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L’industria petrolifera scommette sulla plastica. Ma il futuro è altrove

Il settore delle plastiche sta per sgonfiarsi anche a causa delle costose esternalità legate al materiale e della crescente sensibilità per l’economia circolare. Eppure il comparto petrolifero punta tutto sulla crescita della domanda della materia vergine. Una speranza vana secondo i dati di Carbon Tracker

© Nick Fewings - Unsplash

L’industria petrolifera ripone le sue speranze di sopravvivenza in una forte crescita della domanda di plastica ma grazie alla crescente sensibilità sul tema dei rifiuti e del cambiamento climatico, questo incremento non si concretizzerà. È quanto emerge da un report del think tank Carbon Tracker pubblicato nel settembre 2020 e fondato sui dati raccolti da SYSTEMIQ e The Pew Charitable Trusts nel report “Breaking the Plastic Wave” (luglio 2020), curato in collaborazione con le Università di Oxford e di Leeds, la Ellen MacArthur Foundation e Common Seas.

“Se togliamo il pilastro di plastica che regge il futuro dell’industria petrolifera, l’intera narrazione della crescente domanda di petrolio crolla”, spiega Kingsmill Bond, analista di Carbon Tracker. Il futuro non è lì. “È probabile che la domanda di plastica raggiunga il suo picco quando il mondo inizierà a passare da un’economia della plastica lineare a una circolare”, si legge nel rapporto, bloccando investimenti pubblici per un valore pari a 400 miliardi di dollari. Le crescenti pressioni per limitare l’uso della plastica potrebbero infatti ridurre la crescita della domanda di materia vergine dal 4% all’anno a meno dell’1%, con un picco della domanda nel 2027. E così l’industria petrolifera perderebbe il suo principale motore di crescita.

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), le materie plastiche rappresentano il 9% della domanda di petrolio (il dato è del 2017, misurato in milioni di barili al giorno) e guideranno la crescita prevista di tale domanda. Carbon Tracker mette però a confronto due scenari: le previsioni (prima del Covid-19) della multinazionale BP petrolifera dicono che le materie plastiche rappresenteranno il 95% della crescita prevista della domanda netta di petrolio fino al 2040; secondo la IEA questa percentuale scende al 45%.
Mentre la produzione di plastica è cresciuta rapidamente per decenni, dal 2010 ha rallentato a una crescita del 4% l’anno e se la maggior parte degli operatori prevede che questo tasso di crescita continuerà, trainato dalla domanda di materie plastiche dei mercati emergenti, IEA e BP sono invece più caute, prevedendo tassi di crescita annui della domanda del 2%.

Secondo Carbon Tracker “l’industria delle materie plastiche è un colosso che sta per sgonfiarsi” anche a causa degli alti costi delle esternalità che le plastiche determinano: almeno 1.000 dollari per tonnellata (350 miliardi di dollari l’anno) dovuti alle emissioni di anidride carbonica, ai costi sanitari associati ai gas nocivi, all’inquinamento degli oceani e ai costi di raccolta.
Il sistema della plastica, inoltre, è caratterizzato da enormi scarti prodotti su quattro filiere: la plastica monouso (pari al 36% di tutta la plastica prodotta); i rifiuti mal gestiti (pari al 40% di tutti i rifiuti di plastica); le piccole quantità riciclate (i tassi di riciclaggio della plastica sono circa del 20%) e la cattiva progettazione dei prodotti.
“C’è un divario molto significativo tra le aspirazioni degli operatori per una continua crescita della domanda di plastica e la nostra capacità di migliorare le infrastrutture di raccolta e riciclaggio abbastanza rapidamente da evitare la presenza di quel materiale nell’ambiente -si legge nel report-. Alla luce di questo divario, l’unica soluzione è quella di ridurre significativamente la quantità di plastica vergine nel sistema, passando a modelli di riutilizzo e riciclo”. Yoni Shiran di Breaking the Plastic Wave sottolinea i benefici del passaggio a un sistema circolare: “Si possono avere le stesse funzionalità, ma a metà del costo del capitale, metà della quantità di materie prime, 700mila posti di lavoro aggiuntivi e l’80% in meno di inquinamento”.

SYSTEMIQ osserva infine che sono già disponibili le soluzioni tecnologiche a costi accessibili che consentirebbero una massiccia riduzione nell’uso della plastica. Tra queste, il riutilizzo, una migliore progettazione e regolamentazione del prodotto, sostituzioni con materiali come la carta e la crescita del riciclo degli scarti plastici.
Un ulteriore aiuto può venire dalla politica, sottolinea il report: “L’Unione europea e la Cina stanno già adottando misure per limitare i rifiuti di plastica e dispongono di un’ampia gamma di strumenti, dalla regolamentazione ai divieti, dalle tasse alle infrastrutture per il riciclo”.
Ad esempio, nel luglio 2020 l’Ue ha proposto una tassa di 800 euro per tonnellata sui rifiuti di plastica non riciclata; la Cina ha invece iniziato a vietare alcuni tipi di plastica. Già nel 2018 “la Cina ha chiuso in larga misura la sua industria (la prima al mondo) per l’importazione e il trattamento dei rifiuti plastici, costringendo gli esportatori a risolvere questo problema in patria”.

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