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Cultura e scienza / Intervista

L’incontro con il “selvatico” può aiutare l’uomo a ritrovarsi

Daniele Zovi è nato nel 1952 a Roana e cresciuto a Vicenza. È laureato in Scienze Forestali a Padova e per quarant’anni ha prestato servizio nel Corpo Forestale dello Stato, prima come ufficiale e poi come dirigente

L’ultimo libro di Daniele Zovi, scrittore, divulgatore ed ex Forestale, è dedicato a otto specie della fauna italiana. Animali che vivono nei boschi e insegnano che una vita in armonia con la natura è possibile, e salvifica, come insegna Mario Rigoni Stern

Tratto da Altreconomia 220 — Novembre 2019

Cos’hanno in comune gli orsi, gli sciacalli dorati, i lupi, i gatti selvatici, i cinghiali, le linci, le lontre e un castoro? Lo racconta Daniele Zovi, scrittore e divulgatore, classe 1952, scienziato forestale nato a Roana (VI), per quarant’anni ufficiale e poi dirigente del Corpo Forestale dello Stato. Il suo ultimo libro, “Italia selvatica” (Utet, 2019), lo ha dedicato al mondo animale, scegliendo tra centinaia di specie della fauna italiana, le storie di questi otto selvatici. “Il loro mondo è anche il nostro”, dice.

Daniele Zovi, non crede che la vera “Italia selvatica” sia quella umana?
DZ Forse lo è, anche se noi umani non ci riteniamo selvatici, abbiamo dimenticato di esserlo. Abbiamo dimenticato la nostra natura. Io credo che non siamo altro che scimmie con il cellulare in mano. È da poco che siamo scesi dagli alberi. E di questo nostro passato recente ci siamo dimenticati, mentre trascorriamo molto tempo rivolti ai nostri strumenti tecnologici -cellulari,computer, automobili…- e in spazi chiusi, come i centri commerciali. Quindi, parlare di selvaticità significa ricordarci che questa condizione è più vicina a noi quanto più ci allontaniamo dalla natura. D’altra parte, la natura si sta avvicinando a noi almeno in due modi. Da una parte, il bosco negli ultimi cento anni ha raddoppiato la sua superficie in Italia, quale conseguenza dell’abbandono dell’agricoltura marginale di collina e di montagna. Dall’altra, in questi ultimi decenni della nostra storia è cresciuto il numero di animali selvatici, che pure è legato all’aumento del bosco, ma anche a una nuova legislazione che li protegge. In questo senso l’Italia è sempre più selvatica.

“Ogni volta che si estingue un animale noi tutti perdiamo qualcosa, perché la biodiversità è la nostra vera ancora di salvezza. È il salvagente del Pianeta”

Ma assistiamo a un paradosso: mentre c’è una legge che tutela questi animali, noi ne siamo spaventati.
DZ A volte si tratta di un ritorno spontaneo, come per il lupo o la lontra; altre di un arrivo spontaneo, come nel caso dello sciacallo dorato; altre ancora di una facilitazione dell’uomo, è successo per l’orso. Spesso, queste nuove presenze, sono state salutate in maniera benevola: in fondo, è come sottolineare che c’è stato un arricchimento nella natura che ci circonda e quindi un maggiore interesse per noi che la frequentiamo. Ma poi sorgono perplessità e perfino paure, perché questi animali non sono mai stati raccontati con giustizia. La narrazione che li riguarda -ed è vero soprattutto per i grandi carnivori- è legata a miti, favole e leggende che li hanno sempre raffigurati come molto pericolosi e maligni. Pensiamo al lupo, il progenitore dei nostri cani, addomesticato dall’uomo 13mila anni fa. In epoca medievale è stato trasformato dal mondo cattolico in un simbolo del male, il demonio. Anche nelle favole il lupo è il cattivo per eccellenza. E solo recentemente siamo arrivati a dare una corretta descrizione di questi animali, ma la loro rappresentazione simbolica si è ormai radicata nei nostri animi e non sarà facile da estirpare. Lo dimostra il fatto che negli ultimi 150 anni non si sono registrati attacchi del lupo sull’uomo. Ma la stampa enfatizza sempre i danni recati dai lupi ad altri animali, inducendo paure esagerate e distraendo l’opinione pubblica e le istituzioni dalle azioni di mitigazione dei danni che esistono e si dovrebbero mettere in pratica.

Il libro “Italia selvatica” è impreziosito dai disegni di Giuliano Dall’Oglio, oltre che da alcune foto degli aninali raccontati. Sopra, l’illustrazione dell’impronta della lince tratta dal libro

In altri casi è stato l’uomo a far estinguere certe specie.
DZ L’uomo ha fatto molti danni. Pensiamo alla lince, un animale presente in tutta Italia, citata in numerose fonti, elencata dalla Calabria al Nord Italia, e da Dante nel primo Canto della Divina Commedia. Un animale noto all’uomo fin dal 1300, oggi non c’è più. Ne sono rimasti solo una decina di individui in Friuli-Venezia Giulia -e ce ne stiamo prendendo cura con il “Progetto Lince Italia” (progettolinceitalia.it), nella foresta del Tarvisio, in provincia di Udine, uno in Provincia di Trento e forse un altro nelle Alpi occidentali. È stato l’uomo ad ammazzare la lince, un fatto utile a ricordarci che la situazione attuale della fauna italiana è stata decisa dall’uomo, che ha perseguitato molti animali fino all’estinzione.

