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L’interesse dell’editore

I padroni delle notizie, in Italia, sono cinque gruppi editoriali: controllati da banchieri, industriali e immobiliaristi, vivono solo grazie alla pubblicità Manipolata, censurata, interessata. L’affidabilità e l’attendibilità dell’informazione nel nostro Paese è ai minimi storici. Raramente, nel definirla, si dice…

Tratto da Altreconomia 102 — Febbraio 2009

I padroni delle notizie, in Italia, sono cinque gruppi editoriali: controllati da banchieri, industriali e immobiliaristi, vivono solo grazie alla pubblicità

Manipolata, censurata, interessata. L’affidabilità e l’attendibilità dell’informazione nel nostro Paese è ai minimi storici. Raramente, nel definirla, si dice però “controllata”, e ancora meno frequentemente da chi. L’anomalia non risiede solo nella televisione, la cui proprietà è super concentrata e in mano a pochi (il fatturato per il 92% è in mano a tre gruppi: Rai, Mediaset e Sky). Anche l’editoria, in Italia, è un’enorme mercato in mano a pochi soggetti che hanno ben altri interessi e ben più remunerativi rispetto alla vendita dei giornali. I più noti si chiamano Mediobanca, Confindustria, Ligresti, De Benedetti, Berlusconi, Caltagirone. Le loro imprese editoriali sono società per azioni che godono di contributi pubblici e stanno in piedi grazie alla pubblicità, il vero editore “occulto”.
Ma non c’è solo questo: altri interessi economici emergono frequentemente nell’ambito di casi giudiziari eclatanti.
Anche nella stampa, in mano a pochi imprenditori e mai “puri”, gli intrecci sono sempre più preoccupanti. Si contano sulle dita di una mano i grandi gruppi che si spartiscono il mercato: Rcs controlla il 21,3%, l’Espresso il 18,6%, la Mondadori il 18,3%, Il Sole-24 Ore il 10%, Caltagirone il 4,9%. Questi cinque -secondo gli ultimi dati (2007) dell’Autorità garante per le comunicazioni- hanno in mano il 73,1% di un fatturato che ammonta, complessivamente, a 4,927 miliardi di euro.
Le cinque sorelle. Rcs, editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, è in mano ad una serie di azionisti che rappresentano il “gotha” economico e finanziario italiano: dal salotto buono di Mediobanca, che ha la quota più alta, il 14% (vedi Ae 100) alla Fiat, da Pesenti (Italcementi) a Della Valle (Tods), da Ligresti (Fondiaria) a Tronchetti Provera, Passera, Lucchini e Benetton per finire a Rotelli, re delle cliniche private lombarde con la Papiniano Spa (vedi Ae 101).
La quota più alta dell’Espresso, gruppo editore di Repubblica, Espresso e di una valanga di quotidiani locali, è invece nelle mani di Carlo De Benedetti, patron della Cir, che detiene enormi interessi in molti campi. Quello energetico, dove controlla il 54% della Sorgenia, società attiva nel nuovo mercato libero dell’elettricità e del gas; la sanità, con il 64% della Holding Sanità e Servizi (vedi Ae 101), fra i leader tra le residenze assistite e i centri di riabilitazione; i ricambi per gli autoveicoli, con la Sogefi, fra i maggiori gruppi mondiali del settore; i servizi finanziari, grazie al possesso della Jupiter Finance, società costituita nel 2005 e dedicata all’acquisto e gestione dei crediti “problematici”, e della Oakkwood, acquisita nel gennaio 2007 insieme a Merrill Lynch,  specializzata nella creazione, acquisizione e gestione di società per finanziamenti retail; e poi investimenti immobiliari, fondi di “private equity”, fondi di “venture capital”.
Il 50,1% di Mondadori, editore di Sorrisi e canzoni Tv -il settimanale di gran lunga più diffuso in Italia, con 1,2 milioni di copie di tiratura- e di numerosi altri periodici fra cui Panorama, fa capo a Fininvest, società del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, di cui sono altrettanto note le attività in svariati campi (immobiliare, servizi finanziari, assicurazioni, cinema e spettacolo, sport, grande distribuzione, internet, pubblicità, per citarne solo alcuni).
Il Sole-24 Ore è al 67,5% è di proprietà dell’associazione degli industriali italiani, Confindustria, che lo controlla attraverso una società per azioni presieduta da Giancarlo Cerutti -che ha traghettato la società nella quotazione in Borsa, curata da Mediobanca insieme a Ubs nel ruolo di global coordinator” e da Morgan Stanley come advisor-.
Le “occupazioni” principali del gruppo Caltagirone -editore de Il Messaggero, Il Gazzettino, Il Mattino e del free press Leggo- sono il cemento, le grandi opere, il settore immobiliare e quello finanziario. Della holding di famiglia fanno parte Cementir, Vianini Lavori, Vianini Industria. Francesco Gaetano Caltagirone possiede rilevanti partecipazioni nel Monte dei Paschi di Siena, in Acea (utility) e in Grandi Stazioni, la società del gruppo Ferrovie dello Stato che ha lo scopo di riqualificare, anche commercialmente, le tredici maggiori stazioni italiane.
Il sistema radiofonico, pur essendo più pluralistico anche per ragioni storiche, è una sorta di mix tra stampa e televisione, con una larga fetta di mercato distribuita fra Rai, Gruppo Espresso, Rcs, Mondadori e Il Sole-24 Ore.
