Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente

L’invasione degli ultraporti

Si moltiplicano in Italia i progetti di porti turistici. Sono un pretesto per nuovi insediamenti immobiliari, e spesso recano con sé problemi ambientali Il “Porto degli Argonauti” è come un’astronave calata da un altro pianeta sul Mar Jonio. Basta guardarla…

Tratto da Altreconomia 116 — Maggio 2010

Si moltiplicano in Italia i progetti di porti turistici. Sono un pretesto per nuovi insediamenti immobiliari, e spesso recano con sé problemi ambientali

Il “Porto degli Argonauti” è come un’astronave calata da un altro pianeta sul Mar Jonio.
Basta guardarla nella foto qui sotto per rendersi conto che, in questa struttura, niente sembra naturale: il porto, con l’annesso resort, occupa 92 ettari e le barche sono accolte in un “canale” scavato per 700 metri all’interno della terraferma.
Gli Argonauti sono, per natura, diversi rispetto alla costa del metapontino, in provincia di Matera, che è per lo più selvaggia -la macchia mediterranea accarezza la sabbia, e arriva fin quasi al mare- e con poche infrastrutture turistiche. Dentro il porto, 450 ormeggi possono ospitare imbarcazioni lunghe fino a ventotto metri. Il problema, però, è nascosto dietro le barche, dove trovano posto un hotel con una piscina da 6mila metri quadri, ville e appartamenti, case vacanza, la ricostruzione di un “borgo”. “L’investimento è stato pensato nel suo insieme fin dall’inizio, alla metà degli anni Ottanta” spiega l’ingegner Antonio De Nicolò, consigliere di amministrazione di Nettis Resort, la società pugliese che ha ideato il progetto e gestisce la struttura. Gli Argonauti sono realizzati sul modello di nuovo porto turistico italiano: le barche restano ferme, i diportisti nuotano in piscina e a servizio dei posti barca c’è una colata di cemento a ridosso della costa. È lo stesso che incontriamo anche a Fiumicino (Roma) e nei porti della rete di Italia Navigando, di cui parliamo nelle pagine che seguono. È il modello che troviamo nelle parole del ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, secondo il quale il nostro Paese ha bisogno di un centinaio di porti turistici con annessi servizi. Un modo come un altro per continuare a costruire, senza prestare attenzione al consumo del suolo.
In più, i bracci a mare di questi porti “non naturali” non sono a impatto zero: quelli degli Argonauti, lunghi circa 250 metri, frenano le correnti e i sedimenti. E hanno acuito un problema di erosione della spiaggia che qui, alla foce del fiume Basento, che segna il confine tra i territori del comune di Pisticci (all’interno del quale si è sviluppato il porto) e Bernalda, esiste già dagli anni 50.
Per questo, a febbraio, gli operatori turistici di Metaponto (frazione di Bernalda) hanno occupato il municipio. Ogni anno perdono metri di spiaggia, che loro misurano in file di ombrelloni: dove prima ce ne stavano dieci, oggi c’è posto solo per cinque, o due. Leonardo Chiruzzi è il neoeletto sindaco di Bernalda, ma era vice quando venne autorizzata la costruzione del porto, nel 2004. “L’erosione c’era già, la realizzazione dei bracci a mare degli Argonauti ha solo aumentato le criticità sul territorio”, spiega nel suo ufficio, in un bel palazzo nel centro storico della cittadina. Plana diretto sul problema che ha incontrato in campagna elettorale: “Abbiamo chiesto la realizzazione di sistemi di tutela, e il ‘ripascimento’ delle coste, anche usando la sabbia ricavata dal dragaggio del porto canale degli Argonauti”. Lo scorso anno la Regione ha speso 2 milioni di euro. Davanti al borgo di Metaponto Lido, vediamo le ruspe in mare: spostano grandi massi, cercando di frenare il potere erosivo delle onde. È un palliativo: prima, la