Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Interni

L’infinita tangente

La stagione di “Mani pulite” non ha riformato l’etica della politica. Anzi, è cresciuta la commistione tra politici e imprenditori. La corruzione ormai, spiega Donatella della Porta, è un fenomeno sistemico a tangente “Mani impunite” è una meticolosa quanto impietosa…

La stagione di “Mani pulite” non ha riformato l’etica della politica. Anzi, è cresciuta la commistione tra politici e imprenditori. La corruzione ormai, spiega Donatella della Porta, è un fenomeno sistemico a tangente


“Mani impunite” è una meticolosa quanto impietosa analisi su “vecchia e nuova corruzione in Italia”.

Donatella della Porta e Alberto Vannucci scompongono il sistema degli “scambi corrotti” e descrivono un articolato “sistema di regole” che disciplina un prospero via vai di appalti, tangenti, affari illeciti. I protagonisti, con ruoli ben precisi, sono imprenditori, uomini politici, burocrati, mafiosi, “mediatori”. Ne esce il ritratto di un’Italia corrotta, che non ha imparato quasi nulla dalla stagione di “Tangentopoli” e “Mani pulite” e nella quale, come scrivono gli autori nelle conclusioni del libro, “permangono condizioni favorevoli allo sviluppo e al radicamento di forme di corruzione sistemica”.

Professoressa della Porta, che impressione le hanno fatto, a gennaio, l’avviso di garanzia al ministro della Giustizia Clemente Mastella, gli arresti nell’Udeur e la condanna in primo grado del presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro?

Ovviamente non conosco nello specifico gli atti giudiziari, ma da quello che si è saputo, direi che queste vicende confermano almeno due elementi emersi dall’analisi che abbiamo riportato in Mani impunite. Il primo è che le forme di corruzione politica si sono trasformate. Il denaro della tangente oggi è molto meno visibile di un tempo e prevalgono forme anomale di scambio, organizzate attorno a posti di lavoro che non dovrebbero essere gestiti dai politici e invece lo sono. Si va da posti eccellenti, come direttori di Asl e primari, a ruoli

di più basso livello, che spesso sono “inventati”, cioè non corrispondono

a reali esigenze della pubblica amministrazione ma sono creati per collocare i propri ‘clienti’. La novità

è la maggiore commistione fra politico e imprenditore, al punto che spesso è difficile distinguere una figura dall’altra. Il secondo elemento è che su questi sistemi di scambio corrotto c’è un accordo bipartisan, sul piano politico, per mantenerli e non denunciarli. Questa realtà è stata evidentissima all’indomani dei casi Mastella e Cuffaro.

Qual è l’origine di questo consociativismo?

In buona parte dipende dal fatto che la politica, ancora oggi, è concepita in questo modo: Mastella in Parlamento il 16 gennaio ha fatto un discorso molto simile a quello di Craxi all’epoca di Tangentopoli. Hanno attaccato i giudici e reclamato: “Lo fanno tutti, perché dovrei pagare solo io?”. È evidente che c’è una grave debolezza dell’altro modo di concepire la politica, come espressione di ideali e capacità di elaborare progetti.

Nel vostro libro non date molto credito alle spiegazioni della corruzione diffusa come espressione del carattere nazionale, o della cultura religiosa del Paese.

Sono ipotesi culturaliste che spiegano e non spiegano. La struttura gerarchica della Chiesa cattolica, l’istituto della confessione e del perdono, ad esempio, secondo alcuni sarebbero alla base della maggiore diffusione della corruzione nei Paesi cattolici rispetto a quelli protestanti, ma in realtà non disponiamo di dati empirici che permettano di fare simili confronti. E poi queste analisi non spiegano l’evoluzione nel tempo dei fenomeni di corruzione o le differenze fra Paesi in cui prevale la stessa religione.

Si può dire che l’Italia è un Paese a “corruzione sistemica”?

Noi utilizziamo questo concetto, che però va colto nella sua complessità. C’è una variabilità per aree geografiche e per settori. Rispetto all’epoca di Mani pulite c’è anche un elemento di novità,

una commistione sempre più diffusa fra politici e imprenditori. Il conflitto d’interesse, evidente a livello nazionale nella figura di Silvio Berlusconi, si è radicato nelle amministrazioni locali. Sono sempre di più i sindaci-costruttori o comunque imprenditori. Lo stesso avviene nei legami fra politica e mafia.

Quali sono le Regioni e i settori economici più corrotti?

Sicuramente il Sud Italia, dove la corruzione e la criminalità organizzata si rafforzano a vicenda. I settori sono quelli in cui lo Stato tende ad avere posizioni di monopolio o di semi-monopolio, come le costruzioni o la sanità.

Liberalizzare e privatizzare, togliendo quindi funzioni allo Stato, ridurrebbe la corruzione?

