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Diritti / Inchiesta

L’Italia “senza riparazione” per le persone vittime di tratta

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Mancano fondi dedicati, l’entità della misura di riparazione è irrisoria e i lunghi procedimenti per ottenerla pesano su chi ha subito il reato. Ma il legislatore, anche quando ha avuto occasione di farlo, non è intervenuto

Tratto da Altreconomia 242 — Novembre 2021

In sette anni l’Italia non ha riconosciuto nessun indennizzo a favore delle vittime di tratta di esseri umani. Da quando, nel 2014, è possibile accedere alla misura di riparazione -secondo i dati forniti dal Dipartimento per le pari opportunità ad Altreconomia– solo una richiesta è stata presentata ma rifiutata per mancanza dei requisiti previsti dalla normativa. La cifra irrisoria di 1.500 euro è svuotata ancor più di significato per le complesse procedure necessarie per ottenerla. “Il ristoro, oltre che inadeguato con riferimento all’importo, risulta accessibile solo a distanza di molti anni dai fatti e all’esito di uno sforzo difensivo considerevole richiesto alla vittima del reato. È un sistema in palese contrasto con la normativa europea”, commenta Ilaria Boiano, avvocata e socia di Differenza donna, Ong impegnata da trent’anni nell’accoglienza delle donne vittime di tratta. Nonostante il quadro descritto, il legislatore italiano, anche quando si è trovato nelle condizioni di poterlo fare, non è mai intervenuto per rimediare all’inefficienza di questo strumento. 

All’interno del pacchetto delle misure anti-tratta adottato nel 2014 dal governo è stato introdotto il diritto all’indennizzo per evitare che la vittima resti senza una forma di riparazione del danno subìto, nei casi in cui l’autore del reato non possa garantire un risarcimento. Viene riconosciuta una somma pari a 1.500 euro “detratte le somme erogate alle vittime, a qualunque titolo, da soggetti pubblici” e “nei limiti della disponibilità del Fondo per le misure anti-tratta”. Oltre alla sentenza di condanna definitiva o all’archiviazione del procedimento penale, per aver accesso al Fondo la vittima deve dimostrare di aver tentato di ottenere il risarcimento del danno attraverso tutte le azioni civili possibili. “Si comprende come il sistema sia inadeguato -continua Boiano-. Non solo per l’entità dell’importo ma anche perché è subordinato all’avvio di un procedimento penale che esclude la maggior parte delle vittime di tratta che oggi, sempre meno, accedono alla giustizia penale e sono riconosciute tali nell’ambito dei procedimenti di invio agli enti anti-tratta attivati di fronte alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale”. 

L’ordinamento italiano non si è mai contraddistinto per l’attenzione al tema degli indennizzi a favore delle vittime di reati violenti. Solo due anni dopo l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti del governo italiano, arrivata in seguito a diverse sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, la legge 122 del 23 luglio 2016 ha previsto un “Fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti”. Proprio in quest’ultima categoria sarebbero dovute rientrare le vittime di tratta e sfruttamento. Così non è stato.

“Il legislatore ha dettagliato le condotte che possono permettere di accedere al Fondo: l’omicidio, la violenza sessuale, le lesioni personali ma non la tratta -aggiunge Boiano-. Le vittime di questo reato sono rimaste scoperte da tale previsione, se non per una minima parte legata a eventuali spese sanitarie ‘recuperabili’ con la possibilità di accedere solo all’indennizzo previsto dalla normativa precedente”. Nonostante l’istituzione del Fondo, gli indennizzi previsti per i reati violenti erano bassissimi: nel 2017 l’importo assicurato dalla giustizia italiana a una vittima di violenza sessuale era di appena 4.800 euro. È intervenuta di nuovo la Corte di giustizia dell’Ue per adeguare gli importi: oggi, dopo un decreto interministeriale adottato il 22 novembre 2019, sono previsti 50mila euro per gli eredi nel caso di omicidio, 60mila per i figli delle vittime di omicidio commesso dal coniuge, 25mila euro per violenza sessuale, lesioni gravissime e deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso.

“Serve rimettere al centro i diritti e i bisogni delle persone: lo sfruttamento è una questione sociale prima che criminale” – Letizia Palumbo

Queste cifre rendono ancora più distanti i 1.500 euro riconosciuti -sulla carta- alle vittime di tratta. “L’esiguità dell’importo, meramente simbolico, si inserisce in un contesto più generale in cui la tutela delle vittime è considerata in un’ottica assistenzialista e paternalistica che non tiene conto dei bisogni sociali ed economici delle persone soggette a sfruttamento o tratta -commenta ad Altreconomia Letizia Palumbo, ricercatrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia-. Occorre abbandonare questa prospettiva e promuovere strumenti che sostengano percorsi di empowerment e inclusione sociale rispondendo alle diverse esigenze delle persone sfruttate e alle loro richieste di autonomia dal punto di vista socio-lavorativo in un’ottica di lungo periodo”. Anche l’accesso ancorato al procedimento penale è problematico. “La tratta e il grave sfruttamento continuano a essere affrontati come una questione prevalentemente criminale -sottolinea Palumbo-. Serve rimettere al centro i diritti e i bisogni delle persone: lo sfruttamento è una questione sociale prima che criminale. Indebolire gli strumenti che accompagnano le persone verso l’autonomia significa sbagliare la prospettiva da cui si guarda il fenomeno”. 

Non solo. La necessità di avviare un procedimento penale è in contrasto con la direttiva dell’Unione europea 29 del 2012 in cui è stabilito che “una persona dovrebbe essere considerata vittima indipendentemente dal fatto che l’autore del reato sia identificato, catturato, perseguito o condannato”. Una definizione di “vittima di reato” slegata dall’accertamento giudiziario già in parte presente nell’ordinamento italiano. “All’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione, il legislatore ha previsto che la vittima di tratta potesse accedere a un permesso di soggiorno a prescindere dalla collaborazione giudiziaria -spiega Boiano-. Proprio perché la denuncia non è un atto che si può pretendere nei confronti di vittime di reati così gravi, meritevoli a priori di protezione massima e misure di riparazione”.

L’obiettivo è proporre un caso pilota per contestare “la non equità e l’inadeguatezza degli importi, l’assenza di fondi dedicati e la legittimità di un sistema di indennizzo accessibile solo in seguito di un procedimento penale”. Il futuro dell’indennizzo destinato alle vittime di tratta resta appeso all’azione della Corte di giustizia dell’Ue. A “colpi” di sentenze, il legislatore italiano sarà obbligato a intervenire. Nuovamente, fuori tempo massimo. 

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