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Opinioni

Lo shock petrolifero (del 2015)

In meno di un anno il prezzo del greggio è crollato di due terzi, fino a 44 dollari al barile. Ciò è dovuto a moltelpici cause: a un aumento dell’offerta, non corrisponde una maggiore la domanda, e si sono ridotte le speculazioni sui titoli legati al petrolio. Il rischio: l’illusione dell’energia fossile a buon mercato e potrebbe far dimenticare, pericolosamente, i limiti dello sviluppo economico. L’analisi di Alessandro Volpi

Stiamo assistendo a un incredibile shock petrolifero al contrario. Dopo diversi anni in cui i prezzi del greggio erano lievitati fino a 150 dollari al barile, facendo immaginare scenari geopolitici quasi apocalittici, si è innescato, con estrema rapidità, un processo del tutto inverso. I prezzi sono crollati nel giro di pochi mesi dai quasi 117 dollari al barile del giugno 2014, ai 70 del dicembre dello stesso anno, fino ai 44 dei giorni scorsi, con una tendenza che non accenna a rallentare.
Si tratta di una caduta per molti versi incomprensibile, e assai anomala rispetto al passato recente, perché il crollo avviene pur in presenza di alcuni elementi che in genere determinano il rialzo dei prezzi. In primo luogo, diverse aree del mondo dove si estrae petrolio vivono gravi crisi geopolitiche, a cominciare dalla Libia e dall’Iraq, due grandi esportatori di petrolio, che stanno facendo mancare al mercato mondiale oltre 4 milioni di barili al giorno. In secondo luogo, permane una pronunciata instabilità monetaria con euro e dollaro che si rincorrono, in presenza di una grande liquidità disponibile e quindi con possibili bolle speculative. Nonostante tutto ciò, come detto, il prezzo del greggio crolla.
Quali sono le motivazioni di un simile, strano, fenomeno? Tre sembrano essere quelle maggiormente rilevanti.

1) Gli ultimissimi anni hanno registrato una crescita molto limitata della domanda mondiale di petrolio -che oggi si aggira attorno ai 91 milioni di barili al giorno- a fronte di un più marcato incremento dell’offerta: nel 2014, la domanda è salita dello 0,7%, mentre l’offerta è aumentata di oltre il 2%. La produzione è cresciuta in diverse parti del pianeta, ma soprattutto negli Stati Uniti, dove sono state sensibilmente migliorate le tecniche di ricerca e escavazione e dove hanno preso campo sia lo shale gas sia lo shale oil, i gas e le benzine di scisto, destinati a consentire agli Usa di essere autosufficienti, esportando ogni giorno quasi 7,5 milioni di barili.

2) Di fronte alla tendenziale diminuzione dei prezzi petroliferi, l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo hanno deciso di non contingentare le loro produzioni per provocare una ripresa dei prezzi, ma hanno preferito lasciarli scendere ulteriormente, continuando ad approvvigionare il mercato mondiale. L’obbiettivo di una simile manovra è quello di mettere in ginocchio i “nuovi”, pericolosi, concorrenti, a cominciare dalla Russia e dall’Iran, che non sono in grado di estrarre a prezzi troppo bassi. Se il costo di estrazione di un barile di petrolio è nel Golfo Persico di poco superiore a 5 dollari e in Russia risulta spesso 10 volte più alto, è evidente che un abbattimento dei prezzi fino a 40 dollari mette fuori gioco le grandi compagnie di Stato russe e tutte le realtà produttive contraddistinte da costi di estrazione alti. D’altra parte, Arabia Saudita e Paesi del Golfo Persico dispongono di riserve molte estese di petrolio, capaci di garantire rifornimenti per decenni che permettono di accettare una fase di prezzi bassi, per cancellare i concorrenti, e poi farli risalire  subito dopo.

3) Sembra definitivamente scomparsa, nonostante la grande liquidità, la speculazione al rialzo sul prezzo del petrolio. Quando un barile di petrolio costava 150 dollari, infatti, gran parte di quel prezzo non dipendeva dalla dinamica reale dell’offerta e della domanda di petrolio “fisico”, ma dalla gigantesca massa di scommesse, tutte al rialzo, che venivano praticate sul singolo barile. In altre parole, nella fase della finanziarizzazione del petrolio, nella convinzione che la forte domanda di energia ad opera della Cina e dei Paesi emergenti sarebbe continuata senza fine, i titoli legati al petrolio avevano prezzi in costante lievitazione, facendo salire anche il prezzo dei barili reali. Oggi la massa di questi titoli si è drasticamente ridotta mentre quelli ancora in circolazione scommettono sul ribasso e quindi il prezzo del petrolio prosegue nella propria caduta.

Come accennato in apertura, siamo dunque nel mezzo di una vera rivoluzione che avrà varie conseguenze, la prima delle quali riguarda direttamente il nostro Paese, tradizionale importatore di energia. Già nel 2014 la bolletta energetica italiana si è ridotta di 11 miliardi e altri 6-7, è credibile, saranno risparmiati nel corso di quest’anno. Su un piano generale, il crollo del prezzo del petrolio potrebbe dare l’illusione dell’energia a buon mercato e potrebbe far dimenticare, pericolosamente, i limiti dello sviluppo economico. Se così fosse, i benefici del breve periodo sarebbero presto cancellati da danni culturali assai pesanti.
 
Foto di Luca Tommasini

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