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Ambiente

L’Italia ferma nella “lotta” all’imballaggio

Nel Regno Unito, l’over-packaging è un reato, nel nostro Paese si risolve incenerendo i rifiuti

Sainsbury’s, una delle più diffuse catene della grande distribuzione nel Regno Unito, è stata citata in giudizio per un packaging considerato eccessivo (leggi l’articolo sotto). Abbiamo così cercato di capire cosa si muove in Italia sullo stesso fronte.

In Italia, come nella maggior parte dei Paesi europei, la produzione di imballaggi è in continua crescita. Nel 2007 (ultimo dato disponibile), i rifiuti da imballaggio (acciaio, alluminio, vetro, legno, carta, plastica) hanno toccato i 212 chilogrammi  pro-capite, più 27,7% negli ultimi dieci anni. Ma dove va a finire questa gigantesca mole di materiale, gettata poco dopo l’acquisto?
La normativa europea incoraggia la prevenzione e il recupero degli imballaggi usati (il documento sul riciclo COM 301 del 2003 e le direttive 94/62/CE e 2008/98/CE), ma con un aspetto controverso: tra le misure di recupero di questi materiali è compreso anche l’invio all’inceneritore. In pratica, è sufficiente che i rifiuti da imballaggio siano bruciati in impianti che producano energia perché possano concorrere a raggiungere gli obiettivi di recupero previsti dalla legge.
Alla gestione e supervisione del ciclo degli imballaggi è deputato -dal 1997, quando il Decreto Ronchi (il n. 22 del ’97) ha convertito in legge la normativa europea- il Conai (Consorzio nazionale imballaggi), un sistema di sei consorzi (uno per tipologia di materiale) composto dalle aziende produttrici e utilizzatrici di imballaggi, che coordina le attività di recupero e riciclaggio collaborando con gli enti locali. I termini di questa collaborazione sono definiti da un Accordo di programma quadro nazionale tra il Conai e l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani). Tale accordo prevede che il primo recuperi i rifiuti da imballaggio provenienti dalla raccolta differenziata dei comuni, che costituisce la fonte primaria di materiale. 

Il successivo decreto legislativo 152/2006 (“Testo unico dell’ambiente”) prevede che il Conai, ai fini di programmare il lavoro di gestione, pubblichi annualmente un “Programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi”, nel quale vanno fissate le linee di intervento idonee al raggiungimento degli obiettivi indicati dall’Accordo di programma nazionale. Inoltre, ai fini del controllo periodico dell’operato del Consorzio, la legge 152/2006 prevede la redazione di un Rapporto sui rifiuti da parte dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e servizi tecnici (l’ex Apat, oggi Ispra) in collaborazione con l’Osservatorio nazionale sui rifiuti (Onr).
Nell’Accordo di programma nazionale del 2009, il Conai sostiene, a proposito della prevenzione, che “la strategia di prevenzione che abbiamo da anni intrapreso risulta in linea con le nuove indicazioni comunitarie (…) con l’obiettivo di ridurre il ricorso alle materie prime, per limitare l’impatto ambientale”. Non si direbbe, dal momento che secondo un rapporto EEA (European Environment Agency), l’Italia nel 2007 ha registrato una produzione di 212 chilogrammi di rifiuti da imballaggio pro-capite, quantità che nell’arco di dieci anni è aumentata del 27,7%. Tonnellate di rifiuti che vanno ad aggiungersi ai prodotti che consumiamo semplicemente in quanto “involucro”, confezione che viene gettata immediatamente dopo l’acquisto.
L’ultimo Rapporto sui rifiuti dell’Ispra è quello pubblicato nel 2009, e riporta i dati Conai fino al 2007, quando gli obiettivi di riciclo erano ancora regolati dalla direttiva comunitaria 2004/12/CE. La quantità di imballaggi prodotti e immessi al consumo per il 2007 è di 12,37 milioni di tonnellate. Solo 8,4 milioni di tonnellate sono stati recuperati: 7,1 milioni attraverso il riciclo e 1,26 milioni tramite “recupero energetico” o incenerimento. Complessivamente, dunque, la parte di imballaggio recuperata corrisponde al 68% di quella prodotta per il consumo, “superando l’obiettivo del 60% previsto entro fine 2008”, commenta il rapporto. Peccato che il 10,2% di questa quota più che è stata incenerita, spostando l’asta del recupero vero e proprio sotto il 60%, e che l’obiettivo nazionale non sia stato raggiunto in maniera uniforme su tutto il territorio, con carenze soprattutto nel sud Italia.

