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Lo scandalo malaria, malattia dei poveri – Ae 62

Numero 62, giugno 2005È la più diffusa sulla Terra, prima causa di morte per i bambini sotto i cinque anni. La terapia per debellarla costerebbe poco più di un dollaro a persona. Ma i soldi non ci sono  L’attacco di…

Tratto da Altreconomia 62 — Giugno 2005

Numero 62, giugno 2005
È la più diffusa sulla Terra, prima causa di morte per i bambini sotto i cinque anni.
La terapia per debellarla costerebbe poco più di un dollaro a persona.
Ma i soldi non ci sono
 
L’attacco di febbre è stato violento e improvviso. A sfiorare i quaranta gradi. Brividi di freddo. Un bagno di sudore. Senso di spossatezza. Temperature da arginare con tachipirina, mi suggeriscono in farmacia. La febbre scende dopo una notte. Risale dopo un’altra giornata, per poi riscendere e crescere di nuovo.
Due guardie mediche esitano: consigliano di continuare con gli antifebbrili. Io provo a ricordare: il mio ultimo viaggio in una zona mala-rica (in America Centrale) è stato quasi un anno prima. Possibile che sia malaria dopo così tanto tempo? Il medico di guardia lo esclude. Solo al settimo giorno di questa altalena di febbre e brutto malessere, al pronto soccorso di un ospedale provano a eseguire uno “striscio” di sangue: è malaria. Di ceppo vivax. Una “terzana” benigna. Non ho corso pericoli seri. Viene curata rapidamente prima con chinino e, poi, con clorochina. Sette giorni di ricovero, ma, come spiacevole eredità, una broncopolmonite. Forse questa complicazione avrebbe potuto essere evitata con una diagnosi più rapida. “E avrebbe dovuto essere semplice -spiega Zeno Bisoffi, primario del Centro malattie tropicali all’ospedale di Negrar, alle porte di Verona-. Solo la malaria, in medicina, ha questo decorso febbrile altalenante. Potremmo regolarci l’orologio sugli attacchi di febbre”. Quando in Italia si parla di malaria, si pensa a Fausto Coppi: il campionissimo muore, nel 1960, per malaria falciparum, la terzana maligna. Il suo collega e amico, il corridore francese Raphael Geminiani, compagno di Coppi in quel viaggio sfortunato in Burkina-Faso, si salvò: la sua malaria venne subito riconosciuta dai medici coloniali francesi e guarita velocemente. “Conosciamo quasi ogni segreto di questa malattia -dice Mario Marsiaj, fondatore del Centro del Negrar, oggi medico in Uganda-. Se diagnosticata e curata in tempo è meno grave di una semplice influenza”.

Questo è lo scandalo della malaria. Io sono un turista occidentale: la mia malattia, anche se in ritardo, è stata curata con efficacia. Il chinino mi è stato gratuitamente fornito da una struttura pubblica. In Italia, nel 2003, si sono contati 640 casi di malaria. I decessi (sempre per un ritardo di diagnosi) si contano sulle dita di una sola mano. I Paesi occidentali hanno debellato la malaria. Ma questa malattia è la più diffusa sulla Terra, la prima causa di morte al mondo fra coloro che non hanno compiuto ancora cinque anni. Nel tempo che impiegherete a leggere questo articolo (meno di dieci minuti) venti bambini africani ne saranno vittima. Un terzo dell’umanità, un centinaio di Paesi (cinquanta su cinquantatré in Africa), ne è colpito. Ogni anno si ammalano da 300 a 500 milioni di persone. Nove su dieci vivono in Africa. E il 90% sono bambini. Le vittime sono oltre un milione (un milione e 124mila, secondo stime approssimative dell’Organizzazione mondiale della sanità): muore un bambino ogni trenta secondi. “In Burkina-Faso, spesso, non si dà un nome ai figli fino ai cinque anni -racconta Andrea Bosman, medico all’Oms, esperto in farmaci antimalarici-. Fino a quando, cioè, non si è sicuri che può sopravvivere”. Donne incinte e bambini sono le categorie più a rischio.
Ogni anno la malaria costa 12 miliardi di dollari alle economie dei Paesi più poveri della Terra: riduce il loro Pil dell’1,3%. In quindici anni, dal 1980 al 1995, un quinto della possibile ricchezza africana è stato divorato dalla malaria. In 35 anni lo sviluppo del continente è stato rallentato del 32%. Un quarto dei bilanci di una famiglia africana con un malato in casa se ne va per le sue cure. Le giornate di lavoro perdute per colpa della malaria, nelle zone rurali, riducono la resa dei terreni agricoli del 40%.  Il 37% dei ricoveri ospedalieri in Zambia sono da malaria (50mila morti ogni anno). In Malawi, la metà delle visite ambulatoriali è per questa malattia, il 40% delle donne incinte ne è afflitta. Il 24% della mortalità ospedaliera in Mozambico è provocata dalla malaria.

