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Ambiente

L’Italia è nuda di fronte al cemento

"Se picchi emotivi di rabbia indignata non lasciano spazio alla rassegnazione, c’è ancora spazio per resistere alla devastazione del territorio". In occasione del #digiunoperlambiente promosso il 28 e 29 settembre da numerosi comitati veneti contro Grandi opere e Project Financing, Ae intervista Francesco Vallerani, geografo dell’Università Ca’ Foscari e autore di "Italia desnuda. Percorsi di resistenza nel Paese del cemento"

“L’Italia sarà sempre più desnuda se, dopo i picchi emotivi di rabbia indignata, il disagio di vivere tra i cannibali del paesaggio si tramuterà in rassegnazione” scrive Francesco Vallerani presentando il suo libro, “Italia desnuda. Percorsi di resistenza nel Paese del cemento” (Edizioni Unicopli, 2013).
Vallerani, che insegna Geografia all’Università Ca’ Foscari-Venezia, è veneto, ed il Veneto -un paesaggio che ha subito negli ultimi decenni eccessive trasformazioni- è l’ambito privilegiato dei suoi studi.

E poiché i processi di cementificazione non paiono destinati a fermarsi, il 28 e 29 settembre numerosi comitati veneti (cittadini che non si rassegnano, e coltivano la propria indignazione) hanno scelto di lanciare un messaggio contro le grandi opere, digiunando contro “la devastazione del territorio”. È un #digiunoperlambiente che -secondo Vallerani- rappresenta “una strategia valida per tenere alta l’attenzione sulla necessità assoluta di salvare il salvabile, e bloccare una volta per tutte la corsa folle verso l’accaparramento di ciò che ancora resta di preziose risorse territoriali”. 

Nel tuo libro, evidenzi il rischio di "noncuranza", "assuefazione", di una "indifferenza che placa i disagi" di questa invasione del cemento. In che modo il "digiuno a staffetta" -promosso al termine dell’iniziativa "solitaria" di Don Albino Bizzotto– rompe questo  stato di cose? Che effetto può avere?
Noncuranza è figlia dell’indifferenza, che va di pari passo con la superficialità con cui si affronta ogni aspetto della vita quotidiana, accontentandosi di spiegazioni semplificate e senza alcun interesse per un percorso esistenziale consapevole. Questo è uno dei frutti velenosi diffusi ampiamente nei decenni di videocrazia in cui siamo immersi, regime che senza manganelli e olio di ricino ha distratto e addormentato le coscienze, lasciando ampio spazio a una progressiva erosione e impoverimento delle regole necessarie alla convivenza civile. L’invasione del cemento, con tutte le sue devastanti tipologie, è uno degli esiti più appariscenti di questo elogio delle strategie per l’arricchimento individuale. Le conseguenze del disastro sono di fronte agli occhi di tutti e la politica, tenuta in scacco dagli immensi interessi immobiliari e delle grandi opere, si è rivelata incapace di governare l’evolversi della territorialità.
Se le leggi non servono, poiché trionfa il meccanismo delle deroghe e degli abusi, non restano che le azioni di elevato valore evocativo e simbolico, come la straordinaria scelta del digiuno di Don Albino, quanto mai opportuno e benefico sasso lanciato nel maleodorante e torbido stagno dell’indifferenza pubblica e privata. Dopo la risonanza mediatica del singolo fatto, fa piacere notare la reazione dei cittadini di buona volontà che nonostante tutto riescono a sopravvivere in una regione come il Veneto. L’indignazione e il disagio che ho potuto rilevare è causato non solo dalla colpevole latitanza delle istituzioni -che non hanno vigilato sul pregio di importanza globale dell’ex paesaggio palladiano, consegnandolo ai posteri sotto forma di una sgangherata accozzaglia di obbrobri edilizi, con inoltre aria e acque seriamente contaminate-, ma anche dai nuovi scenari previsti in un immediato futuro, fatto di nuove infrastrutture viarie, nuove e pervasive edificabilità, contaminazione definitiva dei paesaggi più attrattivi.