L’editore occulto: la pubblicità. Queste imprese editoriali sono tutte società per azioni che godono di contributi pubblici ma stanno in piedi solo grazie alla pubblicità. L’industria dell’informazione, infatti, è sovvenzionata e condizionata dal motore dell’economia: la pubblicità è il vero editore occulto.
Nel 2000 i ricavi pubblicitari incidevano per il 58% sul fatturato complessivo, oggi sono il 45%, a detta della Fieg (la Federazione degli editori di giornali), il 49,7% secondo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom). Restano, in ogni caso, la principale fonte di entrata, più grande anche della vendita delle copie, 34,6%. Il terzo elemento forte di finanziamento sono i prodotti “collaterali” venduti insieme ai giornali (14,3%) come libri, dischi e gadget vari.
Un indicatore del ruolo della pubblicità è dato dalla paginazione: quando ce n’è di meno, si riducono le pagine (come hanno fatto alcuni grandi giornali in questo inizio di anno “tribolato” a causa della crisi). Grazie alla pubblicità, e a un sistema di distribuzione irrazionale, l’editoria italiana è diventata anche un inno allo spreco: milioni di copie vengono buttate al macero ogni giorno (vedi box sotto) perché il ragionamento dell’editore è “meglio essere presenti, tanto gli utili non si decidono sul mercato, ma con la pubblicità e con i finanziamenti pubblici”. Negli ultimi anni circa 700 milioni di euro all’anno sono arrivati dallo Stato, tramite contributi diretti o indiretti -agevolazioni postali, telefoniche, elettriche; rimborsi per l’acquisto della carta-, senza considerare i singoli contributi elargiti da ministeri ed enti locali. Soldi che restano nascosti fra le pieghe dei bilanci, ma si dirigono in buona parte a vantaggio dei grandi gruppi che hanno molte testate, alte tirature e ampi organici: società per azioni finanziate dal pubblico.
Solo quelli diretti all’editoria cooperativa oggi sono a rischio: il governo Berlusconi li ha prima cancellati per poi reinseriti ancora per un anno; a farne le spese, come  noto, sarebbero le testate minori, quelle indipendenti, edite da cooperative che possono contare meno sugli introiti pubblicitari.
I padroni della pubblicità. Il giro di affari della comunicazione pubblicitaria nel 2007 è stato di 23 miliardi di euro, l’1,41% del Prodotto interno lordo. E ci sono ampi margini di crescita: in Italia, si spendono in pubblicità “solo” 151 euro per abitante contro i 162 della Francia, i 210 della Germania, i 304 del Regno Unito e i 402 degli Stati Uniti.
La televisione fa la parte del leone: secondo i dati di Nielsen Media Research, nel 2007 gli investimenti netti sui mezzi di comunicazione sono stati quasi 9 miliardi di euro. Di questi più della metà, 4,7 miliardi, sono stati diretti alla tv, 3,2 ai giornali, 470 milioni alle radio, 200 milioni per le affissioni, 70 milioni ai cinema e 281 milioni per internet.
In termini percentuali, da noi alla Tv va il 53,1% degli investimenti: sono il 34,1% in Francia, 24,2% in Germania, 44,3% in Spagna, 26,7% nel Regno Unito.
Lo strapotere della televisione, e quindi dell’informazione televisiva, si spiega anche con i consumi: secondo l’Istat (rapporto 2008 sull’uso dei media e del cellulare in Italia) il 93,2% delle persone di età superiore a 11 anni guarda regolarmente la televisione e il 75% di coloro che si siedono davanti al piccolo schermo lo fa per vedere i telegiornali.
Anche il mercato pubblicitario, come l’editoria, è in mano a pochi soggetti. Le quote “raccolte” dal mercato televisivo sono in mano a Mediaset per il 64,6% e alla Rai per il 29,1% (La7, MTV e All Music si spartiscono le briciole, mentre sulle reti satellitari i dati non sono ancora reperibili). Questo nonostante la Rai superi Mediaset come ascolti (41,8% contro 40,5%). Un’anomalia permessa dal Testo unico sulla radiotelevisione del 2005 (la seconda legge Gasparri), che ha istituito il “Sic”, Sistema integrato di comunicazione, e che trova radici nell’influenza che Fininvest e la sua concessionaria di pubblicità Publitalia hanno avuto negli ultimi decenni.
“Il costo della pubblicità -spiega Francesco Siliato, co-fondatore di Studio Frasi, giornalista e docente al Politecnico di Milano- è sempre stato relativamente basso dai tempi in cui la Federazione degli editori di giornali ottenne dal governo una limitazione, un tetto in denaro, per la raccolta pubblicitaria della Rai. Le imprese pagavano poco e la convenienza era diffusa. Publitalia, la concessionaria delle reti di Berlusconi diretta da Marcello Dell’Utri, si inserì in questo mercato in cui la pubblicità televisiva costava, e costa, molto poco in relazione ad altri Paesi. Il ‘gioco’ si è ritorto contro gli editori di giornali che protestano oggi vibrantemente. La Rai -aggiunge Siliato- può dedicare alla pubblicità il 4% orario su base settimanale, mentre Mediaset il 16% quotidiano”. Ma la società del premier -4,08 miliardi di euro di fatturato nel 2007- può estenderlo fino al 18% orario: basta che recuperi l’ora successiva.