costruzione di dighe a monte ha limitato l’apporto di sedimenti dei cinque fiumi che sboccano nello Jonio lucano; poi il prelievo forsennato di materiale per costruzioni ha fatto il resto. I bracci a mare degli Argonauti sono solo la ciliegina sulla torta: ci sono delle simulazioni che lo dimostrano, anche se per rendersene conto basta “visitare”, come abbiamo fatto, la spiaggia a monte e a valle del porto, misurando con gli occhi la differenza. Verso Est, la spiaggia di Metaponto è molto più indietro. Nicola Laviola, di Nettis Resort, mi fa notare invece che quella del loro resort (lato Pisticci) cresce di qualche metro ogni anno, cosa che fa comodo, perché su quel lato ospitano ombrelloni e sdraio.  
Il sindaco Chiruzzi spiega di voler chiedere alla Regione di inserire in Finanziaria regionale un capitolo di spesa, ogni anno, per il ripascimento delle costa. Gianni Palumbo, che per la Lipu è stato animatore, a partire dalla fine degli anni Novanta del “Comitato contro la cementificazione delle Costa Jonica”, lo definisce “il capitolo degli sconfitti”. Al privato, Nettis Resort, vanno i guadagni (l’affitto di un posto barca per un anno costa dai 1.770 euro ai 9.200; l’acquisto dai 29.300 ai 156mila; il valore degli immobili “di servizio” è triplicato dopo la costruzione del porto), mentre i costi ricadono sulla collettività.
Il “Porto degli Argonauti” è stato inaugurato nell’ottobre del 2009, anche se una delle due banchine non è ancora completa e le gru segnalano lavori ancora in corso anche al resort. È costato una trentina di milioni di euro, almeno 6 dei quali arrivati a fondo perduto con un finanziamento del Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica). È il secondo lungo la Costa Jonica lucana: in 35 chilometri ci sono ben due porti, l’altro è quello di “Marinagri”, nel territorio del comune di Policoro (Mt).
Due porti costruiti dove non avrebbe potuto nascerne nemmeno uno. Sì, perché per dare il là ai cantieri c’è voluta una variante al Piano paesistico del metapontino, deliberata della Giunta regionale nel luglio del 2003. “Ci hanno messo solo sei mesi a modificare il Piano -spiega Palumbo-. I due porti sono stati costruiti all’interno di zone Sic, Siti d’interesse comunitario, alle foci dei fiumi Basento e Agri. La scelta non è stata condivisa con il territorio”. In Regione, non c’è stata opposizione. Il progetto era sostenuto da Filippo Bubbico, presidente della Basilicata e oggi senatore del Pd, che è stato anche sottosegretario per lo Sviluppo economico nell’ultimo governo Prodi. Un documento di “Osservazioni” alla variante è stato redatto, invece, da “Città ideale”, un’associazione che riunisce professionisti tecnici del territorio di Bernalda e Metaponto. Il presidente Gianni Antenore mi accoglie nella penombra del suo studio, sul corso di Bernalda, e rincara la dose. M’invita a leggere il documento, indirizzato alla Regione Basilicata e al ministero dell’Ambiente: “È acclarato che il porto sul Basento (il Porto degli Argonauti, ndr) finirebbe per sovvertire l’equilibrio ambientale di un habitat particolarmente caratteristico e delicato, con impatti pregiudizievole ed effetti distruttivi irreversibili”. E cita i motivi per cui il Piano paesistico pre-variante non permetteva la costruzioni di porti: un ambiente naturale di “eccezionale valore naturalistico ed ecologico”, un ambiente palustre in riva sinistra definito “suggestivo elemento di diversificazione e di elevata naturalità”. “La giunta comunale di Bernalda non ha fatto nemmeno opposizione formale -racconta Antenore-. Ha inviato solo una lettera”. Anche per questo a fine di febbraio è nato un “Comitato per la difesa di Metaponto-Sos Costa Jonica” (http://soscostaionica.jimdo.com).

