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Ambiente / Opinioni

L’Italia del riutilizzo

I dati raccolti nel quinto rapporto nazionale sul settore descrivono centinaia di migliaia di tonnellate di beni e oggetti recuperate e sottratte ai rifiuti, e 80mila persone impegnate in queste attività. Realizzato dal Centro di ricerca economica e sociale dell’Occhio del riciclone, il documento analizza i limiti normativi e fiscali che limitano lo sviluppo di attività imprenditoriali legate all’usato. Un commento di Pietro Luppi, che firma un intervento anche su "Zero rifiuti"

Se volessimo rappresentare in una fotografia l’Italia del riutilizzo, vedremmo centinaia di migliaia di tonnellate di beni e oggetti recuperate e sottratte ai rifiuti grazie al lavoro, spesso informale, di circa 80.000 persone impegnate nel commercio ambulante, nelle fiere, nei mercati e mercatini, nei negozi in conto terzi, in cooperative ed enti di solidarietà. Il 25 novembre, questo “Paese sommerso” è stata al centro di un convegno, promosso da Federambiente, Legambiente, Occhio del riciclone e Rete Onu, nel corso del quale è stato presentato il V Rapporto nazionale sul riutilizzo, realizzato dal Centro di ricerca economica e sociale dell’Occhio del riciclone con il patrocinio del ministero dell’Ambiente.

Quest’anno il Rapporto si intitola “L’usato prende forma”, e ha come immagine di copertina un bozzetto di Leonardo da Vinci sul processo di conformazione dei feti. Effettivamente il settore del riutilizzo sta crescendo, la legge evolve, e le sempre più numerose e significative sperimentazioni sulla preparazione per il riutilizzo stanno riducendo i margini di improvvisazione per le pubbliche amministrazioni che intendono affrontare seriamente il tema.
Oggi più che mai è possibile intravedere i contorni dell’agognata “filiera del futuro”, ma ancora nessuno sa realmente che forma prenderà.

Il Rapporto offre le tracce più aggiornate (a volte contraddittorie, perchè frutto di diversi punti di vista) per stimolare valutazioni non superficiali da parte di chi è chiamato a costruire schemi di riutilizzo sul proprio territorio. Servono economie di scala, norme certe, schemi operativi e di negoziazione. Ma serve, soprattutto, interrompere la dilapidazione di fondi per finanziare iniziative che non hanno nessun impatto positivo sull’ambiente. La situazione però non è ottimale: il percorso è pieno di ostacoli, primo fra tutti il regime di esclusione normativa che soffrono gli operatori del riutilizzo. “Le attività dell’usato non possono vivere nel cono d’ombra nel quale oggi sono relegate” ha detto durante l’evento il portavoce nazionale degli operatori dell’usato, Antonio Conti. Paradossalmente, chi fa riutilizzo professionalmente continua a sopportare trattamenti fiscali peggiori di chi opera nel nuovo. Gli ambulanti dell’usato, dal canto loro, non riescono a trovare spazi per lavorare al di fuori dell’abusivismo totale o parziale.

Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, ha fatto un appello perchè vengano messe “a sistema tutte le esperienze nate in questi anni nel nostro Paese e fare un ‘pacchetto di mischia’ che spinga il legislatore nazionale e regionale a garantire un percorso semplificato a queste attività che da una parte riducono i rifiuti e dall’altra alimentano economie sociali”. Il presidente di Federambiente, Filippo Brandolini, ha invece riconosciuto che “un’effettiva ed efficace realizzazione di iniziative per il riutilizzo consente di rendere più efficiente la gestione dell’intero ciclo integrato dei rifiuti. A trarre vantaggio da un’ampia diffusione di queste pratiche sul territorio, soprattutto se abbinate a corretti meccanismi d’individuazione di una tariffa commisurata a quantità e qualità dei rifiuti conferiti, sono tutti: i cittadini, le imprese, l’ambiente”.

* Pietro Luppi è direttore del Centro di ricerca economica e sociale dell’Occhio del riciclone

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