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Lo scontro tra India e Pakistan e la competizione per le acque del fiume Indo

Dopo aver accusato Islamabad di “supportare i terroristi” e annunciato la sospensione unilaterale del Trattato delle acque dell’Indo, che da oltre sessant’anni regola la suddivisione delle risorse idriche tra i due Paesi, Nuova Delhi a inizio maggio è passata ai missili. Ma le tensioni sulle risorse che interessano la sopravvivenza di milioni di persone risalgono nel tempo. Mentre governo ed esercito pakistano puntano sulla contestata Green Pakistan initiative
Il 22 aprile scorso un attacco terroristico a Pahalgam, nel Kashmir indiano, ha causato la morte di 26 persone. L’attentato, rivendicato dal Fronte della Resistenza (un gruppo separatista affiliato ai jihadisti di Lashkar-e-Tayiba), ha innescato una crisi diplomatica tra India e Pakistan.
L’India ha accusato il Pakistan di supportare i terroristi e ha annunciato la sospensione unilaterale del Trattato delle acque dell’Indo, che da oltre sessant’anni regola la suddivisione delle risorse idriche tra i due Paesi.
Tra il 6 e il 7 maggio, poi, missili lanciati da Nuova Delhi hanno colpito nel Kashmir e nel Punjab facendo 26 morti e 46 feriti. La reazione pakistana ha causato otto vittime.
La decisione indiana di sospendere il Trattato delle acque dell’Indo rappresenta un precedente storico: nonostante decenni di tensioni e crisi diplomatiche, il trattato era sempre stato rispettato da entrambe le parti. Il Pakistan ha subito negato ogni responsabilità nell’attacco e ha duramente criticato la scelta dell’India, definendola una “forma di terrorismo dell’acqua” e una “violazione del diritto internazionale”.
Questa sospensione arriva in un momento di crescente stress idrico nella regione.
Il Pakistan è infatti uno dei Paesi più colpiti dal cambiamento climatico. Come evidenziato nel rapporto di Germanwatch, circa un pakistano su sette (33 milioni di persone) è direttamente colpito dagli eventi meteorologici estremi. Le alluvioni catastrofiche del 2022 -che hanno sommerso un terzo del Paese- sono state definite dalle Nazioni Unite “un disastro climatico di proporzioni epiche“.
A causa della crisi diplomatica con l’India, il governo di Islamabad ha sospeso la costruzione di alcuni canali nell’ambito della Green Pakistan initiative (Gpi). Il progetto -dal costo di tre miliardi di dollari- era stato lanciato nel 2023 dal primo ministro Shahbaz Sharif e dal generale dell’esercito Asim Munir. L’obiettivo era deviare parte delle acque dell’Indo verso i quasi due milioni di ettari di terre incolte nel Punjab.
Mohammad Ehsan Leghari, rappresentante dell’Autorità fluviale per il Sindh (IRSA), aveva fortemente contestato l’approvazione del canale del Cholistan, affermando al quotidiano pakistano Dawn che “dal 1999 al 2024 non c’è stato anno in cui il Pakistan non abbia registrato una carenza d’acqua, con il Sindh e il Balochistan che devono affrontare il 50% degli effetti di questa siccità durante l’estate. In questa situazione, da dove arriverà l’acqua per il sistema di canali proposto?”.
In risposta alla Gpi, una coalizione di attivisti, politici, intellettuali, esperti di irrigazione e agricoltori del Sindh si è mobilitata contro ciò che definiscono un vero e proprio esproprio coloniale da parte di Islamabad.
“Questo progetto è violenza ambientale e sociale contro le comunità più vulnerabili del Pakistan”, spiega ad Altreconomia Aima Khosa, giornalista e attivista, nonché membro della segreteria del Partito dei diritti del popolo (Haqooq-e-Khalq Party, Hkp), parte della coalizione contraria al progetto. “I miliardi di dollari di investimenti previsti non andranno ai piccoli agricoltori, ma piuttosto ai grossi gruppi corporativi guidati dal settore militare, che escluderanno ulteriormente le comunità locali”.
Il progetto è infatti gestito dalla Green corporate initiative (Gci), società privata controllata dall’esercito pakistano.