Attracco bipartisan
Il nuovo porto turistico di Roma ha la firma di Caltagirone

La prima scena dell’opera “nuovo porto turistico di Roma” è andata in onda il 4 febbraio scorso a Fiumicino. Alla sfilata davanti al Mar Tirreno, alla foce del fiume Tevere, si sono presentati governo e opposizione: il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, le due candidate alla presidente della Regione Lazio Renata Polverini ed Emma Bonino, il presidente Pd della provincia di Roma Nicola Zingaretti. A fare gli onori di casa c’era Francesco Bellavista Caltagirone, l’azionista di riferimento di Iniziative portuali srl (Ip), la società concessionaria del porto turistico: Caltagirone è presidente di “Acqua pia antica marcia”, l’immobiliare incaricata di realizzare l’intervento, ribattezzato “Porto della Concordia”, per un investimento complessivo di oltre 300 milioni di euro.
L’azionista di minoranza di Ip, con il 30 per cento, è invece la società pubblica Italia Navigando (vedi articolo a p. 17), che -ci ha spiegato il presidente, Ernesto Abaterusso-, “si è impegnata per ottenere la concessione, mentre uno dei soci privati (Caltagirone, appunto, ndr) ha avuto un incarico di general contractor. Italia Navigando curerà la gestione delle opere a mare”. Sì, perché oltre ai 1.445 posti per barche da 10 a 60 metri nelle 4 darsene principali, davanti a Fiumicino troveranno posto anche yacht club, un albergo, un centro congressi, spazi commerciali e residenziali. È per questo che Legambiente Lazio, nel 2009, ha assegnato a Iniziative portuali una “Bandiera nera” nell’ambito del dossier “Goletta verde nel Lazio”. Caltagirone -che è anche azionista di Alitalia- ha ottenuto l’autorizzazione ad occupare 104,2 ettari di terreno demaniale, “77,4 per opere a mare, 26,89 per opere a terra e 4,5 per l’area cantieristica”, come spiega Legambiente Lazio nel dossier “Fiumicino, no al nuovo porto alla foce del Tevere”. Oltre ai posti barca, ci saranno 66mila metri cubi di attrezzature ricettive, 58.669 per attrezzature commerciali e uffici, congressi e cinema, oltre 4mila per servizi e un parcheggio da 3.409 posti auto. “L’esempio di Fiumicino e degli altri porti turistici in corso di autorizzazione lungo la costa laziale dimostrano che le esigenze cui rispondono questi progetti sono di tutt’altra natura rispetto ai ‘semplici’ posti barca -spiega Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio-. Dietro Fiumicino, Anzio, Formia ci sono costruttori, che legano sempre alla realizzazione del porto spazi commerciali e uffici”.
Dixit il ministro Matteoli: “Dobbiamo concepire i nuovi porti turistici come strutture piacevoli, dove ci siano un ristorante, dei negozi, delle attrazioni”.
Gli imprenditori si adeguano, e costruiscono ex novo. Anche se, ricorda Parlati, “Ucina, l’Unione nazionale cantieri e industrie nautiche, ha pubblicato uno studio secondo il quale in Italia esistono 240 porti sottoutilizzati, nei quali basterebbe allestire pontili galleggianti per recuperare 39mila posti barca”.
Solo nel Lazio ci sono “lavori in corso” per quasi 9mila posti barca, tra ampliamenti e nuove costruzioni. Dal raddoppio del porto di Ostia (a “ben” 200 metri da Fiumicino), al nuovo Porto del Tirreno di Civitavecchia (un altro progetto dell’Acqua pia antica marcia di Caltagirone, in collaborazione con il gruppo Cozzi Parodi, vedi box a p. 15), a quello di Formia. A Fiumicino si costruirà in piena zona R4, “considerata a rischio idrogeologico ‘molto elevato’, secondo l’Autorità di bacino del Tevere -racconta ancora Parlati-; si costruirà in piena foce del fiume, eppure c’è un parere positivo di tutti gli enti. Tutti abbiamo avuto paura quando il Tevere ha rischiato di esondare a Roma, all’inizio del 2010, ma pochi sanno che se non è successo è perché le correnti hanno favorito il deflusso dell’acqua a mare”. La costruzione del nuovo porto potrebbe comportare seri problemi, ma poco importa di fronte a un argine da rompere. Oltre, c’è una nuova “frontiera” per i costruttori del nostro Paese.

