovrebbe costare circa 45 miliardi di euro. 

Mentre ascoltiamo la radio passiamo accanto al terminal di Sangachal, a una ventina di chilometri dalla capitale azera Baku. Da qui si snodano gli immensi oleodotti e gasdotti che portano in giro per l’Europa le risorse di cui è ricco il tratto di Mar Caspio che bagna le coste del Paese. Ci sono recinzioni e automobili della polizia ovunque. Così è impossibile avvicinarci a una località strategica per un Paese la cui economia si regge sullo sfruttamento dei ricchi giacimenti di gas e petrolio. Dal 1993, l’Azerbaigian è governato dalla stessa famiglia, gli Aliyev. Prima è stato il turno di Heidar, il “padre della patria”, e come tale omaggiato di effigi presenti a ogni angolo di strada. Alla sua morte, nel 2003, gli è succeduto suo figlio Ilham.
La democrazia, a queste latitudini, ha una patina quasi invisibile. All’avvocato Khalid Baghirov, ad esempio, è stato impedito di esercitare la sua professione, ma per fortuna è ancora libero, a differenza di altri oppositori. “Da quando nel 2003 abbiamo assistito al vero boom petrolifero, gli impatti sulle libertà civili e la democrazia sono stati pesantissimi” racconta nel suo studio nella periferia della capitale.  Eppure l’Occidente non sembra farsene un cruccio. La  “luna di miele” tra i governi europei e l’esecutivo di Baku è iniziata pochi anni dopo l’indipendenza del Paese dall’Unione Sovietica. Nel 1994 viene firmato il Contratto del Secolo, tra 11 multinazionali petrolifere, capeggiate dalla britannica BP, e il governo locale, per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di Azeri, Chirag e Gunashli (ACG), per un totale di oltre sette miliardi di barili di oro nero. Un affare colossale, che ha segnato l’inizio di una stretta collaborazione tra la stessa BP e la famiglia Aliyev, nonché l’entrata di numerose aziende europee nel Paese, inclusa l’italiana Saipem, che è tra i sub-contractor della prima ora per la realizzazione delle piattaforme petrolifere. Il Contratto del Secolo ha avuto il suo culmine nella realizzazione dell’oleodotto BTC,  che partendo da Baku e passando per Tbilisi (Georgia) porta il suo carico di greggio al porto turco di Ceyhan lungo un tragitto di 1.768 chilometri. L’opera è stata inaugurata nel 2005, nonostante una forte campagna internazionale che denunciava, oltre agli impatti ambientali soprattutto in Georgia e ai consistenti problemi legati alla sicurezza, le violazioni dei diritti umani in atto.

Ora è invece il turno del gas. Gli incontri con i leader europei, compreso Matteo Renzi, si moltiplicano, all’insegna di quella che è stata definita la caviar diplomacy. La “diplomazia del caviale” è fatta anche di gesti di generosità non disinteressata, come il milione di euro “regalato” dal presidente Aliyev alla città di Roma per gli scavi archeologici nell’area del foro. E poi c’è lo sport, strumento che molti governi hanno imparato a usare per ingraziarsi le simpatie del mondo e accreditarsi ancor di più come partner commerciale affidabile e in crescita. L’Azerbaigian è un vero e proprio caso di studio in quello che è stato definito sport-washing, parente stretto del green-washing. Nella seconda metà del giugno 2015 Baku ha ospitato i primi Giochi Europei, nel 2016 arriverà la Formula Uno, nel 2017 i Giochi Islamici, nel 2020 alcune partite dei primi Campionati europei itineranti di calcio. Una vetrina costosa, si badi bene. A sentire i responsabili della comunicazione del comitato organizzatore, i Giochi sarebbero costati intorno ai 900 milioni di euro. Ma la cifre che girano sono ben altre. I media inglesi parlano, ad esempio, di 6,5 miliardi di euro. Forse troppo denaro, per un Paese che a inizio 2015 ha svalutato del 30 per cento la sua divisa, il manat, e sta risentendo del calo vertiginoso del prezzo del petrolio.

Intanto i giochi, come l’Eurovision nel 2012, hanno rappresentato la scusa perfetta per dare un’ulteriore stretta contro il dissenso interno. Aliyv non si farebbe scrupoli a incarcerare avvocati, giornalisti o semplici attivisti. Amnesty International parla di almeno 20 “prigionieri politici”. Gli esponenti della società civile che incontriamo, tra cui quelli del movimento N!da, sostengono che nelle carceri azere al momento sarebbero reclusi almeno 100 dissidenti. E in tanti sono scappati da Baku per non rischiare numerosi anni di prigione. Poco prima dell’inizio dei Giochi, poi, è stata rispedita in patria con il foglio di via un’attivista dell’organizzazione inglese Platform, mentre ai rappresentanti di Amnesty International e al caporedattore sportivo del quotidiano britannico The Guardian, Owen Gibson, è stato vietato l’accesso. Queste azioni dimostrano quanto il governo azero sia allergico a ogni forma di critica, anche se proviene dall’esterno. Agli oppositori interni, invece, è riservato un altro trattamento.  