“In tutto il mondo sono stati fatti progressi nella lotta a questa malattia -dice Bosman-. In Africa, no. La situazione è stagnante. Anzi: sta peggiorando”. Negli ultimi 12 anni, la mortalità infantile da malaria è raddoppiata in Senegal, nell’Africa orientale e in quella Australe. Nel gennaio del 2004, dalle pagine della rivista Lancet, 13 ricercatori hanno scritto della loro preoccupazione: “Sta fallendo la campagna contro la malaria”. Sta fallendo Roll Back Malaria, iniziativa lanciata dall’Oms nel 1998, per dimezzare la mortalità entro il 2010.
Il plasmodio, l’agente patogeno della malaria, è un killer perfetto e mutante. È stato capace, nei secoli, di sviluppare resistenza sia alle difese naturali dell’uomo che a quelle chimiche.
La malaria colpiva già 8mila anni fa. Ne sono state vittime i Greci come i Romani. Non è solo una malattia tropicale o subtropicale: era diffusa in tutta Europa, le sue epidemie hanno colpito in Lituania come in Germania. In Italia è stata cancellata solo nel dopoguerra: con l’uso del Ddt contro le zanzare e con un controllo severo sui malati.
La malaria, in realtà, insegue la povertà, le guerre, le devastazioni. Ha recrudescenze durante gli anni bui della storia: i Romani riescono a tenerla sotto controllo, ma dopo la caduta del loro impero, la malattia dilaga. Nello sfascio dell’Unione Sovietica, la malaria è riapparsa perfino in Russia. Oggi si temono le conseguenze (la distruzione della rete di presidi sanitari) dello tsunami nel Sud-Est asiatico dove la malattia era ben combattuta.
Stiamo davvero perdendo la battaglia contro la malaria? Eppure negli anni ‘50 l’Oms era certa che questa malattia sarebbe stata sradicata dalla Terra. Com’era successo nei Paesi ricchi, negli Stati Uniti come in Europa: dove investimenti imponenti, bonifiche di paludi, uso del Ddt hanno eliminato il plasmodio. “La malaria è una malattia della povertà -spiega Umberto D’Alessandro, parassitologo dell’Istituto di malattie tropicali di Anversa-. In quasi tutti i Paesi a reddito medio-alto è sotto controllo”.
Solo poco più di un secolo fa si è scoperto il meccanismo (la trasmissione zanzara-uomo del plasmodio) di contagio della malaria. Alla fine degli anni 30, la Bayer mise a punto, come farmaco antimalarico, la clorochina. Efficace, a basso costo. Ma, in meno di mezzo secolo, il plasmodio del ceppo falciparum ha prevalso sulla chimica: è stato più forte di questo farmaco. “Ho visto con i miei occhi, in Uganda, svilupparsi la resistenza alla clorochina -ricorda Mario Marsiaj-. Quaranta anni fa funzionava benissimo. Oggi molto meno”. In Africa, oramai, il falciparum è resistente anche al sulfadoxine-pyrimethamine (conosciuto come Fansidar). Ricerche compiute in Africa Orientale dimostrano l’inefficacia della clorochina nel 64% dei casi trattati. Il sulfadoxine non ha dato risultati nel 45% dei pazienti.
La resistenza ai farmaci (conseguenza di un di-storto e continuo uso in monoterapia di un unico principio attivo), la capacità di mutare del plasmodio, irrisolvibili problemi ecologici (città come Beira in Mozambico o Ouagoudougou in Burkina-Faso sono circondate da paludi) assieme alla incapacità della sanità pubblica mondiale di affrontare il dramma della malaria sono alla base della diffusione di questa malattia. !!pagebreak!!

