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L’indice del welfare

Il Consiglio dei ministri ha "completato e firmato il percorso per il nuovo Isee". Così si è espresso oggi [martedì 3 dicembre] il presidente del Consiglio Enrico Letta a proposito dell’Indicatore della situazione economica equivalente. Da questo dipende l’accesso a prestazioni o servizi socio-assistenziali —

Tratto da Altreconomia 154 — Novembre 2013

Un terzo della popolazione ne ha uno in casa. E 4 italiani su 10 ne hanno fatto uso per accedere a prestazioni o servizi sociali o assistenziali “non destinati alla generalità dei soggetti”. A 15 anni dal decreto che ne sancì la nascita, l’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) potrebbe essere radicalmente rivisto, “tanto che sarebbe stato forse meglio cambiarne addirittura il nome”: Paolo Conti è Direttore dei Caf Acli, la rete di sportelli che ogni anno aiuta nella compilazione della dichiarazione dei redditi almeno un milione e mezzo di famiglie. Le prestazioni per accedere alle quali si utilizza l’Isee sono numerose: dalla social card all’assegno di maternità, dalle rette per gli asili nido ai ticket sanitari, dalle tasse universitarie alla pensione sociale o di invalidità civile. Tradotto, l’Isee dà una misura della ricchezza di una famiglia, sulla base della quale calcolare rette da pagare o contributi ed esenzioni da ricevere.

Nel corso dell’ultimo decennio, il numero di famiglie che ha utilizzato l’Isee è costantemente cresciuto, fino a raggiungere oltre 6,5 milioni di nuclei, equivalenti a circa 20 milioni di persone. Ovviamente, ogni famiglia può utilizzare l’Isee per più di una tipologia di prestazione. Per questo il 40% dei nuclei familiari richiede prestazioni mediante presentazione dell’Isee per servizi di pubblica utilità -ad esempio il trasporto pubblico- e la casa. Il 31,1% lo utilizza per nidi e scuola, il 14,4% per l’università, il 26,9% per servizi sanitari e socio sanitari.  Poi c’è la voce “altro”, che, come evidenzia la Direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali del ministero del Lavoro, “va assumendo dimensioni piuttosto rilevanti, tanto da rendere opportuna un’analisi del suo contenuto”.

È il Mezzogiorno l’area in cui più si concentra la “popolazione Isee”: il 45% del totale infatti vive tra Sicilia, Campania e Puglia. Una concentrazione che riflette il bisogno economico del territorio.
“Stiamo parlando di tutte le provvidenze dello ‘Stato sociale’, e di uno strumento utilizzato trasversalmente, da oltre 16mila erogatori tra enti locali, università, istituti pubblici -spiega Conti-. È uno strumento maturo: ormai abbiamo un ampio bagaglio di basi interpretative e giurisprudenziali. Ma è anche uno strumento ‘vecchio’. All’epoca della sua adozione -nel 1998- si fece un lavoro di notevole senso, pur senza inventarsi molto, visto che l’Isee ha preso ispirazione dal sistema scandinavo. Ma aggiungere il patrimonio nel calcolo della ‘ricchezza’ di una famiglia, e non solo il reddito, fu una piccola rivoluzione culturale, che passò non senza polemiche. Oggi però è senz’altro necessaria una sua rivisitazione, e non solo perché alcuni parametri sono in lire, o perché ci sono alcuni dati autocertificati, come quello relativo alle consistenze dei depositi bancari. Se si prendono le istruzioni del ‘98 dell’Isee, si può notare che sono le stesse di oggi. Se prendiamo invece il modulo per la dichiarazione dei redditi, questo è cambiato radicalmente. Questo perché, nel secondo caso, lo strumento si è adattato ai cambiamenti sociali. L’Isee non è più adeguato alla società. Presuppone ad esempio che due conviventi abbiamo anche uguale residenza, oppure che marito e moglie risiedano nello stesso Stato. I risultati possono essere fuorvianti: una madre può risultare sola con figli a carico anche se il padre ha un reddito e vive nella stessa casa, e un’altra -invece- potrebbe “dispone” del reddito del marito, che però è dall’altra parte del mondo. Se si tiene a mente che il 27% degli utilizzatori dell’Isee sono cittadini extracomunitari, emerge che forza l’inadeguatezza dello strumento”.

La riforma progettata e che sarebbe dovuta entrare in vigore a partire dal 2014 è adeguata?
“La chiamano nuova Isee ma il nuovo strumento è molto differente. È un po’ come misurare una distanza, ma usare prima i chilometri, e poi le miglia. Infatti il maggior problema non è tanto la definizione del nuovo indice, quanto il fatto che tutti gli enti erogatori dovranno rivedere e aggiornare le loro tabelle, che non saranno più adatte alle misure della ‘nuova’ Isee. Questo è un lavoro enorme da fare, e i tempi sono strettissimi. Dopo il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, che si attende da tempo, ci sono 90 giorni per l’iter parlamentare, e l’adeguamento degli enti erogatori non può avvenire in meno di 60 giorni. Essere pronti a inizio gennaio sarà difficile. E d’altra parte è arduo pensare alla convivenza di due sistemi nel corso dello stesso anno”.

Che cosa caratterizza il nuovo indice?
“È più moderno: riconosce ad esempio le coppie di fatto, e utilizza maggiormente la tecnologia in mano allo Stato, attraverso i numerosi database a disposizione degli enti, lasciando meno spazio all’autocertificazione. Non ci sarà più un solo Isee per tutto: i parametri di calcolo saranno diversi in funzione della prestazione cui si riferiscono. O meglio, saranno diversi i redditi presi in considerazione. Inoltre sono previste anche componenti negative, e non solo sugli immobili (oggi l’Isee è una sommatoria che ha solo due segni ‘meno’: la prima casa e l’affitto). In negativo andranno anche le spese dei portatori di handicap, o per colf e badanti. Dall’altra parte, verranno inclusi anche redditi finora esclusi, come i cosiddetti redditi ‘esenti’ (ad esempio le pensioni di di guerra), il che ha creato qualche malumore. Ma il principio forte è che non si partirà più dal tentativo di definire la famiglia e la sua ricchezza, ma dall’individuazione del soggetto cui si riferisce la prestazione, e quindi della ricchezza disponibile a quest’ultimo”. —

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