La fotografia della situazione italiana non è rosea: da un lato, evidenzia l’immissione nel mercato di un quantitativo di imballaggi sempre crescente, che contraddice di fatto la normativa europea sulla prevenzione; dall’altro, una una parte di tali imballaggi sono “recuperati” in quanto “inceneriti”, anche se riduzione e recupero dei rifiuti non concorrono certo al raggiungimento di un minore impatto ambientale.  

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La catena di supermercati Sainsbury’s, al terzo posto nella classifica dei distributori alimentari nel Regno Unito, è stata citata in giudizio per imballaggio eccessivo (over-packaging). È la prima volta che un “big” della distribuzione alimentare viene portato di fronte ad una corte per rispondere all’appello di un consumatore.
Le autorità del Lincolnshire, deputate a controllare il rispetto dei “trading standards” -istituti tramite un regolamento del 2003-, hanno recentemente avviato un’indagine nei confronti di un prodotto della linea “Taste the Difference”, di proprietà del supermercato, precisamente una partita di carni arrostite. L’imballaggio è stato giudicato eccessivo, in quanto costituito da un doppio involucro di plastica e cartone che “non si limita al minimo indispensabile per garantire un livello accettabile di sicurezza, igiene e presentabilità”.
Sainsbury’s dovrà rispondere di fronte al Linconlshire Country Council per violazione della direttiva europea che proibisce l’imballaggio eccessivo dei prodotti (la 94/62/CE); la sanzione prevista è misera e potrà variare dalle 500 e le 3000 sterline. Peter Heafield, responsabile del rispetto degli standard commerciali al Lincolnshire County Council, ha spiegato al quotidiano inglese Telegraph che “l’imballaggio eccessivo può causare un danno ambientale non necessario, oltre che aumentare i costi associati al riciclaggio e deposito in discarica”, e che “abbiamo il dovere di rafforzare i regolamenti e richiamare le aziende per ridurre gli imballaggi dei prodotti”.
La citazione in giudizio è stata notificata il 17 settembre, proprio in corrispondenza di un annuncio di segno opposto da parte della società: sostituire alle classiche scatole di cereali in cartone con delle buste di plastica, in grado di ridurre i costi di produzione e lo spazio occupato dalle confezioni, con ripercussioni ambientali positive anche nella riduzione della CO2 prodotta dai camion per il trasporto. Un risparmio di 175 tonnellate l’anno, che però -visto l’impiego di plastica anziché cartone- sembra rispondere ad esigenze di risparmio economico dell’azienda più che all’impatto ambientale dei materiali impiegati.
L’accusa di fronte al Lincolnshire County Council è stata accolta con grande stupore da parte di Sainsbury, una delle 40 società, tra produttori e distributori, ad aver sottoscritto nel 2005 un accordo volontario -e dunque non vincolante- con il Wrap (Waste & Resources Action Program) al fine di ridurre imballaggi e scarti da cibo.
La prima fase del programma realizzato dal Wrap si è conclusa il 3 marzo 2010 con un rapporto di monitoraggio di diverse aziende, in cui Sainsbury e la sua linea di prodotti “Taste the Difference” -la stessa del prodotto oggetto dell’accusa- sono citati come esempi di impegno ambientale. “Le conclusioni del County Council non riflettono i risultati del recente incontro con il Lincolnshire packaging team. L’imballaggio del prodotto di carne sotto accusa è stato ridotto del 53% da febbraio, e si prevede un’ulteriore riduzione del 10% nei prossimi mesi”, sostiene un portavoce del supermercato nell’articolo pubblicato dal Telegraph.
Sottoscrivere accordi non vincolanti e sostituire alle confezioni di cartone le “più pratiche” buste di plastica evidentemente non basta per fare di Sainsbury’s un esempio di virtuosismo in materia di imballaggio. Il Regno Unito, secondo un rapporto EEA (European Environment Agency) del 2009, ha prodotto nel 2007 ben 174 chilogrammi di rifiuti da imballaggio pro-capite, mantenendo una media piuttosto stabile rispetto al 1997 -anno in cui gli imballaggi per cittadino erano 171 kg-.
L’Italia presenta per molti versi una situazione peggiore: non solo i rifiuti da imballaggio pro-capite sono maggiori (212 kg), ma nell’arco di dieci anni sono aumentati del 27,7%.

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