Fariz Namazli
è l’avvocato di Khadija Ismayilova e Rasul Jafarov, due delle personalità di spicco dell’opposizione. Lo incontriamo nel suo ufficio di Sumgait, una città industriale a 20 minuti di macchina da Baku, dove prima c’era uno dei poli petrolchimici dell’URSS, che a breve potrebbe essere rivitalizzato anche con un ruolo attivo della Saipem. Racconta della Ismayilova, una giornalista di Radio Free Europe specializzata in inchieste “scomode”. Tra le altre cose, ha svelato come la famiglia Aliyev controllerebbe circa l’80 per cento mercato telefonico nazionale, usando società registrate nei paradisi fiscali di Panama e delle Isole Vergini. “Già in passato avevano tentato di metterla a tacere -ci ha spiegato Namazli- pubblicando un video girato nel suo appartamento mentre era in intimità con il suo ragazzo. I media vicini al governo hanno poi svolto un ruolo di primo piano nell’amplificare tutta la vicenda”. La giornalista ha continuato il suo lavoro, ma lo scorso dicembre è stata arrestata, prima con l’accusa di incitamento al suicidio, poi con altre imputazioni, che vanno dalla diffusione di segreti di Stato a vari reati fiscali. Quella della libertà di stampa è una delle note più dolenti a Baku. Nella classifica di Reporter senza frontiere l’Azerbaigian occupa la 161a posizione su 180 paesi. Peggio di Libia, Iraq e Pakistan. Per Freedom House è tra i 65 Paesi, su 199, dove la libertà di stampa non è garantita. Non sorprende, quindi, che la redazione di Radio Free Europe sia stata perquisita, e diversi computer e documenti sequestrati.
“Khadija è in attesa di giudizio, mentre Rasul Jafarov è stato da poco condannato a sei anni e mezzo di reclusione” afferma mestamente l’avvocato. “Rasul è stato uno dei promotori delle proteste contro l’Eurovision del 2012 ed era pronto a fare altrettanto per i Giochi”. L’avvocato ci racconta di un evento della società civile tenutosi al Consiglio d’Europa a margine dell’inaugurazione del semestre di presidenza azera, nel giugno del 2013. “Praticamente tutti gli attivisti che erano lì quel giorno sono finiti in prigione”. 
A Sumgait vive anche Necmin Kamil, studente universitario di 19 anni. Fisico gracile e una voce spesso spezzata dall’emozione, Necmin narra la storia di suo padre, l’avvocato Intigam Aliyev, con la lucidità e la maturità di chi è dovuto crescere in fretta. “Mio padre è molto malato, e in carcere non riceve le cure di cui ha bisogno. Siamo molto preoccupati per lui. Abbiamo fiducia nei suoi avvocati, ma non possono fare molto di fronte a giudizi arbitrari” chiarisce subito. Aliyev ha portato alla Corte europea per i diritti dell’uomo oltre 200 casi sui presunti brogli commessi durante le elezioni azere e altre violazioni dei diritti umani. Inoltre è il fondatore di una Ong chiamata Legal Education Society. Un personaggio scomodo, processato per una serie di reati fiscali che suo figlio non esita a definire “inventati”, finendo per subire una condanna di sette anni e mezzo. Che le tornate elettorali in Azerbaigian siano falsate, però, l’ha certificato più volte anche l’OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che il governo azero sta provando a far “sloggiare” da Baku.