Ma come cambia la vita dell’uomo senza la lince?
DZ Ogni volta che si estingue un animale noi tutti perdiamo qualcosa, perché la biodiversità è la nostra vera ancora di salvezza. È il salvagente del Pianeta. Quel fenomeno naturale grazie al quale i sistemi e le strutture ecologiche riescono a resistere alle perturbazioni, anche quelle che -come di frequente in questo periodo storico- non siamo in grado di prevedere. Ripopolare le specie che erano presenti è un passo importante a favore della tutela della biodiversità. Mi viene in mente la lontra. Ero abituato a vedere spesso questo animale nei fossati lungo la linea delle risorgive della provincia di Vicenza, dove abito. Ma di recente è stata eliminata. In Veneto non c’è più. L’uomo ha combinato molti guai e noi dobbiamo prenderci la responsabilità di tentare di riparare ai guai di chi ci ha preceduto, ripensando il nostro rapporto con il mondo come una nuova alleanza tra esseri animali e vegetali. In questo senso vale la pena parlare dei “selvatici”. Io sono convinto che in ciascuno di noi sia acquattato un selvatico. Ogni volta che vediamo una di queste specie il nostro cuore ha un tuffo, suscita un’emozione. Il selvatico che vediamo ci ricorda che lo siamo stati. Per continuare a esserlo vale la pena conoscere meglio questi animali.

“In ciascuno di noi è acquattato un selvatico. Ogni volta che vediamo una di queste specie il nostro cuore ha un tuffo, un’emozione. Il selvatico ci ricorda che lo siamo stati”

Mi viene in mente il libro di Mario Rigoni Stern “Arboreto salvatico”: fin dal titolo c’è un intreccio tra i concetti di selvatico e salvifico.
DZ Esatto: riconoscere i selvatici e riconoscerci in loro è per noi un’ancora di salvezza. Sono stato molto amico di Mario, è stato un maestro per tutti noi, privo di retorica. Lui ricordava sempre come, tornato dalla prigionia dopo la ritirata di Russia, ha ritrovato sé stesso e il senso di vivere camminando da solo nel bosco. Ecco: il bosco e la natura, con i suoi animali, sono salvifici per tutti noi. La natura ci ricorda che un vivere più armonico è possibile.

Quali sono i legami tra il bosco -di cui si è occupato nel recente libro “Alberi sapienti, antiche foreste” (2018)- e i suoi animali?
DZ Per molto tempo noi uomini abbiamo pensato al bosco come al luogo dal quale ricavare la legna, tentando di massimizzare questa relazione. In fondo, siamo animali economici. A questo fine, abbiamo creato boschi di un’unica specie e piante tutte della stessa età, allontanandoci dai modelli naturali che invece costruiscono boschi ricchi di biodiversità e di selvaticità, anche animale. Ma oggi questi modelli si stanno dimostrando fragili e stiamo mettendo in discussione le nostre scelte selvicolturali passate. Abbiamo bisogno di boschi nei quali gli animali possano continuare a vivere, anche facendo un passo indietro, senza intervenire e considerando degli aspetti che non sono mai stati nell’interesse dell’uomo. Per esempio, ci sono almeno una quindicina di specie di insetti che vivono sugli alberi morti, che quindi andrebbero lasciati lì per favorire la biodiversità.

Cosa ne pensa dei movimenti animalisti?
DZ È un tema molto complesso. In generale, osservo che l’uomo ha combinato dei guai, come dicevo prima parlando di estinzioni animali. Ma ha anche introdotto delle specie non adatte alle nostre zone, spinto solo dalla voracità, dal desiderio di avere prede più prestigiose, più carne, trofei da esibire, come nel caso dei cinghiali dell’Ungheria. Scrivendo il libro “Alberi sapienti, antiche foreste” (Utet, 2018) ho approfondito come gli alberi siano organismi complessi, dotati di sensi. Dunque, da un punto di vista etico, mangiare piante e mangiare animali mi sembra si equivalga. Ma poiché noi siamo stati progettati privi di clorofilla, mi pare che la posizione più corretta sia, in ogni caso, essere ambientalisti. Ovvero, guardare l’ambiente nella sua complessità e cercare un equilibrio a partire da questo sguardo. La ricerca di questa nuova armonia è complessa, deve essere costante e prevede di affrontare i problemi con calma e prenderci il tempo per capire. Serve un tempo ben speso per conoscere meglio il mondo che ci circonda, un tempo che è un arricchimento e un divertimento per tutti noi.

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