La catena della pubblicità
Il prezzo della pubblicità viene deciso sulle nostre teste. Sono il frutto di ricerche “esplorative” di Auditel, Audipress, Audiradio, Audiweb e Inpe, che stabiliscono quanti e quali tipi di persone usufruiscono di un mezzo di informazione.
Sapere quanto vale il tempo che dedichiamo a dare un’occhiata alla pubblicità è semplice. Vado sul sito della Rcs Pubblicità (concessionaria del gruppo che possiede “Il Corriere della Sera” e “La Gazzetta dello Sport”). Apro i listini prezzi delle pubblicità politiche -se non sono accessibili basta inviare un’e-mail e farsi fare un preventivo-: una pagina sul Corriere costa 52.000 euro. Controllo gli ultimi dati Audipress sui lettori quotidiani del giornale: si stima 2 milioni e 722mila al giorno. Divido il costo della pagina per il numero dei lettori: ogni lettore del Corriere ha un valore di quasi 2 centesimi di euro. Coi nostri consumi siamo in sostanza i finanziatori della pubblicità, il sesto anello di una catena poco conosciuta. Il primo sono gli utenti, cioè le aziende che vogliono vendere di più; poi vengono le agenzie che realizzano le campagne; a seguire, i centri media che svolgono l’attività di pianificazione e di acquisto, le concessionarie di pubblicità -tipicamente italiane- che hanno in concessione gli spazi e i tempi e che decidono i prezzi in base all’“audience” e gli editori, che sui mezzi di comunicazione di loro proprietà vendono spazi e tempi.
Pagine e secondi che valgono oro.

Giornalisti sempre più precari
Il lavoro giornalistico precario, in Italia, cresce ogni anno quasi quattro volte di più di quello stabile: il 12,46% contro il 3,29% nel 2006 e il 9,27% contro il 2,60 nel 2007, secondo gli ultimi dati dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi).
È un fenomeno di precariato ancor più grave di quello che affligge tutto il Paese, perché mette a repentaglio l’autonomia della professione nei confronti degli interessi degli editori.

Concentrati in tutto il mondo
Mediaset, Rai ed Rcs sono gli unici tre gruppi italiani presenti nella classifica dei più grandi media al mondo, rispettivamente al 27°, 38° e 44° posto. Ai primi si trovano Time Warner, Walt Disney, Comcast, News Corp (Murdoch) e Viacom-CBS. Alla concentrazione dei media nelle mani di pochi grandi colossi, processo che mette a rischio la stessa democrazia, è dedicato il libro Democrazia e concentrazione dei media (Edup Editore, 15), uscito alla fine del 2008 a cura di Maurizio Torrealta, giornalista di RaiNews24.

Dentro l’informazione
Una piccola guida spiega come “difendersi” dall’informazione
Aiuta a “districarsi” nel panorama dei media, a “leggere” le notizie e a selezionarle.
L’inchiesta di Giulio Sensi, pubblicata in queste pagine, è tratta dal volumetto che l’autore ha scritto per noi, “Informazione, istruzione per l’uso” (72 pp., 3 euro). Oltre ad evidenziare i limiti dei grandi mezzi di comunicazione, che sono in mano a pochi gruppi e dipendono sempre più dalle pubblicità e dagli inserzionisti, la piccola guida è uno strumento prezioso perché indica le fonti migliori dove trovare le informazioni che giornali e tv trascurano o censurano; è un vademecum per un “consumo critico” di giornali e televisioni, con un occhio
di riguardo per le testate indipendenti (come la nostra). Per questo pubblichiamo un elenco ragionato, suddiviso in schede, degli attori dell’informazione: ognuna racconta, quotidiano per quotidiano, rivista per rivista, sito per sito, proprietà, storia, caratteristiche e punti di forza e di debolezza delle fonti.
La piccola guida è nelle botteghe del commercio equo, sul sito di Ae (www.altreconomia.it/libri) e in libreria dal mese di marzo.

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