Le trasformazioni in corso nella capitale sono uno dei temi su cui si è soffermata molto la Ismayilova è il boom edilizio che ha investito la capitale nell’ultimo decennio, di fatto beneficiando quasi esclusivamente l’élite al potere. Il centro cittadino sembra una miscela perfetta di Dubai e Montecarlo. I tanti grattacieli, alcuni ancora in costruzione, guardano dall’alto le mura della città vecchia e l’ampio boulevard che si estende a pochi metri dalle acque del Caspio. I prezzi degli appartamenti sono alti, dai 2mila ai 5mila euro a metro quadro. Eppure gli stipendi sono bassissimi, come ci hanno confermato tutte le persone che abbiamo interpellato. Il salario minimo è di 126 manat al mese (un manat vale 0,8 euro), i medici prendono intorno ai 300 manat più il pagamento delle singole visite da parte dei pazienti, gli insegnanti dai 150 ai 200 manat. Appena ci si allontana dai palazzi del potere, dalle vie dei negozi del lusso e dagli alberghi a cinque stelle, poi, ci si imbatte in pezzi di città letteralmente sventrati per far posto alle ennesime operazioni di speculazione immobiliare. A poco più di un chilometro in linea d’aria dalle Flame Towers, i tre iconici grattacieli a forma di lingue di fuoco, ci sono intere vie invase da ruderi e calcinacci.
Una delle immagini maggiormente paradigmatiche delle contraddizioni che segnano questa porzione di mondo la scorgiamo però in periferia, alle spalle dello Stadio Olimpico, dove sorge il sobborgo di Balakhani. Lì è cominciato lo sviluppo petrolifero nel 1872, e ancora oggi sono decine le trivelle che punteggiano il panorama, a pochi metri da case e botteghe mal in arnese.
Gli stessi scenari s’incontrano se si esce dalla capitale. Polverose strade sterrate, prive di fognature, e vecchi edifici d’epoca sovietica testimoniano un livello di povertà molto alto. Gas e petrolio rendono, ma non per tutti.
In realtà la grande partita del gas del Caspio potrebbe non essere limitata alla sponda azera.
Il primo maggio, dall’altra parte del Caspio, nella capitale del Turkmenistan Ashgabat, si è svolto un incontro tra il presidente turkmeno Gurbanguly Berdimuhamedov e il ministro dell’energia azero Natig Aliyev, alla presenza del Commissario all’energia dell’Ue e vice presidente della Commissione, Maros Sefcovic. Il commissario ha definito l’incontro “positivo” ipotizzando che entro il 2019 possa vedere la luce il Trans Caspian Pipeline, di cui si discute da decenni. La portata sarebbe di 30 miliardi di metri cubici l’anno, e il costo di 5 miliardi di dollari. Il Turkmenistan detiene la quarta riserva al mondo di gas e il Trans Caspian sarebbe il troncone addizionale del Southern Gas Corridor, quello che darebbe ancor più senso all’intera opera. La congiuntura favorevole potrebbe far sì che la pipeline si costruisca davvero, dopo anni di parole e pochi fatti. C’è però da risolvere la complessa questione dello status del Caspio: se si dovesse stabilire definitivamente che il Caspio è un mare e non un lago, le norme del diritto internazionale favorirebbero ancor di più l’export di gas turkmeno. E poi la Russia, indebolita dalle sanzioni, potrebbe non essere in grado di fare la voce grossa, e bloccare così il progetto. Rimane in piedi l’ipotesi di far passare il gas tramite l’Iran, specialmente se dovessero essere tolte le sanzioni nei confronti di Teheran, elemento che potrebbe scompaginare ulteriormente il risiko energetico del Caucaso.
Il governo iraniano per ora nega di essere interessato a potenziali tariffe di transito. Ma in futuro si vedrà. Una cosa è certa: il Turkmenistan è un Paese che secondo tutti gli indicatori delle organizzazioni internazionali è ancor meno democratico dell’Azerbaigian. Sono decine i dissidenti incarcerati di cui le stesse famiglie non hanno più notizie da anni.

Il primo partner
L’Azerbaigian è il Paese al mondo che fornisce più petrolio all’Italia. Noi compriamo da Baku il 17,1% dell’oro nero necessario per il nostro fabbisogno nazionale. Il petrolio arriva in buona parte dai giacimenti offshore di Azeri-Chirag-Guneshli (gli ultimi dati ufficiali azeri parlano di 7,33 miliardi di barili), che da solo conta per il 70% delle riserve di greggio e il 75% della produzione dell’Azerbaigian.  L’Italia è il primo partner commerciale del Paese, dal momento che assorbe circa il 20% dell’export azero. L’interscambio commerciale tra i due Paesi è fortemente influenzato dal peso delle importazioni di idrocarburi, che costituiscono oltre il 90% dei 5,4 miliardi di import dall’Azerbaijan nel 2014. Le esportazioni italiane verso il Paese sono state invece pari a circa 595 milioni di euro, costituite in gran parte da meccanica strumentale, mobili e moda. Le aziende più attive sono la Saipem e, in misura minore, Finmeccanica. 

La libertà d’informazione "fugge" in Svizzera
Nella notte del 12 giugno 2015 Emin Huseynov, fondatore dell’Institute for Journalists Freedom and Safety, è riuscito a lasciare Baku, la capitale dell’Azerbaigian, sotto la protezione del ministro degli Esteri svizzero. Huseynov era nascosto all’interno della sede dell’Ambasciata svizzera di Baku dall’agosto dello scorso anno, quando l’Istituto era stato chiuso e gli uffici posti sotto sequestro dalle autorità azere.
Già arrestato in passato, e impossibilitato a lasciare il Paese in seguito al ritiro del suo passaporto, Huseynov temeva che il governo avrebbe presto trovato una ragione per arrestarlo. La notizia della fuga è stata diffusa da un comunicato del governo svizzero, in cui si dice che Huseynov avrà tempo fino a settembre per chiedere asilo politico al Paese elvetico. (Elena Gerebizza)
 
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