L’Italia sta navigando
Dal ministero delle infrastrutture 48 milioni di contributi
C’è una “regia di Stato” dietro i porti turistici. Il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli lo ha ribadito, a febbraio 2010, in un’intervista a il Giornale: “Abbiamo bisogno di realizzare almeno 100 porti”, ha spiegato, scagliandosi contro le “scelte ideologiche” che avrebbero bloccato -negli anni scorsi- la costruzione di nuove strutture. La rincorsa, però, è partita: circa un anno fa, il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha sbloccato un contributo di 48 milioni di euro a favore di Italia Navigando, una società pubblica, controllata da InvItalia (ex Sviluppo Italia) e indirettamente dal ministero del Tesoro. Nata nel 2002, la mission di Italia Navigando è quella di creare una “rete portuale turistica in tutta Italia, soprattutto nel Centro-Sud, dove c’è forte carenza di posti barca”. Ernesto Abaterusso, presidente di Italia Navigando ed ex deputato Pds, sciorina i risultati della società: “Abbiamo ottenuto la concessione di Trieste, Balestrate (Pa), stiamo per appaltare Trani, la concessione di anticipata occupazione a Gallipoli (nella foto sopra) e Roccella Jonica”. E ancora: “Sta per arrivare la concessione di Anzio, è partito Fiumicino. Abbiamo firmato con la Regione Puglia l’Accordo di programma quadro che prevede la realizzazione e ammodernamento di 3 porti, Gallipoli, Brindisi e Trani, e la riqualificazione o nuova realizzazione a Margherita di Savoia, Fasano, Monopoli, Porto Cesareo, Ostuni. Abbiamo nuove iniziative Campania, nell’ambito di un Accordo di programma che firmeremo a breve: Procida è già realizzato e in cantiere ci sono Portici, Torre Annunziata e  Monosiglio, nel centro di Napoli. L’ammontare di tutti gli investimenti è di circa 150 milioni di euro. I fondi stanziati dal Cipe possono essere utilizzati solo firmando Accordi di programma quadro con le Regione, che impegneranno anche fondi propri. Dopo Puglia e Campania, sono in arrivo anche quelli con Friuli, Sicilia e Sardegna. “Italia Navigando o le società di scopo create per realizzare i porti (vedi tabella, ndr) potranno reperire fondi propri per completare gli investimenti”. Tra le società di scopo c’è anche Marinagri Resort spa, che ha realizzato il porto turistico di Policoro (Mt), un controverso progetto bloccato in passato da un’inchiesta della magistratura: “Abbiamo meno del 20%, e c’è un contenzioso con il socio privato. Siamo in trattative per uscire dalla società” spiega Abaterusso.

La carica dei porti turistici
Abbiamo 147mila posti barca, distribuiti lungo 7.435 chilometri di costa, ma non sono sufficienti. Solo nel biennio 2008-2009, in Italia sono stati inaugurati ben 30 nuovi porti (4 in Liguria, 6 in Sicilia), aumentando di circa 17mila unita i “parcheggi” per le imbarcazioni da diporto.
“L’affare dei nuovi porti” non si ferma, neanche in Liguria, dove ormai c’è un ormeggio ogni cinque chilometri (62 su 349 chilometri di costa) e un posto barca ogni 50 residenti: il gruppo Cozzi Parodi, uno dei più attivi insieme all’Acqua marcia di Francesco Bellavista Caltagirone (vedi a p. 16), ha aperti i cantieri di Bordighera (Im) e Ventimiglia (Im) dopo aver realizzato “Marina degli Aregai” a Santo Stefano al Mare (Im). Caltagirone, invece, ha inaugurato a fine 2009 il porto di San Maurizio, a Imperia. “Bisogna fare più posti barca -ha spiegato Beatrice Cozzi Parodi al Corriere della Sera-. È cresciuta la richiesta di ormeggi per grandi imbarcazioni, ma ritengo si debba incentivare anche una nautica di medie dimensione, e per questo dobbiamo creare delle strutture”.

Grottammare senza porti
“La nostra è una città a misura d’uomo e quindi di turista”. Luigi Merli è sindaco di Grottammare (Ap), sull’Adriatico, per il movimento “Solidarietà e partecipazione”, che governa la cittadina dalla metà degli anni Novanta: “Allora abbiamo deciso che sulla costa non si costruisce. C’era un progetto, del 1986, per costruire un porto ‘megagalattico’, da 1.600 posti barca, poi ridotti a 600. E a servizio del porto avrebbero costruito 200-250mila metri cubi”. Anche senza porto (ci sono già, a pochi chilometri, quelli di San Benedetto del Tronto e Porto San Giorgio), “dal 1997 ad oggi abbiamo raddoppiato le presenza turistiche: non serve correr dietro all’idea di grandi edifici e grandi numeri -spiega Merli-. Non abbiamo voluto stravolgere il borgo marinaro trecentesco, conservando l’idea urbanistica del Piano regolatore del 1796. Lo aveva voluto il Papa”.  

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.