Quando si chiede a Khosa se questo progetto stia rafforzando le strutture feudali e militari preesistenti nell’economia agraria del Paese, la sua risposta è chiara: “Assolutamente sì. Di fatto, la Gpi sta potenziando le strutture feudali-militari attraverso un’appropriazione sfacciata di risorse. Il capo dell’esercito ha lanciato e promosso personalmente la Gpi. Inoltre, lo schema di distribuzione delle terre prevede un minimo di 1.000 acri esclusivamente per i grandi investitori e il contratto di affitto di 30 anni garantisce un controllo generazionale. La tradizionale struttura di potere feudale che ha dominato il Pakistan rurale viene semplicemente modernizzata sotto la supervisione militare. La Green Pakistan initiative sta semplicemente creando una nuova classe di proprietari terrieri legati alle forze armate. Come altro si potrebbe definire, se non feudalesimo del XXI secolo?”.
“Ci sono state enormi proteste guidate da agricoltori e contadini, sia nel Punjab sia nel Sindh, contro la Gpi”, continua Khosa. “Migliaia di persone hanno partecipato a queste proteste in tutto il Paese. L’opposizione a questa iniziativa è stata così forte da costringere il governo a sospendere la costruzione dei sei canali in attesa di creare un consenso provinciale su questa questione’’.
L’Indo è la linfa vitale del Paese, sostenendo il 90% della popolazione pakistana e irrigando oltre l’80% delle terre coltivabili.
Secondo i dati del Wwf Pakistan, negli ultimi due secoli il suo Delta ha ridotto il suo flusso del 92%. Le stime prevedono che entro il 2050 un ulteriore 2,79% andrà perso a causa dell’intrusione di acqua marina.
“Piuttosto che espandere l’impronta dell’irrigazione sosteniamo l’ipotesi del miglioramento della produttività dei terreni agricoli esistenti attraverso la genetica avanzata delle sementi, l’irrigazione di precisione e le pratiche agronomiche rigenerative”, dice Sohail Ali Naqvi, direttore della divisione acque dolci del Wwf Pakistan.
Naqvi aggiunge poi che il modello di agricoltura corporativa della Green Pakistan initiative potrebbe avere un impatto notevole sulle comunità locali, dai pastori del deserto del Cholistan ai pescatori lungo il corso dell’Indo: ‘’La comunità del Cholistan dipende fortemente dalle risorse locali, inclusa la terra desertica. La costruzione di questo canale potrebbe indurli a trasferirsi e vedere modificati i loro stili di vita. Anche la deviazione delle acque fluviali per incrementare la produzione agricola potrebbe avere un impatto significativo sulle comunità del Delta dell’Indo’’.
La sospensione del progetto è arrivata in concomitanza con le proteste e la sospensione indiana del Trattato delle Acque dell’Indo. “Gli eventi sono collegati poiché si basano sui timori legittimi di queste comunità, per cui le loro vite dipendono dal sistema idrico di questo fiume e la privazione delle risorse è inaccettabile -dice Aima Khosa-. Esiste una lotta all’interno del quadro interno e costituzionale del Paese, mentre l’altra riguarda il diritto internazionale e la sicurezza nazionale. Il principio rimane lo stesso: le regioni fluviali del Nord non possono privare quelle del Sud del loro diritto all’acqua. Questo vale sia all’interno del Pakistan sia tra India e Pakistan.”
La crisi in corso evidenzia come la gestione delle risorse idriche sia diventata una questione cruciale non solo per l’ambiente e l’economia ma anche per la stabilità regionale e la giustizia sociale. “Un approccio genuinamente decoloniale e democratico deve rifiutare l’attuale modello pakistano imposto dall’alto ed estrattivo. Questo modello non sta funzionando. Anzi, sta aumentando le fratture nel Paese”.
Il governo pakistano dovrebbe bilanciare la modernizzazione con l’accesso equo alle risorse ma la crisi diplomatica ne ostacola il processo. Intanto, la popolazione pakistana lotta per la sopravvivenza in un ambiente sempre più ostile.
In un mondo in cui le risorse idriche stanno diminuendo sempre di più, il conflitto sull’Indo è un segnale di allerta per tutti. Le tensioni tra India e Pakistan per l’acqua potrebbero portare a situazioni simili in altre parti del mondo colpite dal cambiamento climatico. La competizione per l’acqua dell’Indo è in atto e l’esito determinerà il futuro ecologico, sociale ed economico dell’intero Pakistan. Per milioni di persone che dipendono dal fiume per la propria sopravvivenza la posta in gioco è altissima.
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