Per quale motivo, a tuo avviso, il Veneto -che è stato un esempio di urbanesimo per il nostro Paese- è diventato oggi un paradiso per capannoni? Perché sta accadendo questo, intorno ai centri storici e alle Ville palladiane, che sono un Patrimonio dell’umanità Unesco?
In Veneto le popolazioni hanno trovato, fin dai tempi della colonizzazione romana (basti pensare alla intensa distribuzione di agri centuriati, ancora oggi facilmente visibili tra Padova, Treviso e Mestre) ottime condizioni ambientali per un vantaggioso insediamento, per lo più collegate alla fertilità dei suoli, all’abbondanza di acque, sia per l’irrigazione che per i trasporti verso il litorale, e di boschi.
Inoltre, la distribuzione sparsa delle abitazioni, raramente aggregatesi in villaggi compatti, si consolida in età medievale con una fitta distribuzione di pievi rurali, attorno a cui si aggregano le prime unità di villaggio. Queste costituiscono una fitta rete di relazioni legate al mondo rurale, da cui emergono numerose polarità di importanza strategica -soprattutto nel periodo di frequenti conflitti tra i liberi comuni di Verona, Vicenza, Padova e Treviso-.
Centri che sono ancora oggi delimitati da importanti cinta murarie (Cittadella, Montagnana, Soave, Este etc.). 
L’eredità storica di case sparse e città murate sono simboli tuttora indelebili di spiccato individualismo e di chiusura contro l’altro, per cui fin dalle origini prevale il proprio tornaconto o quello di una comunità ristretta rispetto al bene comune. Il mancato rispetto dei contesti attorno ai centri storici e alla maggior parte delle ville di età veneta ha inoltre a che fare con le condizioni di profonda miseria e ignoranza, e soprattutto con le politiche nazionali che non sono riuscite a capire che l’emergenza del primo dopoguerra si era esaurita alla fine degli anni ’50, anche tra gli ex poveri emigranti veneti.
È mancata una guida urbanistica, ma soprattutto etica, con gravi responsabilità anche da parte della Chiesa, che non ha per nulla rallentato la china rovinosa verso l’insaziabile rincorsa al benavere, travolgendo ogni valore e sacralità del creato, deviando invece verso la nuova religione del denaro e del successo economico. Ecco perché è perfetta la definizione di “paradiso per capannoni”.
 
In "Italia desnuda" evidenzi come, da Calvino a Settis, il mondo della cultura abbia avuto un ruolo fondamentale nel descrivere il paesaggio e le sue trasformazioni a partire dagli anni Cinquanta. Se è vero che Antonio Cederna riuscì a far istituire il Parco dell’Appia antica, per quale motivo credi che oggi l’effetto congiunto di indignazione intellettuale ed "azione popolare" non producano gli stessi effetti?
Il caso di Cederna  e del parco dell’Appia Antica è più unico che raro: tutte le altre voci che si sono levate  in difesa del paesaggio italiano tra gli anni ’50 e ‘60 hanno avuto poco esito, salvo il caso della legge di tutela dei Colli Euganei, nel 1971, che ha bloccato il prelievo di trachite dagli splendidi poggi amati e descritti da Petrarca, Foscolo, Byron e Shelley.
Oggi l’indignazione intellettuale è senza dubbio molto più diffusa, ma per incidere sull’opinione pubblica e smuovere i responsabili politici per un tempo poco più lungo di uno spot pubblicitario (è questa ormai l’unità di misura per valutare il livello di attenzione, in quest’epoca di superficialità liquida), è necessario l’intervento del personaggio molto esposto nelle reti televisive, di abilità oratoria, dotato di qualità telegenica, dunque un tipico esemplare da talk show.
Il contributo delle centinaia di altri prestigiosi intellettuali che per fortuna ancora operano in questo sciagurato Paese rimane relegato in qualche aula universitaria, nelle riunioni di comitati, in qualche libro o articolo di modesta tiratura, quasi mai recensiti dagli organi di stampa (anche i cosiddetti progressisti e democratici).
Non resta che l’azione popolare, ma anche qui bisogna essere rumorosi (non violenti), elaborare strategie insolite, come nel caso (di enorme efficacia mediatica a livello globale) dei coraggiosi che a nuoto si sono messi di traverso alle grandi navi nel canale della Giudecca a Venezia.
Ricordo con nostalgia il generoso contributo dato da Andrea Zanzotto alla battaglia per la difesa del paesaggio veneto, producendo larga condivisione. Tale successo è stato addirittura avvallato dai vertici della regione, garantendo con retorica solennità la tanto auspicata inversione di tendenza. Le solite parole senza seguito, effimera condivisione che però mai hanno avuto seguito concreto: anche oggi il viaggio nell’entroterra di Venezia consente di riempire un ancora troppo spesso quaderno di doglianze.

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