“In Africa si muore perché non si raggiunge in tempo un ambulatorio -dice Francesco Castelli, direttore della scuola di specializzazione di Medicina tropicale a Brescia-. E, quando ci si arriva, non vi sono farmaci efficaci e i prezzi sono inaccessibili per pazienti poverissimi”. Dal 2001, rapporti dell’Oms suggeriscono l’impiego, in combinazione con altri farmaci, di nuove medicine derivanti dall’artemisina, un principio attivo estratto dall’artemisia annua, una pianta già conosciuta come antifebbrile dalla più antica medicina cinese. “È un rimedio efficace. Da cinque a sette volte più del chinino e privo dei suoi effetti collaterali -spiega Bosman-. In Sudafrica, al confine con il Mozambico, la mortalità è diminuita del 20% grazie all’uso dei derivati dell’artemisina e all’impiego controllato del Ddt”.
Ma i nuovi farmaci costano: da uno a cinque dollari a trattamento per adulto. Contro i sei/tredici centesimi di una cura (inefficace) di clorochina. In Africa si muore di malaria perché manca un dollaro per un farmaco. “Un manovale ugandese per potersi permette l’artimisina deve lavorare almeno cinque giorni”, dice Marsiaj. Nell’ospedale dove lavora, nel Nord del Paese, questi farmaci non ci sono. Troppo cari per l’Uganda.
Oggi, dopo forti pressioni fra ricercatori e resistenze delle burocrazie sanitarie, sono 48 i Paesi che hanno deciso utilizzare terapie combinate con l’artimisina. Trenta sono in Africa. Ma solo otto Stati di questo continente, per la lentezza dei finanziamenti internazionali (vengono erogati con un anno di ritardo) stanno già utilizzando  i nuovi farmaci. In più: l’Oms calcola che, quest’anno, saranno necessarie 132 milioni di dosi di artemisina. 60 milioni sono di Coartem, il nuovo farmaco antimalarico della Novartis, ma le coltivazioni cinesi non saranno capaci di rispondere a questa domanda imponente. I laboratori della multinazionale farmaceutica, secondo stime Oms, saranno in grado, nel 2005, di produrre solo la metà delle dosi necessarie.
E, nel 2006, ne occorreranno almeno 220 milioni. Con un costo di un miliardo di dollari. 
La malaria prospera nell’assenza di risorse per combatterla. Nell’indifferenza delle grandi agenzie di cooperazione e delle istituzioni internazionali. Falliscono anche politiche preventive. Le zanzariere impregnate di insetticida si sono rivelate preziose nella difesa dalle punture delle zanzare. “Grazie a questa protezione, in Gambia la mortalità infantile è crollata del 25%”, rivela Umberto D’Alessandro. Ma una zanzariera costa due, tre dollari. Troppo per una donna africana. Sono prodotte nel Sud dell’Asia, per lo più provengono dal Vietnam: 27 Paesi africani ne tassano l’importazione. “Facciamo studi e ricerche. Le zanzariere vengono distribuite gratuitamente e ne verifichiamo l’efficacia -osserva Zeno Bisoffi-. Ma poi finiscono le sovvenzioni e nessuno può permettersi il prezzo di una zanzariera”. L’attrice Sharon Stone, all’ultimo incontro di Davos, ha commosso la platea chiedendo aiuto per l’acquisto di zanzariere: ha raccolto immediatamente un milione di dollari. Solo da meno di un anno, in Tanzania, una fabbrica di Arusha, ha cominciato a produrre zanzariere impregnate di un insetticida di lunga durata, efficace fino a cinque anni contro i tre mesi delle reti provenienti dall’Asia. Ma è bene sapere che, comunque, stanotte, solo il 2% dei bambini africani dormirà al riparo di una simile protezione.  Solo nelle piccole isole di Sao Tomè e Principe, il 20% dei ragazzi può stare tranquillo sotto una zanzariera. È una percentuale che si azzera in Sudan, Somalia, Uganda, Zimbabwe.
“Nella sfida a questa malattia non ci sono grandi interessi in gioco -ammette Francesco Castelli-. Gli sforzi della ricerca delle case farmaceutiche sono dirottati altrove”. Verso mercati più proficui. La malaria è, davvero, malattia dei poveri.
I gruppi di pressione pubblica sull’Aids sono molto più attivi (il contagio è ben presente nel Nord del mondo) di quelli sulla malaria. Gli Stati del G8 hanno creato, a Genova, nel 2001, un Global Fund internazionale per combattere l’Aids, la tubercolosi e la malaria.
I Paesi ricchi hanno promesso 16 miliardi di dollari. Nelle sue casseforti, al terzo anno di vita, ne sono arrivati appena tre. Meno di un terzo di questa somma è destinato alla malaria. 
Anche la ricerca di un vaccino (impresa di per sé complessa per le caratteristiche del plasmodio) si scontra con risorse insufficienti. Il tentativo più avanzato appare, oggi, quello dei ricercatori dell’Università di Barcellona: in Mozambico, con finanziamenti della GlaxoSmithKline e della fondazione di Bill e Melinda Gates, stanno sperimentando un vaccino capace di avere una copertura del 58%. Incerta rimane la sua efficacia nel tempo. “Una buona profilassi dà maggiori sicurezze -avverte Zeno Bisoffi-. Ma, come il vaccino, è utile solo per i militari o per i turisti. Per chi soggiorna in Paesi malarici per breve tempo. Non per le popolazioni. Senza contare che un vaccino avrà costi inaccessibili agli africani”. La malaria è davvero un killer perfetto. Ma la sua minaccia potrebbe essere messa sotto controllo. Peccato che zanzariere e nuovi farmaci costino poco più di un dollaro.
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Cure indigene e taoiste
Merito degli indios delle foreste latino-americane e dei medici taoisti cinesi. I due principi attivi più efficaci contro la malaria (il chinino, estratto in Sud America dalla corteccia dell’albero della china, e l’artemisina, ricavata, in Cina, dal fusto dell’artemisia annua) derivano da antichi rimedi antifebbrili tradizionali.
In Europa il chinino arrivò con i gesuiti a metà del ‘600.
In cambio, i conquistadores spagnoli contagiarono di malaria gli indios. In Cina, trattati taoisti del quarto secolo già parlano dell’efficacia contro le febbri di una tisana ricavata dalle foglie dell’artemisia. Nel 1972, ricercatori cinesi isolano il principio attivo e vengono messi a punto farmaci derivati dall’artemisina. Solo in questi ultimi anni, vinte diffidenze e scetticismi, questi nuovi medicinali anti-malarici cominciano a essere diffusi. Hanno molti vantaggi: sono più tollerabili del chinino, agiscono più rapidamente (se usati in combinazione con altri farmaci, risolvono la malattia in tre giorni), sono di uso più semplice.
 