No, non c’è alcun automatismo.  In Europa i Paesi in cui c’è meno corruzione sono quelli scandinavi,

dove lo Stato ha più potere che altrove. Il problema nasce quando il monopolio si intreccia con la commistione fra imprenditori e politici.

Dopo i processi di privatizzazione certe decisioni, che prima spettavano a funzionari pubblici, vengono delegate a funzionari, che spesso sono politici riciclati, e lo scambio corrotto, invece d’essereostacolato, può diventare addirittura più facile, visto che l’aggravante della corruzione, prevista per i funzionari pubblici, in ambito privato è attenuata.

La stagione di Mani pulite non ha cambiato niente?

Mani pulite ha cambiato soprattutto l’equilibrio fra gli attori coinvolti nello scambio corrotto, indebolendo la capacità di coordinamento dei partiti, ma facilitando il compito di manager pubblici, burocrazie e imprenditori privati. Non ha funzionato nella riduzione della corruzione.

Perché non ha funzionato?

Mani pulite è stata definita una “rivoluzione dei giudici” e si è sperato che potesse produrre una moralizzazione della politica. Il ritornello era quello riassunto da Massimo D’Alema: “L’Italia dev’essere un Paese normale”. Ma non c’è stato alcun rinnovamento, perché si è trattato di una trasformazione imposta dall’esterno, e necessariamente parziale, poiché i giudici potevano colpire solo una punta dell’iceberg. Il sistema non aveva, evidentemente, la capacità di autoriformarsi.

Nel libro parlate di un’opportunità aperta da Mani pulite e non colta.

Sì, all’epoca del primo governo Prodi due commissioni di esperti proposero misure concrete per affrontare il tema della corruzione. Ma non se ne fece niente, perché i partiti riformati dopo Mani pulite, o nati in quella fase, non hanno mai risolto la questione etica al loro interno.

Che cosa proponevano gli esperti?

Interventi legati alla trasparenza delle decisioni, al riconoscimento reale e non solo sulla carta dei diritti dei cittadini, alla semplificazione delle procedure nel rapporto fra cittadini e pubblica amministrazione, a una maggiore partecipazione alle scelte. Molti provvedimenti che portano a scambi corrotti, sotto il profilo formale e procedurale sono corretti: il punto è che bisogna andare al di là della mera correttezza formale.

Nelle conclusioni del libro si nota un certo pessimismo. La corruzione sistemica non si può combattere?

In un libro precedente, scritto sempre con Alberto Vannucci (Un Paese anormale, 1999), avevamo formulato una serie di proposte sulle potenziali riforme. Stavolta, è vero, traspare un certo pessimismo. D’altronde, è la seconda volta abbiamo avuto un governo di centrosinistra ma una delle cose fondamentali da fare, cioè una seria legge sul conflitto d’interesse, non è mai stata all’ordine del giorno. Dopo Tangentopoli le forze di centrosinistra, almeno dal punto di vista retorico, parlavano di azione contro la corruzione, sostenevano la magistratura. C’è stata anche la spinta dei girotondi, dei movimenti, ma il quadro è rapidamente cambiato. La lotta alla corruzione è uscita dall’agenda, gli attacchi alla magistratura sono ormai bipartisan e l’emersione di scandali legati alla corruzione politica è vissuta con insofferenza anche nel centrosinistra.

Se fosse possibile immaginare una riforma, quali sarebbero i punti chiave?

Servirebbero più trasparenza e più partecipazione in tutte le decisioni con un potenziale di scambio corrotto: appalti, spese pubbliche e così via. E, ancora, controlli di qualità sulle opere realizzate, a posteriori. In Italia sono previsti numerosi controlli formali, ma questi sono aggirabili quando ci sono complicità. I controlli più efficaci sono quelli sui servizi e le opere finali. Gli interventi della grande criminalità si traducono in opere pubbliche di pessima qualità.


La fiducia degli italiani

Gli italiani hanno poca fiducia nei partiti politici e nell’efficacia dei piani di lotta alla corruzione portati avanti dalle istituzioni. Il dato emerge dal Global Corruption Barometer 2007 di Transparency International, organizzazione della società civile nata nel 1993

con l’obiettivo di lottare contro la corruzione. Il rapporto misura la corruzione percepita dai cittadini: la scala va da 0, “assenza di corruzione”, a 5, “estremamente corrotto” (si può scaricare dal sito www.transparency.it). Nel nostro Paese, i partiti politici guidano con 4,2 punti la classifica della corruzione percepita, seguiti dal sistema legislativo e dal Parlamento (3,7). La scarsa fiducia verso lo Stato porta gli italiani a considerare inefficace la lotta delle istituzioni contro la corruzione (secondo il 70% degli intervistati) e a prevedere una crescita del fenomeno nei prossimi tre anni (il 61%).

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.