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L’orario di lavoro a menù

Orari di lavoro flessibili, stabiliti in base alle esigenze dei dipendenti, straordinari aboliti, stipendi medi di 1.600 euro al mese e una mensa dove un pasto costa 30 centesimi

Tratto da Altreconomia 118 — Luglio/Agosto 2010




Orari di lavoro flessibili, stabiliti in base alle esigenze dei dipendenti, straordinari aboliti, stipendi medi di 1.600 euro al mese e una mensa dove un pasto costa 30 centesimi. Questo non è l’elenco dei desideri irrealizzabili di lavoratori stanchi e frustrati, ma è il racconto della realtà quotidiana di 359 operai e impiegati della provincia di Padova. Nella filiale della multinazionale ZF di Caselle di Selvazzano, dove si producono componenti per navi di lusso e per trasporto commerciale, i dipendenti partecipano attivamente alla gestione dell’orario di lavoro, con la collaborazione dei sindacalisti interni, riuscendo ad adattare al meglio i tempi della fabbrica a quelli delle proprie vite.

I dipendenti della società tedesca con sede a Friedrichshafen possono decidere non soltanto se lavorare per il primo turno (dalle 6 alle 14) o per il secondo (dalle 14 alle 22), ma hanno anche la facoltà di modificare l’orario di entrata in azienda di tre ore. Possono cioè decidere di arrivare alle 9, invece che alle 6, lavorando per le successive otto ore, con una pausa pranzo che varia, sempre in base alle necessità individuali, dalla mezzora all’ora. L’orario chiamato “a menu”, che viene stilato ogni otto settimane cercando di soddisfare le esigenze di tutti, prevede anche la settimana “a carico maggiorato” (con lavoro aggiuntivo il sabato mattina oppure con un’ora in più al giorno), “ridotto” (35 ore in cinque giorni, con la riduzione di un’ora media giornaliera o il salto del venerdì pomeriggio) e “normale” (otto ore per cinque giorni). Questo sistema valorizza anche i contratti part time che riescono ad essere inseriti con efficacia nel sistema produttivo.

 

La vita dei dipendenti della ZF di Caselle di Selvazzano è cambiata nove anni fa, in seguito ad un accordo tra sindacati e direzione. La richiesta di flessibilità di orari dell’azienda, motivata dalle esigenze del mercato internazionale, costringeva i lavoratori a straordinari continui e stancanti e aveva portato un malumore diffuso tra i dipendenti. Messe alle strette da un voto nettamente contrario dell’assemblea dei lavoratori, le Rappresentanze sindacali di base (Rsu) hanno dovuto aguzzare l’ingegno e con un colpo di fantasia e di coraggio hanno cambiato modello di riferimento per gli orari e la flessibilità. Come spiega Luciano Pero, docente del Mip Politecnico di Milano, “i sindacalisti hanno capito che la flessibilità non si poteva affrontare con lo straordinario o con le ennesime eccezioni al sistema degli orari standard, ma programmando il lavoro in modo flessibile e conciliando le esigenze dei dipendenti con quelle dell’impresa attraverso sistemi manageriali evoluti”.

Un cambiamento che ha portato benefici anche alla multinazionale: il costo del lavoro, infatti, è diminuito del 30 per cento rispetto a prima. “Ma il fatto ancora più interessante – continua Pero – è che alla ZF, per superare il modello storico di orario standard, si è dovuto accelerare il processo di innovazione. Infatti, è stato necessario aumentare la polivalenza degli operai incentivando il loro apprendimento nell’uso di molte macchine, cambiare l’organizzazione del lavoro con i team e la rotazione, migliorare il sistema di programmazione degli orari e delle commesse, acquisendo capacità di rispetto dei tempi di consegna e di affidabilità dei tempi stimati a preventivo”. Un risultato, questo, che ha permesso all’azienda di essere competitiva con i concorrenti a livello mondiale.