In italia tra casi di importazione, zanzare nei bagagli e ritardi nella diagnosi
I casi di malaria in Italia, malattia di “importazione”, sono in discesa. Nel 2000, furono registrati 977 casi. Nel 2003, sono stati 640. “Sono leggermente diminuiti anche lo scorso anno -spiega Roberto Romi, dell’Istituto superiore della sanità-. L’informazione preventiva ha funzionato”. Nel 60% dei casi la malattia colpisce i migranti: africani e asiatici, residenti in Italia, che, tornando per brevi periodi nei loro Paesi, vengono infettati dalle anofele. Il 40%, invece, sono viaggiatori, lavoratori italiani all’estero, soldati, missionari. La mortalità è ridotta. “Tre, quattro casi all’anno -dice ancora Romi-. E tutti per ritardo di diagnosi”.
Negli ultimi 12 anni si sono verificati anche 23 casi di malaria “autoctona”: 12 derivano da trasfusioni di sangue. Dieci sono casi “criptici” (uno dei quali “molto criptico”): non è stata, cioè, individuata la fonte di contagio. Due persone sono state infettate da anofele arrivate con gli aerei: vivevano attorno all’aeroporto di Fiumicino (airport malaria).
Sette sono state sorprese da zanzare sopravvissute nel bagaglio (bagged malaria). Un solo caso, celebre fra i ricercatori, è stato di malaria trasmessa in Italia. È accaduto nel 1997, in Maremma, nelle campagne di Castiglion della Pescaia: “Una bambina indiana era tornata da un periodo nel suo Paese -ricorda Romi-. Ebbe un attacco di febbre alto. Fu diagnosticata un’influenza, ma era malaria. Una zanzara anofele punse la bambina e riuscì a infettare una vicina di casa. Solo dopo un mese di ricovero, si scoprì che la donna aveva contratto la malaria. Battemmo a tappeto tutte le case della zona fino a risalire alla fonte del contagio”.
In Italia sono ancora presenti specie di anofele capaci di trasmettere il plasmodio della malaria da persona a persona.
 
