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Lombardia, terra di commercio equo. Tutti i numeri del fair trade

Una ricerca realizzata da Altreconomia e commissionata dalla Regione ricostruisce pezzo per pezzo il presente delle 81 organizzazioni solidali cui corrispondono 139 punti vendita. Le donne al centro, così come i diritti

Tratto da Altreconomia 201 — Febbraio 2018

Il signor Renato ha il piglio lombardo di chi si dà da fare senza tanti fronzoli. Anche oggi ha aperto i battenti della bottega del commercio equo e solidale della cooperativa “Terra e cielo”, realtà nata a Gaggiano (Mi) su iniziativa di alcuni ragazzi dell’oratorio nel 2000. E per farlo si è svegliato presto: “Siamo nella stazione ferroviaria, e gestiamo anche la biglietteria, dalle 6.30 del mattino”. Il signor Renato, in pensione, è un volontario del fair trade, così come lo sono altre 2.400 persone, almeno, in tutta la Lombardia.

Il dato è uno dei risultati contenuti nella ricerca, la prima del suo genere, che l’assessorato allo Sviluppo economico di Regione Lombardia, guidato da Mauro Parolini, ha commissionato a noi di Altreconomia per mappare, misurare e descrivere il commercio equo e solidale lombardo, ai sensi di quanto prescritto dalla legge 9 del 2015 che punta a sostenere il movimento e le organizzazioni che ne fanno parte (come hanno fatto altre 11 Regioni, mentre una legge nazionale giace al Senato).

Le realtà censite sono state in tutto 81 -anche se andrebbe scritto 80, poiché dal primo di gennaio due realtà, la cooperativa Chico Mendes di Milano e la Cooperativa Solidarietà di Brescia, si sono fuse-: un variegato insieme di esperienze molto diverse tra di loro per storia, dimensione e risultato economico.

A queste 81 realtà corrispondono 139 punti vendita: la provincia che ne vede di più è, come prevedibile, quella di Milano, anche se andrebbe sottolineato che, per numero di abitanti, è quella di Sondrio ad avere una diffusione maggiore di botteghe. Tre quarti delle organizzazioni hanno un solo punto vendita, di solito in affitto, attorno ai 60 metri quadrati di dimensione e situato nel centro della località. Metà delle organizzazioni sono associazioni di volontariato: per il resto si tratta perlopiù di cooperative (metà delle quali sono sociali). Dietro le sigle, un esercito di oltre 12mila duecento soci per realtà che nel 68% dei casi sono nate più di 15 anni fa, e proprio con l’intento di dedicarsi al fair trade.  La storia però ci consegna una bottega, quella di Rovato, nata addirittura nel 1987: una delle prime in Italia (e in buona compagnia, visto che in Regione ci sono almeno una mezza dozzina di realtà nate attorno al 1990).

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Non è l’unico record lombardo. Sommando tutti i fatturati delle organizzazioni (tra le quali va segnalata l’unica centrale di importazione lombarda, Equo Mercato di Cantù) si arriva alla considerevole cifra di 16,1 milioni di euro. Se tuttavia la media è di circa 200mila euro per organizzazione, va sottolineata l’estrema variabilità delle dimensioni economiche. La ricerca evidenza infatti che poco meno del 59% delle organizzazioni arriva a fatturare 100mila euro (addirittura il 15% è sotto i 30mila). Dall’altra parte, le maggiori cinque da sole coprono la metà del totale, circa 8 milioni di euro. E tra queste Chico Mendes di Milano, dopo la fusione con la realtà bresciana, supera i 4 milioni: ben un quarto del totale. A guardare ancora le province però, torna a spiccare Sondrio con i sui 7 punti vendita: il ricavo per abitante è attorno ai 3,64 euro, contro l’1,86 di Milano e gli 0,66 euro di Varese. Quel che è importante tuttavia è anche sottolineare che, nonostante la crisi generalizzata, i conti sembrano reggere. Perlomeno per quel 72% di realtà che ha chiuso il bilancio 2016 in pareggio o addirittura in utile. Non solo: le proiezioni di chiusura del 2017 vedono l’ottimismo del 70% delle realtà coinvolte.

Sono 157 i lavoratori censiti operanti presso le organizzazioni di commercio equo e solidale lombarde. Salvo casi davvero sporadici -ad esempio quando il punto vendita non deve pagare un affitto, e quindi ha risorse per un’assunzione- i lavoratori sono presenti in organizzazioni che hanno ricavi per almeno 100mila euro l’anno (e di solito si tratta di uno solo, o al massimo due impiegati). Più del 90% del totale è assunto, l’80% dei lavoratori ha un orario part time. Ci sono una manciata di casi di contratti a progetto, inserimento lavorativo e tirocinio. Tre dipendenti su quattro sono donne. Praticamente tutte le organizzazioni -fanno eccezione due casi- si avvalgono della presenza di volontari per portare avanti le attività: come si diceva, sono circa 2.400 quelli operativi nelle organizzazioni di commercio equo e solidale in Lombardia, secondo quanto indicato dalle organizzazioni stesse (con una media di 30 volontari per ciascuna organizzazione). Per la maggior parte svolgono la loro opera coprendo turni nei punti vendita -in media sono 17 per punto vendita- ma si dedicano anche a banchetti, attività di formazione, realizzazione di eventi, corsi, serate. Volontari si trovano in tutti gli organi direttivi delle organizzazioni, a partire dal presidente/rappresentante legale. Da volontari sono nate praticamente tutte le realtà censite, che solo in un secondo tempo si sono dotate -se ne hanno avuto modo- di lavoratori stipendiati.

Ben 43 organizzazioni su 81 vivono esclusivamente grazie all’impegno di almeno un migliaio di persone che nel 2016 hanno contribuito a ricavi per circa 2,2 milioni di euro. Il numero maggiore di volontari impegnati nel commercio equo e solidale si trova nella provincia di Como (circa 450 operativi), seguita da quella di Milano. In coda la provincia di Pavia e quella di Mantova, con una quarantina di volontari ciascuno. Ancora una volta però il confronto con la popolazione provinciale restituisce un quadro differente. E ancora una volta è la provincia di Sondrio a distinguersi, con un volontario nel commercio equo ogni mille abitanti circa (per Como sono 1 ogni 1.300 abitanti, Milano 1 ogni 8mila circa). È stato chiesto alle organizzazioni di ritrarre il loro volontario “tipo”. Nonostante le ovvie peculiarità ed eccezioni, la costante è la netta preponderanza di donne, che in molti casi costituiscono oltre il 90% del “corpo volontari”. Tra i volontari si annoverano spesso volontari “storici”, che prestano la loro opera addirittura dalla nascita dell’organizzazione (vuol dire in alcuni casi da oltre 20 anni).

Infine, la ricerca ha cercato anche di tratteggiare l’avventore “tipo” di una bottega attraverso un questionario somministrato a un piccolo campione (158 interviste) di clienti, direttamente in negozio. Ne è emerso un ritratto molto particolare: una preponderanza femminile, un livello di istruzione particolarmente alto, età media sostenuta. Ma soprattutto motivazioni molto chiare per la scelta: chi entra in una bottega del commercio equo e solidale lo fa perché dietro ai prodotti c’è l’impegno delle organizzazioni nella tutela dei diritti, nel Sud del mondo, come nel Nord.

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