Entrando nello stabilimento ZF si respira un’aria diversa da quella di molte altre aziende italiane metalmeccaniche. Nei capannoni ampi e silenziosi gli operai gestiscono macchinari all’avanguardia, con un ritmo di lavoro lontano da quello della catena di montaggio frenetica e usurante di molte altre imprese. La mensa, dai pavimenti puliti, ha il soffitto basso e odora di aceto. Il cibo viene preparato nelle cucine che si intravedono dietro il bancone ed è di buona qualità. “I risultati che abbiamo ottenutospiega Luca Badoer, sindacalista della Fiom, mentre mangia un piatto di salmone e broccoli – sono il risultato non soltanto della fiducia che i lavoratori hanno per noi ma anche di una negoziazione continua. Da parte della direzione c’è sempre stata molta disponibilità. Pur di evitare i conflitti interni, l’azienda è stata disposta a venire incontro alle esigenze dei lavoratori”. Nell’ufficio delle Rappresentanze sindacali, 13 in tutto (7 della Fiom Cgil, 4 della Fim Cisl, 1 della Uilm Uil e una dell’Ugl), c’è un grande tavolo attorno al quale rappresentanti dei lavoratori e direzione si riuniscono con regolarità per discutere delle decisioni aziendali. Le Rsu possono consultare i bilanci e verificare l’andamento della produzione grazie a un database a loro disposizione. “Sicuramente il fatto di confrontarci con una direzione di origine tedesca – dice Renzo Soranzo, Rsu della Fiom – ha facilitato il nostro lavoro. La ZF ha una mentalità diversa da quella di molte imprese del Nord est italiano dove vige la logica padronale. Qui non dobbiamo rendere conto tanto del modo con il quale organizziamo il lavoro ma dei risultati, e quelli ci sono. Certo la crisi si è fatta sentire anche da noi”. Il calo delle commesse, infatti, ha costretto i lavoratori a periodi di cassa integrazione e ha portato alla mobilità una cinquantina di dipendenti vicini alla pensione. “Ma per loro – sottolinea Badoer – siamo riusciti ad ottenere uno scivolo di tutto riguardo. C’è chi se n’è andato con una buona uscita di 60mila euro”.

Cinque anni fa alla ZF di Caselle di Selvazzano era stato progettato anche un asilo nido interno che avrebbe dovuto funzionare dalle 6 alle 19.30. “Per quest’iniziativa – spiega Nello Fisichella della Fiom – avevamo ottenuto finanziamenti pubblici e privati per 450mila euro. Gli orari erano stati pensati tenendo conto dei diversi turni di entrata e uscita dei genitori. Avevamo previsto attività di manipolazione, momenti di psicomotricità, giochi di movimento, musica, e la partecipazione delle famiglie per l’inserimento graduale dei bimbi. Poi però, quando tutto era pronto, le adesioni sono state soltanto 15, mentre il numero minimo dei partecipanti sarebbe dovuto essere di 21 e così non se n’è fatto più nulla”. La mancata entrata in vigore dell’asilo nido è stata dovuta anche alla ridotta presenza di donne, soltanto una trentina in tutta l’azienda. Per il momento non sembra che il loro numero sia destinato ad aumentare, dato che il turnover tra i dipendenti è praticamente nullo. “Nessuno se può se ne va da questa azienda – spiega Pero – anche perché è l’unica in Italia dove esiste un sistema formale di orario “a menù”. Esistono organizzazioni simili ma più informali, dove non c’è una reale reciprocità tra azienda e dipendente, come invece accade alla ZF. Si tratta sicuramente di un problema culturale. Nel nostro Paese è ancora difficile accettare una modalità organizzativa di questo tipo, nonostante si tratti di un modello produttivo molto vicino a quello auspicato dalla stessa Confindustria”.

 

La flessibilità gestita a favore dei lavoratori, infatti, ha portato risultati rilevanti: l’assenteismo si è ridotto drasticamente, la puntualità di consegna è cresciuta, la qualità è migliorata per effetto dell’organizzazione più ordinata e della crescita professionale, i costi di produzione sono stati contenuti”. Il modello della ZF è più vicino ai sistemi del Nord Europa (dove orari a menu, banche ore e part time sono la normalità) più che a quelli mediterranei. “Anche se a differenza di quel che accade in Danimarca, Olanda e Svezia, dove l’organizzazione del lavoro è basata su una precisa volontà sociale, in quest’azienda si è arrivati a un cambiamento per questioni di mercato. Cercando la soluzione a un problema, si è riusciti a trovare e applicare un’organizzazione virtuosa del lavoro, che sarebbe certamente replicabile in altre imprese. Ma per farlo servono lungimiranza e coraggio e queste, purtroppo, nel nostro Paese sono virtù ancora rare”.

 

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