Lo Stivale liberato: l’ultimo caso nel 1962
A fine ottocento un terzo dell’Italia era considerato malarico e cinque milioni di ettari non potevano essere coltivati. Nel 1887, la malaria provocò la morte di 21mila persone. Due milioni di italiani ne erano colpiti ogni anno. Fu un medico francese, Alphonse Laveran, nel 1880, a individuare la presenza di parassiti, i plasmodi, nel sangue di persone affette da malaria. Nel 1885, l’italiano Camillo Golgi, futuro premio Nobel per la medicina, scoprì, nella rottura dei globuli rossi, le ragioni degli attacchi febbrili e l’inglese Ronald Ross, nel 1897, in India, dimostrò che la trasmissione della malaria negli uccelli era colpa della zanzare. Furono altri due italiani, Giovan Battista Grassi e Giuseppe Bastianelli, l’anno dopo, a descrivere il ciclo plasmodio-zanzara-uomo.
Le devastazioni della seconda Guerra Mondiale favorirono la recrudescenza della malaria in Italia: più di 400mila casi nel 1945, una percentuale del 4,5 per cento. L’esercito americano portò il Ddt e, nel 1947, venne varata una campagna massiccia di eradicazione della malaria. Fu un successo: in due anni crollò la morbilità. Già nel 1948 non si registrò più nessun caso di falciparum. Nel 1956, a Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, fu registrato l’ultimo focolaio endemico di malaria.
A Palermo, nel 1962, venne ricoverato l’ultima persona infetta da malattia contratta in Sicilia. Nel 1970, l’Oms incluse l’Italia fra le nazioni libere da malaria.!!pagebreak!!
 
L’orizzonte è senza brevetti
Un nuovo farmaco contro la malaria, che sia semplice da usare e costi meno di un dollaro.
La “Drugs for Neglected Desease Iniziative” (Dndi) è un ente non profit di cui fanno parte anche Medici senza frontiere e l’Organizzazione mondiale della sanità. Si occupa di sviluppare farmaci per le malattie trascurate, quelle malattie (tra queste la malaria) per le quali, pur rappresentando un decimo delle patologie presenti al mondo, le industrie farmaceutiche spendono meno dell’1% dei fondi destinati alla ricerca, orientata più verso il ricco mercato del Nord del mondo che verso quello dei Paesi del Sud. Contro questa tendenza, Dndi ha sviluppato una terapia anti-malarica originale ed efficace, che ha il pregio di imporre meno compresse da ingerire e un costo minore. Con la collaborazione del colosso farmaceutico Sanofi-Aventis, a partire dal 2006 la terapia sarà prodotta e distribuita senza essere coperta da brevetto, a meno di un dollaro per gli adulti e di 50 centesimi per i bambini. Fino a 10 milioni di persone potrebbero beneficiare di questo trattamento ogni anno.
 
Ddt, quando la soluzione è anche un problema

“Dobbiamo distruggere le zanzare, non potete impedirci di usare il Ddt”, ha spiegato Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda, agli esperti del Global Fund, il Fondo Globale per la lotta all’Aids, Tbc e malaria: l’insetticida messo al bando dai Paesi occidentali (entra nella catena alimentare, si accumula nell’ambiente per 12 anni, produce danni alla fauna e si sospettano effetti negativi sul sistema endocrino umano e sulla fertilità) riappare oggi in Africa. Sudafrica, Madagascar, Etiopia e Swaziland hanno ripreso a usarlo contro le anofele. Nella regione del Kwalazulu-Natal e di Ubumbo, gli esperti sudafricani sostengono che, dopo l’uso di Ddt, la morbilità da malaria è crollata del 75% in appena quindici mesi: “È stata una scelta difficile, ma necessaria”, dicono al ministero dell’Ambiente di Pretoria. Anche Kenya, Uganda e Zambia lo stanno reintroducendo. Negli anni ‘50 e ‘60, il dichloro-difenile-trichloretano, insetticida sintetizzato nel 1874, sterminò le zanzare anofele dell’Europa. Poi fu vietato: troppo pericoloso per uomo e animali. “È vero: ne abbiamo fatto un uso smodato. Soprattutto in agricoltura -dice Mario Marsiaj, malariologo italiano-. Ma è altrettanto vero che privarcene in Africa, significa rinunciare a un’arma efficace e a basso costo”. La Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (i Pops) inserisce il Ddt nella “sporca dozzina” dei veleni chimici. L’Oms ne ammette l’uso con deroghe severe: l’insetticida deve essere prodotto e utilizzato solo per la lotta contro le zanzare anofele, può essere impiegato solo polverizzato e in ambienti interni.
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Il plasmodio maligno e l’anofele vettore
Il parassita responsabile della trasmissione della malaria è un protozoo. Vi sono circa 120 specie di plasmodium protozoa, ma solo quattro ceppi colpiscono l’uomo: il vivax e ovale (terzana benigna), il malariae (quartana)  e, unico a rischio mortale, il falciparum (terzana maligna).
Il vettore della malattia è la zanzara anofele. Ve ne sono circa 400 specie, una sessantina “trasportano” il plasmodio da uomo a uomo. La più temuta, in Africa, è l’anofele gambiae: ha una capacità vettrice (l’efficacia della zanzare a trasmettere la malaria) di 10, mentre la labranchiae, presente in Italia (ma da noi non c’è più il parassita), si ferma a 1,5. Solo la anofele femmina trasmette il plasmodio. La zanzara anofele si infetta pungendo e succhiando il sangue (ne ha bisogno per sviluppare le sue uova) di una persona malata nelle cui vene siano presenti le forme sessualmente mature (gametociti) del plasmodio. Queste si riproducono nello stomaco della zanzara (in 10/14 giorni) e invadono le sue ghiandole salivari. L’anofele, pungendo un’altra persona, inietta assieme alla saliva il plasmodio, nella forma di sporozoiti. Con una singola puntura entrano in circolazione nel sangue da cinque a qualche centinaia di agenti infettanti. In poco più di un’ora almeno la metà degli sporozoiti si installa nel fegato dell’uomo. Qui riprendono a moltiplicarsi nelle cellule epatiche. E cambiano ancora una volta forma: diventano merozoiti. In un periodo fra gli 8 e i 30 giorni gli agenti patogeni riprendono il viaggio nel sangue. Infettano i globuli rossi fino a farli scoppiare. Cominciano i classici e violenti attacchi febbrili. La malaria da plasmodio falciparum, se non arginata entro tre giorni, può avere gravi conseguenze: i globuli infetti aderiscono alle pareti dei capillari e possono ostruirli. A rischio organi vitali come il cervello, i reni, i polmoni, il fegato.
 
Qualche consiglio per chi viaggia
Sono 25mila i viaggiatori occidentali che ogni anno vengono infettati dalle anofele, su 125 milioni di persone che si recano in Paesi dove la malaria è endemica. “Solo la metà di chi si reca in questi Paesi è consapevole dei rischi di infezione”, avverte Francesco Castelli, direttore della scuola di specializzazione di Medicina tropicale a Brescia.
La protezione del viaggiatore è affidata ad alcune regole elementari di autodifesa e ad una profilassi adeguata. In Africa (il continente più a rischio), ma anche nel Sud-Est asiatico e in Amazzonia, i plasmodi della malaria sono clorochina-resistenti e quindi è necessario affidarsi, come prevenzione, a farmaci più potenti come la meflochina (Lariam) o l’atovaquone/proguanil (Malarone). Questi antimalarici distruggono, quando sono efficaci, il plasmodio non appena raggiunge i globuli rossi. Ma la meflochina può avere, in persone predisposte, sgradite conseguenze psicotiche o può produrre insonnia. Nessuno di questi farmaci dà una copertura totale: si può arrivare al 70/90% di riduzione di rischio. Può anche succedere che la profilassi prolunghi il tempo di  manifestazione della malattia fino a due/tre anni “falsando” i normali tempi di incubazione (8-30 giorni). In ogni certificato di vaccinazione internazionale (la tessera gialla) viene consigliato, in caso di febbre alta, di avvertire il proprio medico di ogni viaggio compiuto in zona malariche negli ultimi due anni. Per tre anni chi ha viaggiato in Paesi a rischio e ha fatto la profilassi non può donare il proprio sangue. In America Latina (escluso il bacino amazzonico), nei Caraibi e nel Medio Oriente i plasmodi sono ancora sensibili alla clorochina che, in questo caso, rimane il farmaco di prima scelta per la profilassi.

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